La bellezza è una multidimensione, le soft skill un superpotere - INTERVISTA a Carmen Carulli

Leadership del futuro, bellezza sostenibile e sostenibilità del settore beauty: intervista con Carmen Carulli, Sales Director (ex CPO) in L’Oréal Italia, ma anche creatrice e coach di network per l'empowerment femminile.

In una società che ci vuole performanti, lei considera i fallimenti un’occasione: un inciampo inevitabile per arrivare alla piena fioritura di sé. In una concezione del lavoro ancora molto maschilista, che esalta le hard skill e l’iper specializzazione, lei è convinta che le soft skill siano un superpotere, per le persone che le possiedono e le coltivano, ma anche per le aziende perché, ça va sans dire, “le aziende sono fatte dalle persone!”.

Sales Director di recente promozione, ed ex CPO in L’Oréal Italia, Carmen Carulli ha una visione olistica della bellezza, volta a mettere al centro la persona nella sua integrità e superare l’idea stereotipica fatta di standard inarrivabili e, a conti fatti, poco desiderabili. La sua carriera all’interno dell’azienda leader mondiale nella cosmetica è, per certi versi, atipica; o forse ben rappresenta la nuova idea di leadership del futuro.

Abbiamo incontrato Carmen Carulli per parlare di bellezza consapevole e beauty sustainability, ma anche per tratteggiare un profilo professionale possibile per Women at Work, la rubrica di Roba da Donne che si occupa di raccontare i ruoli delle donne oltre gli stereotipi, vecchi e nuovi.

In breve, qual è la sua storia professionale?

Fare una sintesi breve è difficile, perché il mio è un percorso variegato e anomalo, che parte con una laurea in Economia, una specializzazione in Marketing e l’ingresso in un mondo del lavoro molto maschile e, sì, anche maschilista, in un’azienda del settore Tech. A muovermi, del resto, è sempre stata la voglia di sfidare me stessa e di crescere: così sono passata al Merge & Acquisition, trasferendomi a Tel Aviv nell’ambito di un progetto di sviluppo del mercato, per poi rientrare al marketing e in Italia in una multinazionale farmaceutica, gestendo progetti di change management e digitalizzazione. Da lì, ho accettato una nuova sfida, agli acquisti nel settore Luxury e poi in L’Oréal Italia, prima come Country Purchasing Director, e ora come Sales Director. Una carriera sui generis, che passa da settori distanti tra loro e ruoli che, ogni volta, ho dovuto imparare, ma tenuti insieme da un fil rouge, che è quello delle soft skill, per me il vero superpotere di una persona, uomo o donna che sia, sul lavoro ma non solo.

Parliamone. Per lei le soft skill sono una sorta di valore guida e di specialità: un super potere, appunto. Ne parla costantemente, e di fatto le soft skill sono state e sono il fulcro del suo percorso di formazione, coaching e associazionismo che, a partire dal 2020, va in parallelo ai suoi ruoli aziendali: prima da co-founder del network Linkedin dedicato agli acquisti, nonché al coaching e al mentoring, Women in Procurement; quindi ora anche mentor, coach e inspiring woman in Young Women Network e in Valore D. Questa parte del suo lavoro confluisce anche in un libro, edito da Dario Flaccovio Editore, dal titolo che racconta molto del suo approccio: Leadership dell’essere. Percorso virtuoso verso la liberazione attraverso le Soft Skills del futuro.

Sul lavoro, come nella vita, contano sì le competenze e le specializzazione, ma contano prima di tutto le persone, che vanno valorizzate e fatte fiorire. In tutti i ruoli che ho ricoperto, mi sono sempre trovata a gestire risorse umane. Chi ha ruoli di leadership deve essere in grado di lavorare con le persone e per le persone, valorizzando i loro talenti e le soft skill, appunto. Significa trasformare desideri in obiettivi, captare le inclinazioni delle persone e comprendere anche che non sono immutabili, ma anzi: il cambiamento per molte è linfa vitale. Così come io mi metto in continuazione a studiare per apprendere le competenze necessarie a ruoli nuovi, mi sono trovata a portare con me risorse ricollocandole in mansioni e progetti totalmente distanti da quelli di provenienza perché nel loro, come nel mio caso, la base solida risiede in un atteggiamento verso il lavoro che si nutre di nuovi stimoli e obiettivi.

Ok, ma le competenze tecniche?

Non siamo isole. Nessuna e nessun professionista è sufficiente a se stesso. Prendiamo il mio esempio e la mia recente promozione a direttrice vendite: io ho le (soft) skill per creare una squadra motivata, complementare e ottime capacità di negoziazione. Tutte le competenze tecniche che mi mancano le sto imparando, facendo affidamento sulle persone del mio team più preparate di me e valorizzandone le skill specifiche. Questo significa essere una squadra: io metto a disposizione il mio talento e la mia esperienza, tu i tuoi e così via. Le donne sono brave a fare squadra, quando ci si mettono, contrariamente a quanto ci hanno insegnato.

