Donne e tecnologia: tra stereotipi e gender tech gap
Gender digital divide e gender tech gap: quali sono le discriminazioni e divario di genere nel rapporto tra donne e tecnologia.
Gender digital divide e gender tech gap: quali sono le discriminazioni e divario di genere nel rapporto tra donne e tecnologia.
Un divario antichissimo, che ha escluso per secoli le donne dai settori scientifici e tecnologici sulla base di una supposta inferiorità biologica e caratteriale, che ancora oggi pesa su tutte coloro che (per fortuna sempre più numerose) vogliono rompere questo muro.
Non sono portate. Non sono interessate. La tecnologia è roba da uomini. I maschi fanno materie scientifiche e le femmine quelle umanistiche. “Ingegnera” non si può sentire. Le donne sono troppo emotive, è l’uomo a padroneggiare logica e razionalità.
Gli stereotipi legati a donne e tecnologia sono tantissimi, e durissimi da scalfire. Non sono solo vecchie concezioni popolari, ma ostacoli che si frappongono tra bambine e ragazze e la loro possibilità di autodeterminarsi.
Sì, perché gli studi dimostrano che quando arrivano a scuola le bambine pensano ancora di poter diventare qualsiasi cosa vogliano. Invece che rafforzare questa convinzione, aprendo orizzonti e possibilità, l’effetto della scuola è quello di restringere i loro sogni e la loro autostima, spingendole a pensare che non sono abbastanza brave o che non sono portate per le materie scientifiche, allontanandole dai percorsi STEM (Science, Tecnology, Engineering, Mathematics).
L’effetto, lo vedremo, è evidente nelle statistiche: le donne sono sottorappresentate e sottopagate nel settore del tech, dove discriminazioni e ingiustizie sono ancora difficili da eliminare.
La tecnologia non è neutra: il cambiamento tecnologico, infatti, è modellato e strutturato secondo norme e relazioni sociali in cui il genere ha un peso determinante. Allo stesso tempo, però, anche le norme socioculturali sono a loro volta influenzate dalle trasformazioni tecnologiche.
Questo significa, spiega Eige Europa in Gender Equality Index 2020: Digitalisation and the future of work, che da un lato le tecnologie sono state create all’interno di specifiche relazione di genere e riflettono quindi le disuguaglianze che esistono al loro interno; dall’altro, però,
offrendo diversi strumenti e metodologie per il lavoro, l’intrattenimento e la cura, le tecnologie stesse modellano queste relazioni di genere.
La correlazione tra il Gender Equality Index e il Digital Economy and Society Index mostra che le società con una maggiore uguaglianza tra donne e uomini ottengono risultati migliori anche nel settore dell’economia digitale e suggerisce che
le prestazioni digitali possono essere migliorate affrontando il divario digitale di genere (ad esempio divari di genere nell’accesso e nell’uso delle tecnologie digitali, nell’istruzione connessa al digitale, nell’imprenditorialità, nelle Tic). Pertanto, i progressi nella trasformazione digitale possono andare di pari passo con i progressi nell’uguaglianza di genere.
La tecnologia ha rappresentato per molti aspetti un’alleata del processo di empowerment femminile. Basta pensare alla pillola contraccettiva, al test di gravidanza, l’ecografia a ultrasuoni e le app di period tracking, che hanno trasformato il rapporto delle donne con i loro corpi, permettendo una libertà e un’autodeterminazione riproduttive mai sperimentate prima.
Questo progresso, però, ha spiegato Laura Tripaldi in Gender tech, Come la tecnologia controlla il corpo delle donne, ha anche un lato oppressivo:
dagli effetti collaterali degli ormoni sintetici, ancora poco conosciuti, al controllo della fertilità nelle popolazioni più fragili; dall’uso dell’ecografia come arma della propaganda anti-abortista alla monetizzazione dei dati personali sensibili. Ogni volta che il corpo femminile si è aperto all’indagine dello sguardo scientifico, ha corso il rischio di essere oggettificato e di essere esposto a nuove forme di discriminazione e violenza.
Sono tecnologie che confermano quello che abbiamo detto poco fa:
lungi dall’essere strumenti neutri, questi dispositivi non riescono a liberarsi dalle tracce della cultura patriarcale che li ha prodotti: dietro alle loro promesse di emancipazione nascondono la capacità di esercitare un controllo sempre più capillare sulla vita privata delle donne.
