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Nei mesi scorsi, unə persona della comunità LGBTQIA+ che ci segue da tempo ci ha scritto un messaggio via Instagram per farci notare come spesso, quando si parla di servizi per la salute mentale, si mettano in campo tante variabili trigger, tra cui soldi, neurodivergenze, traumi, accesso alle cure, variabili culturali e religiose, ma si faccia ancora fatica a parlare (bene!) della salute mentale delle persone che non rispondano a logiche eteronormative.

“Il problema della salute mentale delle persone queer, trans, con orientamenti o identità di genere non conformi è noto, nella teoria. Ci sono un sacco di statistiche sull’incremento percentuale nella comunità di patologie depressive e ansiose, di fenomeni quali l’autolesionismo e il suicidio. Eppure nella pratica, io come ogni persone LGBTQIA+ abbia provato a chiedere aiuto si è scontrata con professionistə impreparatə ad accoglierle: psicologə che fanno misgendering, che non hanno alcuna preparazione su temi quali la disforia o l’identità di genere; addirittura professonistə (ci vuole coraggio a chiamarli così!) che delegittimano o ridicolizzano le nostre istanze. È doloroso e sfinente.”

Questo un passaggio della lunga serie di messaggi, il cui filo conduttore stava nella domanda iniziale:

Come trovare psicologə che non mi giudichino?

Da questa domanda abbiamo deciso di partire quando, dopo alcune settimane, abbiamo iniziato un progetto in sinergia con Mama Mind, il primo centro medico online dedicato interamente alla salute della donna, nato dall’esperienza di Mama Chat.

Con l’aiuto dellə nostrə lettorə, abbiamo così raccolto cinque domande da parte di altrettante persone della comunità LGBTQIA+, per sottoporle alla dottoressa Margherita Lenzi, Psicologa Clinica e Psicoterapeuta, attiva anche online tramite Mama Mind, l’ambulatorio virtuale che riunisce professionisti e professioniste che offrono assistenza qualificata e personalizzata, attraverso psicoterapie e colloqui.

Salute mentale: 5 domande da 5 persone della comunità LGBTQIA+

Sono una ragazza trans di 22 anni. Solo l’anno scorso, ho cambiato tre professionistə perché mi facevano misgendering involontario o erano giudicanti. Come può una persona LGBTQIA+ trovare terapeutə davvero ally senza andare per tentativi estenuanti e dolorosi?

Immagino la fatica per questi continui cambiamenti: raccontarsi ogni volta a professionisti diversi, in setting differenti può generare appunto vissuti di impotenza e rassegnazione. Premetto che in quanto professionisti, noi terapeuti, dovremmo essere costantemente aggiornati sulle tematiche LGBTQIA+. Fa parte del nostro lavoro. Spesso però non tutti rimangono al passo con la continua evoluzione di questo mondo: basti pensare che i termini che descrivono la comunità di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali e asessuali, sono tanto ampi quanto la comunità stessa. È quindi facile “cadere” nel misgendering involontario, anche per i professionisti. In questi casi è molto utile chiarire fin dai primissimi incontri di terapia quali termini vorremmo che il/la professionista utilizzasse per rivolgersi a noi, sottolineando quanto sia importante e quanto possa essere doloroso l’uso di un pronome errato per esempio.

Sono una persona bisessuale e poliamorosa in terapia per attacchi di panico e ansia, ma il mio psicologo continua a indagare il mio orientamento e la mia vita affettiva e sessuale in modo intrusivo. A volte ho l’impressione che mi giudichi e che mi suggerisca di fare una scelta in ottica o eteronormata od omosessuale, come se anche lui pensasse che essere bisessuali significhi essere confusi e poliamorosi voglia dire promiscui.

Credo che il tuo vissuto sia molto importante e che non debba essere ignorato, soprattutto nel setting di terapia. Mi verrebbe da chiederti se sei riuscitə a parlarne con il tuo terapeuta e se pensi che questo tipo di dinamica relazionale si presenti anche al di fuori del rapporto con il tuo psicologo (“come se anche lui pensasse…”). In terapia infatti tendiamo a ri-proporre inconsciamente dei pattern relazionali che viviamo nella vita di tutti i giorni. In qualche modo la relazione terapeutica parla di noi e delle nostre relazioni quotidiane: in quali altri contesti ti sei sentitə giudicatə? Spesso la verbalizzazione dei propri vissuti in reazione ad un atteggiamento che, in questo caso, viene percepito come giudicante aiuta a superare dei momenti di impasse nel processo terapeutico.