A questo proposito, parliamo di network di donne: da quello che ha fondato a quelli cui partecipa. Perché?

Per crescere insieme, donne che supportano le donne: aumentare lo spirito della sorellanza, che non è innato. Al contrario:  le donne hanno un grande limite storico e culturale che si riassume in quel famoso modo di dire “le donne sono le peggiori nemiche delle donne”. È un bias educativo: sin da piccole ci insegnano a confrontarci e a competere con le altre, mentre gli uomini imparano a “giocare in squadra” per conquistare gli obiettivi.

Cosa intende quando parla, cito il titolo del suo libro, di leadership dell’essere?

È un percorso per arrivare a liberarsi dai blocchi interiori che ci auto limitano e ci circoscrivono nelle zone di comfort di ciò che è noto, impedendoci di credere in noi stessi, nei nostri talenti e nella nostra capacità di cambiare e crescere. Non si tratta di buttarsi a caso, ma di smettere di autosabotarci e di non aver paura di sbagliare, vivendo i fallimenti come occasioni necessarie di apprendimento, senza le quali non possono esserci neppure i successi. Noi siamo esseri dinamici, siamo in costante mutamento: la nostra fioritura non può mai davvero darsi nella stasi. Alla fine, una persona è un insieme di tante qualità e non va considerata solo la performance.

Ma alla fine le aziende si misurano in numeri e obiettivi. E misurano dipendenti e collaboratori con metriche precise.

Vero. Numeri e obiettivi che si raggiungono, in modo sano e quindi duraturo, valorizzando le risorse affinché diano il meglio nel modo a loro più naturale.

Domanda difficile: cos’è per lei la bellezza.
Al di fuori dei canoni, che sappiamo essere culturali e temporali, la bellezza è un concetto che va ben oltre l’estetica. È una multidimensione, che comprende le cinque dimensioni di cui parlo anche nel mio libro: Fisica, Mentale, Emozionale, Relazionale, Spirituale. È interconnessione, non solo umana, ma anche con l’ambiente che ci circonda. In questo senso, credo che la mission di L’Oréal – “Creare la bellezza che muove il mondo” – esprima molto bene questo concetto di bellezza come forza motrice e appassionata.

L’incontro avviene all’indomani del Met Gala 2024 che diventa spunto di una riflessione sui canoni di bellezza costrittivi e “immobilizzanti”, cui sembra si stia tornando in barba alla lezione di Coco Chanel, diventata simbolo di emancipazione per aver rivoluzionato il concetto stesso di bellezza femminile, secondo l’equazione bellezza uguale libertà. Chanel, infatti, con le sue creazioni ha letteralmente liberato le donne dai diktat e dalle costrizioni delle borsette a mano e dei corsetti, delle gonne come dress code obbligatorio anche per esempio per andare a cavallo. Rendendo la moda espressione di autodeterminazione, ha regalato alle donne la libertà di movimento, che è anche libertà di prendersi spazio in un mondo ci vuole immobili e soprammobili, belle da guardare e da portare in giro, ma mai davvero libere o fuori controllo maschile.

Da questa ‘liberazione’ sembra però che noi ci si ostini a fuggire per rimetterci in gabbia. Prendiamo i met gala 2024. Corsetti strettissimi, gonne a sirena che impediscono di camminare, trucchi da portare come impalcature, strascichi e accessori che limitano il movimento, quando non lo proibiscono, come l’abito di sabbia della cantante Tyle, letteralmente trasportata sulle scale da una serie di ‘damerini’ nell’assoluta immobilità di una bambola.

Ora, i Met Gala non sono la vita reale, ma è indubbio che abbiamo un concetto di bellezza femminile limitante: rossetti che ci costringono a fare attenzione quando si mangia, tacchi che limitano il passo, abiti stretti o scomodi, beauty routine che prendono un tempo infinito, che gli uomini possono utilizzare altrove.  Perché non riusciamo a liberarci da queste catene?

Abbiamo introdotto anche nelle pubblicità, finalmente, corpi reali, non conformi ai canoni ed elementi nuovi di diversità: non vanno fatti passi indietro. Dobbiamo riprogrammare il nostro modo di concepire la bellezza, la moda e i linguaggi della rappresentazione in ottica sempre di multidimensionalità e multipotenzialità. Siamo diverse e diversi, per fortuna. Chi occupa spazi “in vista” ha delle responsabilità e deve onorare questa diversità.

Ecco, appunto: parliamo di questo. Il suo e il mio settore – bellezza e comunicazione – hanno responsabilità specifiche, che sappiamo. Sarà sempre in qualche modo così, o c’è la possibilità di una rivoluzione che parta anche dall’interno? In quel caso, come?

