Quanto costa la bellezza alle donne (e quanto influisce sull'indipendenza)?
Quanto costa la bellezza alle donne? E perché il Mito della Bellezza ci fa sentire così tanta pressione sociale?
Quanto costa la bellezza alle donne? E perché il Mito della Bellezza ci fa sentire così tanta pressione sociale?
“Per essere belle…” esordivano mia nonna, mia mamma, mia zia o chi per esse, prima del colpo di spazzola decisivo “… Bisogna soffrire”. Avendo i capelli ricci, per me la bellezza non era tanto una questione di sofferenza, ma di inarrivabilità. Sono nata negli anni novanta e le bambine, allora, dovevano avere i capelli lisci per poter credere che un giorno sarebbero state considerate belle ragazze. Io ero arruffata, spettinata, sempre lontana da quell’immagine di bellezza. La spazzola, il mio incubo. Pettinare i miei capelli era un processo lungo, inasprito dalla mia impazienza, dagli urletti e gli scatti con cui cercavo di sottrarmi.
Ricordo ancora che alla fine di quelle lunghe sedute mi aspettavo che lo specchio restituisse qualcosa di diverso da quello a cui ero abituata. Capelli lisci e ordinati. Mi ritrovavo invece con delle onde dilatate e gonfie. Da preadolescente scoprii che con 10 euro potevo avere i capelli lisci, liscissimi e lucidi. Bastava andare dal parrucchiere. Una volta al mese riuscivo a convincere i miei a lasciarmi godere di una piega perfetta, e per il resto delle settimane chiedevo a mio padre di asciugarmeli con la spazzola tonda e il phon. Al liceo, smisi. All’università mi resi conto che sin da bambina mi avevano insegnato a temere la mia stessa bruttezza, peggio ancora a definirmi tale perché una parte di me non rispecchiava quello che qualcun altro aveva deciso essere ottimale. Ora che sono adulta e non mi trucco e non mi depilo e lascio che i miei ricci facciano un po’ quel che vogliono devo sorbirmi l’infinito rimbrotto di chi, anche con tenerezza, mi vuole assolutamente convincere che “starei meglio” o che “dopotutto, non sei una brutta ragazza”.
Quello di cui mi parlano non è altro che una mistificazione collettiva che va sotto il nome di Mito della Bellezza, così come ampiamente denunciato da Naomi Wolf nel suo libro. Dal mondo del lavoro alla sfera domestica, il Mito della Bellezza insegue i corpi delle donne, misurandoli, incastrandoli e giudicandoli affinché chi li abita ambisca ad assomigliare a un ideale determinato all’esterno, ad un canone che, il più delle volte, è inarrivabile. Il Mito della Bellezza è così pervasivo da risultare invisibile, lo introiettiamo al punto di darlo per scontato.
Per andare a lavoro, ad esempio, è opportuno essere presentabili. Per una donna nell’idea di presentabile rientrano i codici estetici del trucco e della moda, elementi che sono stati assimilati nella parabola dell’aver cura di sé. La parola cura qui è snaturata, intrisa di significati che poco vi hanno a che fare perché nel “curarsi” le donne devono piuttosto fare attenzione a come sono percepite, anche a costo di ammalarsi, soffrire o impoverirsi. Per essere belle, infatti, non basta soffrire, bisogna anche spendere. E se io con la mia paghetta potevo pagare una piega una volta al mese per sentirmi accettabile, una persona che deve truccarsi, farsi le unghie, depilarsi, profumarsi, pettinarsi, abbronzarsi e magari risparmiare per quel famoso microfiller che le darà labbra più piene o la mandibola più delineata, arriva a spendere molto, molto di più.
Secondo le stime, in Italia una donna spende almeno 6,4 € al giorno per la cura del viso realizzata con anche tredici prodotti differenti. La spesa non è solo economica, ma anche temporale, stiamo parlando di circa 365 giorni impiegati per le pratiche di cura estetica. Il tutto considerando che le donne, in media, sono pagate meno degli uomini a parità di prestazione e hanno tendenzialmente meno tempo libero in quanto obbligate dai ruoli di genere a svolgere le attività di cura. La “cura” della casa, quindi la pulizia e la cucina, la cura dei figli e la “cura” del proprio aspetto sono considerate attività obbligatorie per le donne in quanto femminili, ma sarebbe opportuno parlare di attività femminilizzate.
