Il globish può essere la lingua giusta per permettere a popoli diversi di comunicare tra loro? La ricerca della koinè, di una lingua comune, è un problema antichissimo. Viene metaforizzato nella Bibbia dalla storia della Torre di Babele, ma la leggenda tralascia il fatto che le lingue sono convenzioni umane che dipendono da questioni culturali e ambientali (quante parole hanno gli eschimesi per dire “bianco”?). E la geografia non sempre è indicativa: il basco, che si parla a nord della Spagna, per esempio non è una lingua indoeuropea come catalano, castigliano, portoghese, inglese, tedesco, francese, italiano, e così via.

Diversi esperimenti nel tempo sono stati fatti: nel Medioevo l’uso del latino era ciò che permetteva la comunicazione in Europa e per molto tempo lo è rimasto all’interno della Chiesa Cattolica. Poi ci sono state le lingue di settore: l’inglese per l’informatica, l’italiano per la musica, il francese per la cucina, ma si limitavano solo a un numero ristretto di termini.

I Conquistadores hanno consegnato spagnolo e portoghese a quelli che sarebbero diventati, dopo lo sterminio degli indigeni, i Paesi latini. Il colonialismo ha imposto le lingue degli occupanti sui popoli che ancora non si erano autodefiniti del Terzo Mondo nella conferenza di Bandung. E dopo che gli imperi coloniali si sono dissolti, uno di essi si è “trasformato”, diventando Commonwealth, e mantenendo l’inglese come lingua ufficiale di diverse nazioni, più gli Stati Uniti, che in effetti è un’ex colonia.

C’è stato poi l’esperimento dell’esperanto, lingua artificiale che avrebbe dovuto facilitare le comunicazioni tra popoli di lingua differente, ma nonostante la sua efficacia non sempre ha trovato una collocazione o un utilizzo. Diverso il discorso per l’yiddish, che viene parlato in tutto il mondo ma limitatamente alle comunità ebraiche, e neppure in tutte. Cosa accadrà quindi con il globish?

Cos’è il globish?

Globish
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Il nome è una parola composta da “global” e “English”: indica un inglese semplificato, con un lessico ridotto, una sintassi più semplice, una fonetica più abbordabile e senza espressioni idiomatiche. Quindi niente più “the house is on fire” oppure “once in a blue moon”, e soprattutto niente false friends: lo scopo è che questa lingua sia parlata anche dai non anglofoni per comunicare con altri popoli.

Il vocabolario globish

Il lessico del globish è ristretto a non più di 1500 parole, e si stima che anche le persone che sono a digiuno completo di inglese lo possano imparare in una settimana.

Esistono dei termini che in realtà vengono da altre lingue, come pizza o taxi, ma per la maggior parte delle parole si può usare una forma perifrastica. Per esempio “siblings” diventa “other children of my mother and father”, ovvero gli altri bambini di mia madre e mio padre.

Le frasi sono generalmente abbastanza corte, in modo da evitare i dilemmi legati alla posizione degli avverbi di tempo (dove mettere often e dove mettere sometimes, per esempio), oppure l’ordine base dei complementi indiretti manner, place, time contenuto nell’inglese classico.

Perché può diventare un riferimento

Globish
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Così, a pensare al globish, viene subito in mente l’esperanto e il fatto che il globish potrebbe essere la lingua della diplomazia, ma in realtà non lo è, non sempre, anche se l’ex presidente Usa Barack Obama vi ha ricorso a piene mani. Per il momento questa lingua viene utilizzata per lo più per le operazioni commerciali.

Globish è un fenomeno culturale e mediatico, la cui infrastruttura è economica – ha spiegato l’autore del volume How the English Language Became the World’s Language Robert McCrum, come riporta ThoughtCo – Il Globish rimane basato sul commercio, la pubblicità e il mercato globale. I commercianti di Singapore inevitabilmente comunicano nelle lingue locali a casa; a livello internazionale preferiscono il globish, che sarà inevitabilmente sfidato dal cinese mandarino o dallo spagnolo o persino dall’arabo. E se la vera minaccia – in realtà, nient’altro che una sfida – fosse più vicina a casa, e risiedesse in questa lingua franca sovranazionale globale, quella con cui tutti gli americani possono identificarsi?

Le critiche al globish

McCrum, in un suo articolo sul Guardian, parla del fatto che gran parte delle critiche legate al globish siano di tipo politico o egemonico: se Obama si esprime in questa lingua, i detrattori della lingua stessa mirano al messaggero, non al messaggio, oppure alla nazione che il messaggero guida(va). E in questo esistono polemiche del campanile, persone che temono che la propria cultura nazionale sia appiattita in favore di quella anglofona. E naturalmente queste paure sono immotivate.

C’è un rischio però con il globish, ed è un rischio reale, spiega McCrum. Essendo una lingua, è soggetta a cambiamento e decadimento. È accaduto al latino, e accade a tutte le lingue che sono soggette a contaminazione e mutazione nel tempo, in base alle esigenze comunicative e del singolo parlante, ma non in termini di lingua utilizzata individualmente, quanto appunto in termini di istanze di semplificazione.

Si può semplificare ulteriormente ciò che già appare semplice? Evidentemente sì, quando parliamo di una materia in fieri.

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