Focus 1: il minority stress, cioè lo stress derivante dall’esperienza di vivere in una società che discrimina o emargina, colpisce duramente la comunità. Una ricerca del 2021 ha evidenziato che le persone LGBTQIA+ in Italia hanno un rischio del 40% più alto rispetto alla popolazione generale di sviluppare disturbi legati alla salute mentale, come l’ansia e la depressione​ (IPSICO, Firenze). Un ulteriore ricerca ha dimostrato che, tra gli adolescenti LGBTQIA+: il 58% ha pensato al suicidio almeno una volta nella vita, il 30% ha tentato il suicidio, evidenziando l’impatto devastante che la discriminazione e l’isolamento possono avere sul benessere psicologico di queste persone.

Sono una ragazza di 16 anni e so da quando sono bambina di essere lesbica, ma so che i miei genitori non accetteranno mai la cosa e non so cosa fare. Mi sento sbagliata, mi vergogno, amo una ragazza che i miei genitori pensano sia solo un’amica e mi devasta pensare che non potrò mai presentare ai miei la persona che amo. Dovrò mentire per sempre?

Dalle tue parole si percepisce quanto sia difficile per te tenerti dentro questi pensieri e sensazioni e quanto sia forte l’affetto nei confronti dei tuoi. Nel profondo sai bene quello che ti rende felice ad oggi e la tua ragazza ha un ruolo importante nella tua vita. È naturale sentire di voler condividere la propria felicità sentendoti libera di manifestarla, soprattutto alle persone più vicine a te. Ti chiederei cosa pensi potrebbe succedere nel fare coming out con i tuoi genitori. Quale potrebbe essere la tua paura? Prova a prenderti il tempo di rispondere dentro di te a queste domande e quando ti sentirai pronta affronterai le tue paure. Spesso può aiutare la presenza di una terza persona che ti conosca o di uno psicologo che possa “mediare” le possibili reazioni in un momento così delicato.

Focus 2: I dati sulla salute mentale delle persone LGBTQIA+ in Italia indicano una situazione preoccupante. Un’indagine del 2020 dell’Osservatorio Giovani e Sessualità ha rilevato che il 48% dei giovani LGBTQIA+ ha subito discriminazioni o bullismo a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere, fattori che possono contribuire significativamente a problemi di salute mentale come ansia, depressione e disturbi da stress post-traumatico.

Sono un ragazzo queer. Già alle elementari e alle medie ero considerato strano e bullizzato. Speravo che il liceo fosse il momento per non nascondermi più, l’occasione per essere me stesso. Ma la realtà è che subisco bullismo e forme di violenza verbale e psicologica quasi ogni giorno. Anche dai professori. Ho anche pensato di farla finita, ma la verità è che io vorrei vivere e poter essere me stesso.

Posso solo immaginare il dolore che ti porti dentro e i momenti difficili che puoi aver vissuto. Ma si sente la scintilla che porti con te perché, come dici tu, vorresti “essere te stesso” e vivere la vita. Hai provato a parlare con qualcuno di ciò che provi e dei traumi che hai subíto? Spesso gli episodi di bullismo ripetuti nel tempo vanno a minare la percezione di se stessi e la propria autostima portando la persona a chiudersi e a ritirarsi dalle relazioni. In questo modo vengono a crearsi ferite profonde che meritano di essere viste e sanate. Mi verrebbe inoltre da chiederti se sei a conoscenza di gruppi LGBTQIA+ sia online sia sul territorio che spesso offrono un’opportunità per sentirsi visti e riconosciuti laddove i contesti quotidiani non siano protettivi in questo senso. 

Sono una ragazza asessuale, ma nessunə psicologə che ho consultato sembra avere anche solo idea di cosa significhi. Mi sento delegittimata e costantemente non creduta.

Immagino quanto sia frustrante e doloroso per te. Spesso quando non ci sentiamo legittimati nelle nostre scelte tendiamo a chiuderci e ad ergere automaticamente delle difese che nel processo terapeutico non aiutano. Quello che potrebbe aiutarti, se non lo hai già fatto, è provare a dare voce a quello che senti quando il/la terapeuta mette in atto determinati comportamenti. Tu sei la principale protagonista della tua vita e delle tue emozioni e puoi sentirti libera di esprimerle. Soprattutto in un contesto terapeutico, che di per sé dovrebbe essere non giudicante.

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Mama Mind è il primo centro medico online dedicato interamente alla salute della donna, nato dall’esperienza di Mama Chat.
Un ambulatorio virtuale di professionisti e professioniste che offrono assistenza qualificata e personalizzata, attraverso psicoterapie e colloqui online per il benessere femminile.