Revenge porn: cosa prevede la legge e come difendersi

L'espressione "revenge porn" deriva dall'inglese e significa, letteralmente, "vendetta porno". Si tratta, dunque, della condivisione non consensuale di immagini e video a contenuto intimo e/o sessuale a danno della persona interessata - perlopiù una donna, ossia la vittima per eccellenza di tale reato -, per mano di individui che intendono punirla, umiliarla o vendicarsi della stessa. Vediamone i dettagli.

Senso di colpa, vergogna, ansia, pensieri suicidi e, troppo spesso, isolamento sociale. Sono solo alcuni degli effetti collaterali del revenge porn, un fenomeno sempre più in crescita e dalle conseguenze deleterie, a livello psicologico, morale e, talvolta, anche professionale, per tutte le vittime coinvolte.

Di che cosa si tratta nello specifico? E come ci si può difendere? Vediamolo insieme.

Revenge porn: cos’è e quando si verifica

L’espressione “revenge porn” deriva dall’inglese e significa, letteralmente, “vendetta porno”. Si tratta, dunque, della condivisione non consensuale di immagini e video a contenuto intimo e/o sessuale a danno della persona interessata – perlopiù una donna, ossia la vittima per eccellenza di tale reato -, per mano di individui che intendono punirla, umiliarla o vendicarsi della stessa.

Per tale ragione, nella maggior parte dei casi il fenomeno si verifica quando si conclude una relazione romantica, e una delle due parti, “lesa” dalla separazione, decide, appunto, di rivalersi, diffondendo video e/o fotografie scambiati o realizzati precedentemente in un contesto di fiducia.

Lo scopo è, quindi, quello di danneggiare la vittima, colpendone reputazione, sfera personale e socialità. Accanto a questo, altri obiettivi correlati al revenge porn possono essere anche l’estorsione – finalizzata a ottenere denaro o altri favori – e il cyberbullismo – per minare autostima e benessere della persona colpita. Meno comunemente, si può verificare anche la divulgazione accidentale, ma senza intenti malevoli.

Le diverse forme di revenge porn

Il fenomeno del revenge porn è capillare e diversificato. Quali possono essere le sue forme più comuni? Eccone un elenco:

  • condivisione diretta mediante social media (per esempio, Facebook, Instagram, Twitter e così via) o siti web dedicati, creati appositamente per divulgare contenuti sessuali non consensuali;
  • invio privato tramite messaggi (per esempio, i gruppi su WhatsApp) e mail a familiari, colleghi di lavoro e conoscenti della vittima;
  • caricamento di foto e video su piattaforme o forum, in cui altre persone possono diffondere ulteriormente i contenuti;
  • creazione di profili falsi sui social network o sui siti di incontro, realizzati per “impersonare” la vittima e divulgare il materiale a sua insaputa;
  • voyeurismo, ossia riprese nascoste e registrazioni di momenti di intimità effettuate senza il consenso della persona coinvolta, e poi diffuse;
  • deepfake, ovvero la manipolazione digitale attuata a video e immagini utilizzando il volto e/o il corpo della vittima per la realizzazione di contenuti falsi;
  • distribuzione fisica, quindi stampa e diffusione di immagini in luoghi pubblici o consegnati direttamente a persone che conoscono la persona oggetto di rivalsa.

Le vittime: effetti negativi e colpevolizzazione

Ma quali sono gli effetti che il revenge porn scatena nelle vittime? Come si può facilmente intuire, le conseguenze psicologiche, sociali e professionali possono essere molteplici e, in certi casi, anche molto gravi, in particolar modo a causa dell’impatto sull’esistenza delle persone danneggiate. Tra le più diffuse, vi sono:

  • ansia e depressione;
  • PTSD – disturbo da stress post-traumatico;
  • perdita di autostima;
  • isolamento sociale;
  • stigmatizzazione e victim blaming;
  • bullismo e cyberbullismo;
  • danni alle relazioni personali;
  • problemi professionali, demansionamenti, licenziamento;
  • difficoltà scolastiche e/o accademiche;
  • pensieri suicidi;
  • senso di vergogna.