Quando parliamo di donne e tecnologia non possiamo dimenticare che gli stereotipi di genere si traducono anche alle diverse possibilità di accedervi rispetto agli uomini. È il gender digital divide, che lo studio Gender Digital Divide Index Report definisce come
il divario tra la capacità degli uomini e delle donne di accedere e utilizzare Internet e le tecnologie digitali e di contribuire e trarre vantaggio dal loro sviluppo.
L’esclusione digitale può impedire alle singole donne e ragazze di realizzare i vantaggi delle tecnologie digitali.
A rimetterci non sono solo le donne, ma ognuno di noi: aumentare l’inclusione digitale di donne e ragazze, infatti, potrebbe incrementare il PIL globale di circa 524 miliardi di dollari entro il 2025.
Secondo lo studio, una media del 62% degli uomini utilizza Internet, rispetto al 57% delle donne. Non solo, però, le situazioni variano anche sensibilmente all’interno dei singoli Paesi: la semplice possibilità di accedere alla rete non è sufficiente e il gender digital divide potrebbe non essere immediatamente riconoscibile ma essere comunque presente. Ad esempio, continua lo studio,
contenuti rilevanti per le donne potrebbero non esistere nelle lingue locali. Le applicazioni e i servizi digitali potrebbero non essere progettati tenendo conto delle esigenze particolari delle donne e delle ragazze. Andare online o utilizzare i social media può comportare rischi particolari per la loro privacy e sicurezza. Le norme socioculturali possono rendere loro difficile l’uso e il coinvolgimento con le tecnologie. I programmi educativi che insegnano competenze digitali potrebbero non incoraggiare l’inclusione femminile. La mancanza di consapevolezza tra i politici governativi e i leader aziendali può contribuire a tali lacune.
Per quantificarlo, è stato creato il Gender Digital Divide Index (GDDI) è uno strumento pilota che misura i progressi di un Paese nel ridurre il divario di genere nello sviluppo digitale attraverso trenta indicatori che includono dati quantitativi e qualitativi personalizzati per ciascuno Paese tra i venti individuati, che hanno diversi livelli di reddito in tutto il mondo. Al primo posto c’è la Svezia, seguita da Singapore e Cile, mentre chiudono la classifica Etiopia, Haiti e Repubblica Democratica del Congo.
Le differenze di accesso, però, non sono solo a internet e alle possibilità offerte dalle tecnologie digitali, ma anche ai percorsi accademici e alle professioni nel mondo del tech. Si chiama gender tech gap ed è
la disuguaglianza sociale e culturale che colpisce le professioniste e le allontana dall’ambito tecnologico, impattando in modo particolare proprio su quelle aree emergenti del mondo del lavoro che invece hanno profondamente bisogno di diversità.
Fin dalle elementari, le bambine sono spinte e confermare gli stereotipi secondo cui non sono portate per le materie scientifiche. Questa concezione si cementifica sempre più durante gli studi e condiziona i percorsi accademici e professionali.
Tra le donne laureate, dicono i dati Amalaurea, solo il 19,1% ha conseguito una laurea Stem, percentuale che sale al 40,7% tra gli uomini, secondo un’elaborazione Valore D.
Ma una volta conseguito il diploma i numeri per le donne nel settore tecnologico sono ancora più preoccupanti, in Italia e all’estero. Secondo i dati della National Science Foundation, solo il 38% delle donne laureate in informatica lavora nel settore rispetto al 53% degli uomini. Si tratta di una tendenza costante che è stata soprannominata una “conduttura che perde” (leaky pipeline): è difficile trattenere le donne nei lavori Stem una volta che si sono laureate in queste materie.
Le donne devono anche affrontare maggiori ostacoli alla crescita professionale. Un rapporto del 2022 di McKinsey ha rilevato che solo 86 donne vengono promosse manager ogni 100 uomini in ogni settore, ma se isolate per la tecnologia, quel numero scende a 52 donne ogni 100 uomini.
Non solo: secondo un rapporto del Pew Research Center, il 50% delle donne ha affermato di aver subito discriminazioni di genere sul lavoro, mentre solo il 19% degli uomini ha affermato la stessa cosa. I numeri erano ancora più alti per le donne con un titolo post-laurea (62%), che lavorano nel settore informatico (74%) o in posti di lavoro a predominanza maschile (78%). Alla domanda se il loro genere rendesse più difficile avere successo sul lavoro, il 20% delle donne ha risposto di sì e il 36% ha affermato che le molestie sessuali sono un problema sul posto di lavoro.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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