Exhaustion gap, perché c'è un divario di sfinimento tra uomini e donne

L'espressione "exhaustion gap" trae origine dall'analisi tecnica dei mercati finanziari e delinea, come si evince dalla sua traduzione, una "discrepanza di stanchezza" che interessa le donne e gli uomini, colpendo maggiormente le prime. Vediamo di che cosa si tratta nello specifico.

Lo stress, si sa, è causa di molteplici mali. Per alcune persone, però, lo stress è molto più elevato rispetto ad altre. Indovinate chi? Ebbene sì: le donne.

Questa disparità si chiama exhaustion gap e designa quel “divario di esaurimento” che sussiste tra gli uomini e le donne. Ma di che cosa si tratta, quali sono le sue caratteristiche e come si può diminuire? Vediamolo nel dettaglio.

Che cos’è l’exhaustion gap?

L’espressione exhaustion gap trae origine dall’analisi tecnica dei mercati finanziari e delinea, come si evince dalla sua traduzione, una “discrepanza di stanchezza” che interessa le donne e gli uomini, colpendo maggiormente le prime.

Nello specifico, si tratta della disparità che riguarda la percezione e la gestione dell’esaurimento e della fatica, legate perlopiù a fattori culturali, sociali e di genere, che confluiscono nel modo in cui le donne e gli uomini vivono lo stress, lo elaborano, lo sfogano e, soprattutto, lo esprimono.

A tale discorso si connette, naturalmente, un rischio molto più elevato di burnout, causato da un carico mentale e fisico che, rispetto agli uomini, nella maggioranza dei casi è doppio, come ha rivelato lo studio di McKinsey & Company condotto in ambito lavorativo e rivolto alle donne americane, The state of burnout for women in the workplace.

Perché riguarda le donne?

Ma perché riguarda soprattutto le donne? I motivi sono molteplici e nella gran parte dei casi, come accennato, concernono il doppio carico di lavoro: oltre agli incarichi professionali, infatti, spesso è ancora “compito” delle donne prendersi cura della casa, dei figli e dei parenti anziani, acuendo, così, in maniera vertiginosa la stanchezza e il dispendio di energia.

A esso si correlano, poi, le pressioni sociali e culturali, che richiedono alle donne di essere sia lavoratrici eccellenti, sia compagne, mogli e madri attente, dedite e mai distratte, sia persone attraenti e perfette. Pressioni che, se seguite pedissequamente, creano uno standard irrealistico e irraggiungibile, che soverchia le donne e le “costringe”, di fatto, a non fermarsi mai, dando vita a un loop infinito di malesseri, sfinimento e assenza tempo per sé e, quindi, di recupero delle forze.

E non solo. Pare, infatti, che il lavoro emotivo non riguardi solo la famiglia, ma anche l’ambiente di lavoro, nel quale le donne sono chiamate a mettere in campo doti quali l’empatia, la flessibilità e la resilienza. Come spiega Cristina Catania, Senior Partner di McKinsey:

In Italia il quadro normativo di tutela della salute e sicurezza sul lavoro stabilisce che deve essere valutato il rischio da stress correlato al lavoro e promuove il riconoscimento delle differenze di genere. Già nel 2017, un’indagine condotta in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale evidenziava che nel nostro Paese il fenomeno dello stress da lavoro colpisce in prevalenza le donne.

E ancora:

All’origine vi sono diversi fattori, tra cui gli impegni famigliari e la maggiore esposizione ad azioni discriminatorie e a barriere culturali che rendono la carriera delle donne più difficoltosa e con retribuzioni inferiori rispetto ai colleghi uomini di pari ruolo e competenze.

Le ragioni e le cause

I motivi di questo exhaustion gap affondando, allora, le proprie radici nella profonda disparità di genere che ancora piega il nostro contesto socio-culturale. Tra le ragioni del divario di stanchezza, dunque, possiamo trovare:

  • ruoli tradizionali di genere, che, come detto in precedenza, vedono nelle donne le prime e prioritarie responsabili della cura della prole e del lavoro domestico non retribuito, aggravando, così, il carico mentale e fisico;
  • segregazione occupazionale, la quale limita e ghettizza le donne in determinati ambiti lavorativi (come l’insegnamento e l’assistenza sanitaria, per citarne solo alcuni), meno remunerati e meno riconosciuti rispetto ad altri, e in cui, tuttavia, è richiesto un coinvolgimento emotivo maggiore;
  • a ciò si lega il glass ceiling, il cosiddetto “soffitto di cristallo”, ossia lo scarso avanzamento di carriera e, quindi, l’irrisorio raggiungimento di posizioni apicali da parte delle donne, le quali devono sforzarsi di più per dimostrare di possedere le competenze richieste e poter ricoprire ruoli di potere;
  • lavoro emotivo, che porta, in maniera spesso subdola e silenziosa, a prendersi carico delle emozioni e delle esigenze altrui, facendo passare in secondo piano le proprie, in favore dell’empatia e di un atteggiamento generalmente positivo e di supporto;
  • norme socio-culturali connesse alla vulnerabilità, per cui è più complesso, per gli uomini, mostrare le proprie difficoltà e, di conseguenza, rendere manifesta la propria stanchezza (conducendo spesso a conseguenze deleterie), a differenza delle donne, più portate a palesare lo stress e a rendere evidente l’exhaustion gap.

Come non cadere vittime dell’exhaustion gap

Ma come si fa a non diventare vittime dello sfinimento e a proteggere il proprio benessere ed equilibrio psicofisico? Farlo è fondamentale, ecco alcuni suggerimenti utili:

  • imparare a dire dei “No”, a impegni, richieste e lavori extra, e mettere dei confini ben chiari;
  • curare il proprio benessere, mentale e fisico, mediante lo sport, il contatto con la natura, la coltivazione dei propri hobby, la meditazione o, comunque, con attività che possano nutrire lo spirito e la mente e far sentire rigenerate;
  • delegare e distribuire le proprie responsabilità, abbandonando il perfezionismo e chiedendo aiuto, a colleghi, partner, figli, parenti, genitori e amici;
  • pianificare, in modo consapevole, momenti di relax e di pausa, come se fossero anch’essi degli “impegni” sul calendario, ma con la propria serenità e mirati alla rilassatezza, anziché alla produttività;
  • evitare l’auto-sacrificio, quindi l’auto-immolarsi a tutti i costi per soddisfare le necessità di tutte le persone che ci circondano.

Essere d’aiuto, fornire supporto e sostenere emotivamente (e non) le altre persone è un atto degno di ammirazione, ma solo se, in primis, stiamo bene noi: non possiamo prenderci cura di nessun altro, se siamo esauste.

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