Una sequela di malesseri che, in alcune circostanze, possono minare a fondo le sicurezze della donna lesa anche in modo irreversibile. Come testimonia Elisa, vittima di revenge porn durante l’adolescenza:

Nonostante io fossi evidentemente la vittima, avevo 12 anni e zero conoscenza della sessualità e di tutto quello che esiste oltre al sesso a fine riproduttivo, sono stata subito incasellata come la putt*na del paese, parole che mi sono state ripetute molte volte durante gli anni di scuola media e che mi sono rimaste nel cervello per sempre. Solo dieci anni dopo mi sono resa conto di essere la vittima di quella storia e, per la prima volta, sono riuscita a parlarne con delle amiche. A 12 anni ho iniziato ad avere i primi pensieri suicidi e oggi, quando vedo bambini di 12 anni, mi si spezza il cuore nel pensare che già da così piccoli e innocenti si può conoscere una sofferenza e un vuoto così grandi.

Revenge porn, rape culture e patriarcato

A legittimare – per le persone che lo compiono – il revenge porn vi è, tuttavia, un retaggio culturale ancora troppo radicato e, per molti, complesso da elidere. Nello specifico, a costituire l’alveo di fenomeni come quello della diffusione non consensuale di contenuti intimi vi è la cosiddetta rape culture, uno dei “fiori all’occhiello” del patriarcato.

Alla base della cultura dello stupro vi è l’idea che i corpi delle donne possano essere considerati alla stregua di oggetti da possedere, plasmare e usare a proprio piacimento, al fine di giustificare, così, la violenza sessuale che, su di essi, ha luogo.

Di qui, ecco prendere vita tutte le assunzioni correlate al revenge porn, ossia:

  • la normalizzazione dell’abuso;
  • la colpevolizzazione della vittima;
  • l’oggettivazione delle donne;
  • il predominio e il controllo dell’uomo sul corpo delle vittime;
  • la riduzione dell’autonomia delle donne;
  • l’impunibilità degli uomini.

Che cosa prevede la legge?

In Italia, il revenge porn è considerato reato, e, in quanto tale, prevede una reclusione da uno a sei anni e una multa dai 5 ai 15.000 euro. A regolarlo, vi è, a partire dal 9 agosto 2019, l’Articolo 612-ter del Codice Penale, introdotto con la legge nota come “Codice Rosso”, la quale, come si legge sul Corriere:

prevede l’introduzione di una corsia veloce e preferenziale per le denunce e le indagini per i casi di violenza contro le donne o i minori; allunga i tempi per sporgere denuncia (da 6 a 12 mesi); inasprisce le pene per maltrattamenti contro familiari e conviventi, stalking, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo. Essa, infine, introduce anche alcuni reati: sfregio del volto, costrizione o induzione al matrimonio, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. E diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, cioè revenge porn.

L’Articolo 612-ter punisce, dunque, tutti coloro che diffondono, cedono, pubblicano, inviano o sottraggono video o foto a sfondo intimo/sessuale, senza esplicito consenso della persona ritratta in essi. Ad aggravare la pena vi sono, poi, due casi:

  1. relazione personale, nel caso in cui i fatti siano commessi dal coniuge (anche se divorziato o separato) o da un individuo legato, in passato, alla vittima;
  2. vulnerabilità della vittima, ossia contesti in cui la donna danneggiata dai contenuti diffusi si trovi in una condizione di inferiorità fisica e/o psichica o in stato di gravidanza.

Come difendersi dal revenge porn

Nell’eventualità in cui ci si ritrovasse vittima di revenge porn, i primi passi per difendersi da quest’ultimo sono i seguenti:

  • raccogliere tutte le prove della divulgazione non autorizzata del materiale;
  • segnalare l’abuso alle piattaforme che hanno ospitato le foto e i video diffusi;
  • contattare la polizia e denunciare quanto accaduto alle autorità competenti;
  • richiedere assistenza legale, rivolgendosi ad avvocati specializzati in diritto penale o privacy;
  • cercare un supporto psicologico per affrontare il danno psichico e morale subito;
  • chiedere il sostegno di centri antiviolenza e gruppi di supporto che possano aiutare le vittime di revenge porn;
  • impostare gli avvisi di Google per ricevere una notifica ogniqualvolta appaia il proprio nome in rete e cancellare, così, tempestivamente qualsiasi contenuto venga diffuso in modo non consensuale.
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