Queer subtext e queer coding: come individuare il sottotesto queer in serie e libri

Queer subtext, queer coding e queerbaiting sono concetti utilissimi e fondamentali per comprendere meglio il modo in cui la comunità LGBTQI+ viene rappresentata in serie tv, film, cartoni animati e libri. Vediamo di che cosa si tratta nello specifico, quali sono le loro caratteristiche e come riconoscerli.

La rappresentazione della comunità LGBTQ+ è uno dei temi più importanti e, insieme, delicati che caratterizzano il mondo creativo e mediatico, dalla cinematografia alle serie televisive, fino ai cartoni, alla musica e alla letteratura.

Non sempre, infatti, la resa sullo schermo o sulla pagina di una persona queer appare rispettosa e autentica, ma, al contrario, nella maggior parte dei casi essa risulta solo fittizia e di facciata. È il caso del cosiddetto queerbaiting, ben diverso dal queer subtext e dal queer coding. Di che cosa si tratta? Vediamone insieme le caratteristiche.

Che cosa si intende per queer subtext e queer coding?

Con l’espressione queer subtext (che si potrebbe tradurre come “significato sottinteso queer”) ci si riferisce agli elementi di una narrazione o di una rappresentazione visiva che suggeriscono implicitamente una sessualità o un’identità di genere non eteronormativa.

Tali suggerimenti possono apparire sottili, sottintesi e non dichiarati apertamente, ma possono in ogni caso essere interpretati come indicazioni della presenza di personaggi e/o relazioni queer. Un caso emblematico è quello di un intenso legame emotivo tra due individui dello stesso sesso che, nel corso della trama, non è esplorato e indagato in maniera esplicita alla stregua di una relazione romantica, ma si sottintende che lo sia.

Un esempio, in questo senso, è quello offerto dalla serie Sherlock. Come si legge su Bossy:

Durante l’intera serie, Sherlock Holmes e John Watson non solo vengono costantemente scambiati per una coppia, ma condividono momenti e scambi stereotipicamente romantici e queer-coded (cioè inquadrati in un contesto queer senza esplicitarlo). Già nella prima puntata troviamo i due a cena in un ristorante italiano, dove vengono appunto trattati da coppia. John domanda a Sherlock se abbia una fidanzata… o un fidanzato. Sherlock risponde di essere consapevole del fatto che non ci sia nulla di male, ma prende la curiosità dell’altro per un’avance che si sente, al momento, di rifiutare.

E ancora:

In ogni puntata, ritornano scene con violini, luci o inquadrature spesso riservate a coppie romantiche. Non mancano scambi tra i due ricchi di doppi sensi e con carica erotica. Anche una volta che John si sposa, non mancano dinamiche del genere tra i due, rendendo sempre loro la vera coppia della storia. L’elemento queer attira troppe persone e troppo successo per lasciarlo andare. Peccato che il tutto si concluda in un nulla di fatto.

Il queer coding (“codice queer”), invece, delinea la pratica intenzionale dei creatori, degli sceneggiatori e dei registi di attribuire caratteristiche, tratti e comportamenti che, pur senza dichiararlo palesemente, possono essere intesi come segni di appartenenza alla comunità LGBTQ+. Questi elementi possono riguardare il linguaggio, i gesti, l’abbigliamento o le dinamiche relazionali, come nel caso di un personaggio ipersessualizzato mediante comportamenti stereotipati indicanti un’estrema femminilità (se uomo) o un’estrema maschilità (se donna).

In questo secondo scenario, lo scopo è quello di rappresentare le persone queer in modo articolato, rispettoso e onesto, senza “sfruttare” e speculare sulle dinamiche queer – come accade nel queerbaiting -, bensì portandole in luce e garantendo supporto e visibilità alla comunità nel suo complesso.

Alcuni esempi nella cultura contemporanea

Gli esempi di queer subtext e queer coding sono ormai molteplici, in tutti gli ambiti. Persino in quello dei cartoni animati. Si pensi, per esempio, al personaggio di Scar nel Re Leone. Come si legge su Dimensione fumetto:

Lo Scar del film Il re leone del 1994 spunta tutte le caselle del queer coding. Certo, non può indossare vestiti, ma muove il suo corpo come una vera diva, e non può truccarsi, ma pare che si metta ombretto, eyeliner e rossetto nero tutte le mattine (molto rock’n’roll). Nonostante la sua sessualità non sia mai messa in discussione, anzi non se ne parli proprio, lo spettatore coglie comunque che c’è “qualcosa” di poco virile in lui. Questo avviene perché il queer coding punta ambiguamente all’interpretabilità di un personaggio attraverso caratteristiche stereotipate, e non all’inquadramento dello stesso come non-eterosessuale all’interno della storia.