Si tratta infatti di un processo attivo e costante, rinforzato da stereotipi, che ha come fine quello di mantenere le donne in una sfera di azione socio-economica limitata. Il consumismo capitalista non ha fatto altro che sfruttare questa inclinazione sociale per costruire nuovi mercati presentandoli come bisogni, dalla depilazione costante e fai da te propinata dalla Gillette, agli interventi di microchirurgia oggi gettonatissimi tra le italiane, i nostri portafogli – già più scarni di quelli degli uomini – vengono costantemente alleggeriti. Nel mentre, il Mito della Bellezza viene difeso a spada tratta, rivendicato e addirittura negato.
Il maschile si sta avvicinando sempre più alle pratiche estetiche e cosmetiche, ma invece che essere una semplice liberazione e rottura con gli stereotipi la situazione sta lentamente venendo assorbita dal capitalismo. Infatti, la costruzione di un canone estetico per il maschile che ruota attorno agli stessi obblighi di adempimento del femminile – depilazione, skin care in 12 passaggi, trucco, filler, interventi di chirurgia plastica etc – sta recidendo la libertà di scelta riproducendo quell’ansia sociale e quella pressione sempre esercitata sul femminile. Certo, gli uomini hanno pur sempre i vantaggi strutturali ed economici per gestire in maniera differente l’imposizione esterna, ma un mondo equo non è certo uno in cui tutti siamo oppressi allo stesso modo, piuttosto uno in cui diritti, libertà e scelte sono di tutti e per tutti.
Anche di fronte ad una forte consapevolezza, molte donne sono costrette a conformarsi allo standard, soprattutto quando di mezzo c’è il mondo del lavoro. Ricordo che quando lavorai da Acqua&Sapone, almeno otto anni fa, fui rimproverata perché struccata. Era un impiego temporaneo, ma nonostante ciò ci rimasi profondamente male. Chiamai l’agenzia che mi aveva assunta protestando, ero stata umiliata davanti a dei clienti intenti a fissare la coordinatrice del reparto profumeria mentre mi sgridava a voce piena. Quando mi ero girata, con il nervoso che ballava sulla gola, avevano fatto un gran trambusto commentando i deodoranti, lasciandomi lo spazio per correre al bagno a fingere di non essere sull’orlo delle lacrime.
Se fosse stato un lavoro a tempo indeterminato, se fosse stato la mia fonte di reddito definitiva, molto probabilmente non mi sarei potuta far valere. Mi sarei dovuta truccare, ogni giorno, magari dopo aver stirato una blusa. La scelta di protestare non sempre è disponibile, proprio perché si crede che le donne debbano essere e performare in un certo modo. Basti pensare al tipico commento riservato a chi ha appena partorito, il classico “si è lasciata andare” o il “non si cura”. Come se dopo un evento come il parto le persone dovessero saltare di fronte ad uno specchio per ritoccarsi il trucco.
Vedendolo scritto sembrerà anche assurdo, ma è ciò che la società si aspetta. E quando l’aspettativa non viene rispettata, la critica redarguisce e mina l’autostima, punisce severamente le persone incurante di tutto ciò che ne consegue. Addirittura, in molte relazioni, la pretesa di standard è una condizione essenziale alla continuità del rapporto, altrimenti subentra la sua fine o il tradimento, la ricerca di una persona più giovane, più curata e, quindi, ritenuta più desiderabile. Il Mito della Bellezza punisce le donne ogni qualvolta osano trattenere del tempo per sé, evitando quelle pratiche che ci vengono vendute come nostra naturale inclinazione, qualcosa che ci viene insegnato sia necessario fare per noi stesse.
Ancora oggi, e nonostante tutto, quando c’è un evento o una festa, mia madre mi chiede se per questa volta farò stirare i capelli, per essere più carina, per essere più ordinata. So che non lo fa con cattiveria, che sta pensando all’appuntamento che lei ha già preso dal parrucchiere in vista del matrimonio o del battesimo che sia. Presentabile e desiderabile, così agli occhi del mondo apparirei bella, per una volta, per la pax familiaris almeno. Io, però, bellissima tra i ricci confusi e il viso struccato, con quei sei euro al giorno tenuti in tasca e quei 365 giorni da spendere in altro modo, mi ci sento in ogni caso. Finché non saremo libere di decidere che qualsiasi sia la nostra espressione fisica siamo belle, bellissime, il Mito della Bellezza andrà eroso, piega evitata dopo piega evitata.
Nata e cresciuta in Comasina, è una fotografa e una scienziata politica specializzata in relazioni internazionali e politiche globali, si occupa di disuguaglianze, espulsione sociale con un’ottica intersezionale e antispecista.
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