Crinolina, perché da icona vittoriana è diventata simbolo di oppressione femminile
Accessorio, icona, gabbia letale o simbolo di oppressione? La crinolina è stata tutto questo: ecco perché e perché la moda l'ha recuperata
Accessorio, icona, gabbia letale o simbolo di oppressione? La crinolina è stata tutto questo: ecco perché e perché la moda l'ha recuperata
Scopriamo la sua storia e come è cambiata la percezione di questo capo nel tempo.
La crinolina era un accessorio della biancheria intima femminile utilizzato nel corso del XIX secolo. Costituita da una struttura rigida, simile a una gabbia, era pensata per dare sostegno alle gonne rendendole gonfie, ampie e voluminose.
Il termine “crinolina” deriva dal crine di cavallo e dalla stoffa omonima, che veniva utilizzata per foderare la struttura, composta di cerchi di acciaio e stecche di balena.
La crinolina fece il suo debutto all’incirca dal 1840, presentandosi come una sottogonna costituita da crini di cavallo, intessuti con seta oppure lino. A metà dell’Ottocento, furono prodotti svariati modelli di crinoline, sino a raggiungere la forma di “gabbia” a partire dal 1856, con l’utilizzo di cerchi di filo metallico.
Anche in tal caso, il successo fu enorme, sia negli ambienti aristocratici che in quelli borghesi. Non mancavano le guarnizioni usate per rendere più bella una superficie di tessuto così estesa: pon-pon, fiocchi, nastri, frange, rouches. Insomma, fantasia, creatività ed estro trasformarono la crinolina in un vero e proprio capo ricco di particolari.
Ma non era tutto fiocchi e leziosità: dietro l’ideale di femminilità – legata anche allo status sociale – la crinolina divenne anche un simbolo di oppressione, evidenziando le limitazioni imposte alle donne dalla società vittoriana. La sua struttura rigida e ingombrante, infatti, rappresentava non solo un’imposizione estetica, ma anche una restrizione fisica (e sociale).
Questo ha portato in tempi recenti a una rivalutazione della crinolina, trasformandola da icona dell’epoca vittoriana a simbolo delle lotte femminili per l’autonomia e l’espressione personale.
Molti resoconti inquadrano la crinolina come un accessorio pericoloso, oltre che ingombrante e scomodo. Diverse fonti affermano che molte donne, soprattutto negli anni ’60 e ’70 dell’Ottocento, persero la vita a causa dell’infiammabilità della crinolina: mentre svolgevano dei lavori di casa, l’indumento, causando la morte di chi lo indossava per le gravi ustioni riportate.
In Patriots Against Fashion: Clothing and Nationalism in Europe’s Age of Revolutions lo scrittore e giornalista bulgaro Petko Slaveykov ha spiegato che, nell’arco temporale compreso tra gli anni 1850 e 1864, quasi 40.000 donne sono morte in tutto il mondo proprio a causa degli incendi connessi all’uso della crinolina.
Seppure in quel periodo esistessero già tessuti meno infiammabili da impiegare per la realizzazione di abiti e indumenti, si preferiva non utilizzarli in quanto ritenuti meno eleganti da indossare.
La sua pericolosità, inoltre, è stata spesso collegata anche ad altri tipi di incidenti, come nei casi in cui la crinolina andava a impigliarsi nelle ruote delle carrozze, o a finire sotto i piedi, provocando delle cadute.
Nel mondo del fashion, si sa, niente passa mai di moda veramente. La moda contemporanea ha recuperato la crinolina, che è riemersa come simbolo di creatività e ribellione proprio nel suo farsi promemoria dell’oppressività che ha rappresentato (e, per contrasto, dell’emancipazione femminile).
Stilisti moderni l’hanno reinterpretata in modi audaci, utilizzandola per esprimere una visione di femminilità che sfida stereotipi e convenzioni tradizionali, spesso combinandola con elementi più moderni in un gioco di contrasti.
La crinolina ha conosciuto una prima rinascita nel 1948 grazie al New Look di Dior e in anni più recenti “gabbie” ispirate al XIX secolo si sono viste alla sfilata RTW della primavera 2013 di Alexander McQueen, ad esempio, o alla Couture dell’autunno 2014 di Jean Paul Gaultier.
La popolarità di questo capo non si limita alle passerelle: Chiara Ferragni, ad esempio, l’ha indossata sul palco del festival di Sanremo: l’outfit firmato Dior era pensato per rappresentare una vera e propria gabbia, simbolo degli stereotipi che continuano a imprigionare le donne.
Sullo stesso palco, pochi anni prima anche Achille Lauro l’aveva scelta per celebrare l’indipendenza della “Regina vergine” Elisabetta I.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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