Job creep, il fenomeno in crescita e tossico per cui lavoriamo sempre di più
Lavorare sempre di più, con mansioni e responsabilità che aumentano mentre lo stipendio non cambia: scopriamo cosa è il job creep e come gestirlo.
Lavorare sempre di più, con mansioni e responsabilità che aumentano mentre lo stipendio non cambia: scopriamo cosa è il job creep e come gestirlo.
Se suona familiare è perché è un fenomeno sempre più frequente negli ambienti lavorativi: si chiama job creep e combatterlo è fondamentale per il nostro benessere.
Il job creep, noto anche come role creep, si verifica quando si svolgono compiti che esulano dal proprio ruolo o dall’ambito concordato delle proprie mansioni.
In sostanza, significa eseguire i compiti che dovrebbero essere svolti dagli altri membri del team, senza un corrispettivo aumento retributivo o contrattuale.
Michael Wellin, nel suo libro Managing the Psychological Contract: Using the Personal Deal to Improve Business Performance, ha spiegato che
Il job creep comporta una pressione continua sui dipendenti affinché forniscano più di quanto normalmente richiesto dal loro lavoro. Questa è una situazione in cui la norma della reciprocità che si è evoluta nel tempo non è più applicabile. Invece, il datore di lavoro sta gradualmente aumentando le proprie richieste ai dipendenti. Il comportamento e le prestazioni che prima erano discrezionali ora diventano sempre più attesi o dati per scontati dal datore di lavoro.
Il job creep non significa solo lavorare di più per un periodo di tempo limitato (ad esempio fino al lancio di progetto), ma può anche evolversi in una situazione costante in cui il datore di lavoro si aspetta che i dipendenti si destreggino continuamente tra tutti questi compiti.
Licenziamenti massivi, blocchi delle assunzioni e mancati investimenti nel personali si traducono in una redistribuzione del carico di lavoro tra le risorse esistenti.
Ma anche nei casi in cui il personale non venga ridotto, i datori di lavoro possono aumentare carichi di lavoro e responsabilità per contenere i costi e aumentare i profitti.
Alla base c’è sempre il tentativo di massimizzare la produttività limitando gli investimenti nel mantenimento o nell’assunzione di nuove risorse.
Non è facile riconoscere se siamo vittime di job creep. Tuttavia, ci sono alcuni segnali rivelatori, ad esempio dover lavorare sempre più tardi per portare a termine le cose o ricevere compiti che di solito non rientrano tra le nostre mansioni
È importante fare attenzione ai cambiamenti e alle richieste che riceviamo, come partecipare a riunioni che a cui prima non eravamo presenti o coprire alcuni lavori a “breve termine” senza un piano a lungo termine in atto. Anche obiettivi che cambiano di continuo possono essere un segnale d’allarme.
Non solo: potrebbero esserci anche promesse non mantenute di risorse e supporto aggiuntivi, senza alcuna reale intenzione di assumere nuovo personale.
Maggior carico di lavoro significa minor tempo per fare tutto, maggiore pressione e, ovviamente, un carico di stress maggiore. Questo può tradursi in situazioni di tensione tra dipendenti, dimissioni verso un impiego meno stressante e, spesso, in burnout.
Diversi dati mostrano che il fenomeno sta aumentando in molti Paesi. Nel Regno Unito un sondaggio di YouGov ha rilevato che quasi quattro lavoratori su 10 (39%) hanno dichiarato di sentirsi stressati quando pensavano al lavoro al di fuori dell’orario di lavoro. Quasi un terzo ha dichiarato di fare straordinari non retribuiti almeno una volta alla settimana. Una ricerca condotta da Glassdoor tra giugno 2021 e maggio 2022 ha rilevato che in oltre 380.000 recensioni dei dipendenti, le discussioni negative sul burnout erano aumentate del 48%.
Questo stato di stress cronico ha ripercussioni sia mentali che fisiche sui lavoratori ma ha anche un effetto boomerang sui datori di lavoro, per cui si traduce in giorni persi a causa di cattive condizioni di salute, bassa produttività e rapido turnover.
Dire automaticamente “Sì” a tutto può portare a lungo termine a risentimento e amarezza e innescare un circolo vizioso in cui, poiché si è sempre disponibili, le persone si aspettano sempre che la risposta sia affermativa ed è difficile gestire le aspettative in maniera positiva.
Trovare il giusto equilibrio tra essere d’aiuto e non essere sfruttati può essere complicato, il primo passo è capire se si tratta di una richiesta ingiustificata, iniziando a considerare il contesto: chi sta facendo la richiesta e qual è la motivazione di fondo?
Non è irragionevole dire “No” se qualcuno chiede di assumere maggiori compiti o responsabilità a parità di stipendio e posizione. Tuttavia, se non gestito con cura, un rifiuto rischia di danneggiare il rapporto lavorativo, ostacolando potenzialmente anche la nostra crescita professionale.
Invece di rispondere istintivamente con un “No” secco, un’opzione è quella di chiedere del tempo per considerare la richiesta, se possibile, o chiedere un momento di confronto per parlarne in maniera approfondita.
Prendere una pausa prima di accettare può essere utile anche per stabilire i confini: sfortunatamente, coloro che sono più pronti a dire sì, anche per aiutare gli altri, spesso finiscono per essere sovraccarichi di lavoro, il che può portare al burnout.
Detto in poche parole: assumere il personale adeguato per le mansioni richieste. Purtroppo, però, spesso non è così semplice. Se le condizioni non lo consentono, è importante operare in trasparenza, facendo lavorare i dipendenti su progetti a tempo determinato senza dare per scontato che possano e debbano assumere più mansioni di quelle previste.
È fondamentale, inoltre, che si assicurino che i carichi di lavoro siano adeguati per non incorrere nel rischio di burnout e che i nuovi compiti siano proposti ed eventualmente accettati e non imposti senza possibilità di appello.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
Cosa ne pensi?