Infatti:

Per quanto ne sappiamo Scar non ha figli né compagna perché è sterile. O repellente. O zio di tutte le altre leonesse. O forse non ha interesse verso le leonesse, ma verso i leoni. Non lo sapremo mai, ed è proprio questo il punto: incertezza invece di certezza.

Tra gli altri villain della Disney a essere codificati come queer si annoverano, poi: il Principe Giovanni di Robin Hood, insicuro, vanitoso e senza criniera (come i leoni castrati); Ursula de La Sirenetta, arrogante, aggressiva e ispirata alla drag queen Divine; Ade di Hercules, passivo-aggressivo, presuntuoso e accentratore (sua la frase «Tutti gli uomini sono maiali»); e, infine, Jafar di Aladdin, vanitoso, amante del potere e avido.

Come individuare il sottotesto queer

Come accennato, altri e diversi esempi di queer coding e queer subtext, naturalmente, sono presenti anche nelle pellicole cinematografiche e nelle serie tv. Per quanto concerne il primo caso – nel quale vi è l’intento di integrare in maniera compiuta, a livello narrativo, persone non etero -, si possono citare: Will & Grace, Orange Is The New Black, Modern Family, Queer as Folk, The L Word, Sense8, Sex Education. Prodotti, come spiega Nerd’s Bay, che si pongono “oltre” il codice queer per decostruire le norme di genere.

Emblemi di queerbaiting, invece, si possono rintracciare nelle relazioni tra i seguenti personaggi: Xena e Olimpia, Sherlock Holmes e John Watson, Buffy e Faith, Daenerys e Missandei, Bucky Barnes e Steve Rogers e Castiel e Dean Winchester.

Ma come si può individuare il sottotesto queer? Tra i modi più funzionali e diffusi, vi sono:

  • analisi delle relazioni e della dinamica dei personaggi, ossia l’osservazione dei gesti d’affetto, degli sguardi intensi, del linguaggio corporeo e delle interazioni emotive e sentimentali che potrebbero suggerire una connessione romantica e/o sessuale;
  • analisi della rappresentazione visiva, ossia lo studio del modo in cui simboli visivi, immagini e scene potrebbero implicare temi queer, come l’uso di colori, icone o oggetti che hanno significati culturali e/o storici legati alla comunità LGBTQ+;
  • analisi del linguaggio e dei dialoghi, nei quali potrebbero comparire sottili indizi verbali o doppi sensi al fine di suggerire una sessualità non eteronormativa, come giochi di parole, battute, allusioni o commenti ambigui sui rapporti interpersonali;
  • analisi dei motivi e dei temi ricorrenti, i quali potrebbero essere interpretati come riferimenti alla sessualità o all’identità di genere non eteronormative, tra cui si annoverano i temi di alienazione, identità, repressione o desiderio.

Quando il queer subtext diventa queerbaiting

Ma quando si valica il limite e il queer subtext si tramuta in queerbaiting? Prima di proseguire, è necessario esplicare meglio che cosa significhi quest’ultimo termine. Come si legge sempre su Bossy, infatti:

Si parla di queerbaiting quando ci si trova di fronte ad un prodotto – televisivo, letterario, cinematografico o musicale – che sfrutta deliberatamente personaggi o elementi della cultura queer per profitto e visibilità.

Il queerbaiting, dunque, si verifica nel momento in cui sceneggiatori e creatori di contenuti audiovisivi utilizzano deliberatamente il queer subtext o il queer coding per attirare il pubblico LGBTQ+, senza garantire effettivamente rappresentazioni esplicite o significative di personaggi e relazioni queer.

Il queerbaiting è, allora, una strategia che sfrutta la presenza di elementi queer impliciti o sottintesi per generare interesse e coinvolgimento da parte della comunità LGBTQ+, senza mai, però, impegnarsi veramente in una resa autentica, dignitosa e inclusiva di persone o storie queer, e causando, così, frustrazione, dolore e delusione nella comunità stessa, dal momento che usa a proprio uso e consumo identità ed esperienze queer a fini di marketing, visibilità e successo.

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