Come cambia la percezione del tempo nel corso della vita
La percezione del tempo è una sorta mancata consapevolezza del tempo oggettivo e cambia da persona a persona, da momento a momento, e nelle differenti fasi della vita.
La percezione del tempo è una sorta mancata consapevolezza del tempo oggettivo e cambia da persona a persona, da momento a momento, e nelle differenti fasi della vita.
Esistono nel fenomeno diverse variabili a carattere psicologico: ognuno di noi ha un orologio interiore, ma il ritmo a cui questo orologio si muove può essere più lento o più veloce rispetto al tempo assoluto. O meglio, più lenta o veloce ne è la percezione, una forma di mancata consapevolezza.
Psychology Today enumera I fattori che influiscono sulla percezione del tempo, ovvero:
In sintesi – si legge ancora – la disfunzione del nostro ‘orologio interiore’ porta a una maggiore attenzione al presente e a una sopravvalutazione del tempo. Il tempo può essere distorto per apparire più breve o più lungo di quanto non sia in realtà. Ad esempio, la presenza di negozi e ristoranti all’interno di un aeroporto fornisce distrazione durante il nostro periodo di attesa e rende l’attesa più piacevole. Prestare attenzione all’attività in corso invece di monitorare il passare del tempo rende anche il tempo più veloce. Questo spiega perché leggere un libro su un lungo volo può far sembrare il viaggio relativamente veloce. Ma quando prestiamo attenzione al tempo, sembra passare lentamente.
Dicevamo: mano a mano che si invecchia la percezione del tempo diventa sempre più impalpabile. Il professor Adrian Bejan del Mit, come si racconta sul sito di Harvard, ha studiato il fenomeno in base alla fisica dell’elaborazione del segnale neurale. Secondo Bejan, quando invecchiamo,
le dimensioni e la complessità delle reti di neuroni nel nostro cervello aumentano: i segnali elettrici devono percorrere distanze maggiori e quindi l’elaborazione del segnale richiede più tempo. Inoltre l’invecchiamento fa sì che i nostri nervi accumulino danni che forniscono resistenza al flusso di segnali elettrici, rallentando ulteriormente i tempi di elaborazione.
In pratica, Bejan usa una similitudine cinematografica: quando invecchiamo, è come se stessimo di fronte allo schermo di un cinema e percepissimo solo alcuni fotogrammi al secondo, mentre da giovani riusciamo a percepirli tutti. Naturalmente ci potrebbero essere anche altre spiegazioni: non sono tanti gli studi sull’argomento, ma si spera che in futuro ce ne saranno di più.
Il segreto, secondo il dottor David Hamilton, è appunto riempire le proprie giornate di nuove esperienze, come per esempio provare a cucinare o a mangiare un piatto nuovo, effettuare un percorso, a piedi o in macchina, diverso dal solito, imparare una nuova lingua o un nuovo ballo.
La novità – chiarisce Hamilton – provoca anche la neurogenesi nel cervello, la nascita di nuove cellule cerebrali. Mentre altre persone perdono cellule cerebrali ogni giorno, la neurogenesi può in qualche modo contrastare l’effetto, formando riccamente nuove strutture per conservare i nuovi ricordi.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
Cosa ne pensi?