Le grandi aziende, specie del settore, sono chiamate a dare l’esempio e a contribuire alla creazione di una nuova narrazione sul corpo femminile e sull’idea stessa di beauty. Ma attenzione, non si tratta solo di una questione di immagine: le campagne visual, o di sensibilizzazione e le pubblicità sono importanti, importantissime, ma non bastano. Il cambiamento lo agisci nel concreto in azienda, tramite la formazione e un percorso di inclusion & diversity reale, e attraverso policy che promuovano, ma al tempo stesso obblighino anche e letteralmente a un nuovo corso. Avere dei KPI, ovvero degli obiettivi rigorosi, in tema di assunzioni paritarie, eque e contrasto a sessismo, ageismo, razzismo, abilismo, eccetera, significa agire se vogliamo una forzatura che funge da acceleratore a un cambiamento necessario, che diversamente troverebbe molta più resistenza. E attenzione: le aziende diciamo “costrette” a questo cambio di passo dal raggiungimento degli obiettivi, si trovano poi a beneficiare e a riconoscere la ricchezza che la diversità e un ambiente di lavoro equo portano con sé.

Un dovere di aziende come L’Oréal, che hanno la possibilità di farlo sta anche nel portare fuori questa rivoluzione e agire concretamente per valorizzare il territorio in cui operano. Come? Circondandosi, di nuovo per policy, di fornitori e di partner cui l’azienda chiede determinati KPI, a fronte però di un percorso di formazione e supporto al cambiamento in grado di creare un circolo virtuoso. Le piccole e medie imprese da sole non potrebbero permettersi obiettivi di qualità, sostenibilità ambientale ma anche di sostenibilità umana: un know how che invece le grandi aziende possono passare loro. Quindi sì, abbiamo la responsabilità di un cambiamento interno, ma anche di restituire ricchezza e promuovere il cambiamento attorno a noi: di nuovo, torniamo a quel concetto di “creare la bellezza che muove il mondo”.

Oggi se ne parla molto, anche nel beauty. Cosa significa sostenibilità e cosa il concetto di bellezza sostenibile?

Sostenibilità è sostenibilità ambientale, ma anche economica, sociale, umana. Allo stesso modo la bellezza sostenibile è un concetto che potenzia il concetto di benessere a 360°: significa stare bene con se stesse e con l’ambiente che ci circonda. Considerare, nel caso specifico, le donne nel loro insieme, anche spirituale e mentale: smettere di farne a pezzi i corpi per sottorporli a giudizi, o attribuire loro una data di scadenza e diktat impossibili quale quello di non invecchiare che, si sa, affligge anche gli uomini ma in modo totalmente diverso. Torno alle soft skill, e mi rendo conto di poter sembrare ripetitiva, ma perché credo che in esse ci sia la possibilità di valorizzare e riconoscere il senso della persona, di sperimentare se stessi e di sentirsi presenti e confidenti nel proprio essere. L’Oréal for the Future è un programma di sostenibilità che ci impegna a obiettivi concreti entro il 2030, ma non partiamo da zero e abbiamo già fatto passi importanti. Due esempi su tutti:

  • Dal 2005 il Gruppo ha ridotto del 78% in termini assoluti le emissioni di CO2 dei propri impianti produttivi e centri distributivi, superando il proprio obiettivo iniziale del 60% entro il 2020, a fronte di un incremento del 37% dei volumi di produzione nello stesso periodo.
  • Alla fine del 2019 L’Oréal contava 35 siti che utilizzano energia al 100% rinnovabile, compresi 14 stabilimenti.

Sono numeri di cui andare molto orgogliosi, e altri ne arriveranno, ma vorrei che si mettesse l’accento anche sul modo in cui stiamo partecipando al cambiamento sul territorio e sulla valorizzazione delle persone.

Cosa direbbe a una bambina o una ragazza che guarda al futuro, con legittimo desiderio ma anche con altrettanto legittima paura?

Di non aver paura di cambiare, e neppure di fallire.
Nessuna persona è la stessa persona per tutta la vita: si cambia, per fortuna, si evolve. È vero, ci sono persone che, anche lavorativamente parlando, ancora aspirano a fare lo stesso lavoro nello stesso posto per tutta la vita, ma oltre a essere molto difficile, in questo momento storico, è importante chiedersi se sia un desiderio reale o, di nuovo, timore di uscire dalla zona di comfort, magari perché si pensa di “non essere abbastanza” per desiderare o fare altro.

Le direi che la paura è sana, perché ci permette di riconoscere i pericoli e valutare i rischi, ma esiste un livello di paura altrettanto sano, che ci avvisa che siamo sulla strada giusta: esseri umani in trasformazione e in fase di realizzazione. Non è incoscienza, ma sfida del limite che spesso ci siamo autoimposte o la società ci ha autoimposto. Soprattutto se donne. C’è un momento in cui bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo, mettere a tacere quella voce del giudice interiore che ti dice che non sei all’altezza e ti trattiene nell’immobiità. Abbiamo troppa paura di fallire, perché ci hanno insegnato a performare: ma è solo provando, e anche fallendo, che possiamo inseguire qualcosa di più grande.

Le difficoltà ci sono, ma bisogna anche essere le persone che prendono per mano la propria vita e si assumono le responsabilità del cambiamento. O meglio, puoi anche scegliere di non farlo, ma mi sembra un po’ uno spreco non tentare, fare almeno un tentativo, dare una possibilità alla vita.

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