La psichiatria è da sempre un capitolo complesso nella storia della medicina e non solo. Da quando l’uomo ha compreso che anche la mente può ammalarsi, i metodi per trattare i disturbi mentali non sono stati sempre etici. Anzi, salvo gli ultimi decenni, la storia è invasa da pratiche e interventi che oggi consideriamo brutali, anche disumani.

Uno di questi è la lobotomia, un’operazione che per decenni si pensava curasse alcuni disturbi della psiche come depressione, disordine bipolare, schizofrenia e disturbi della personalità.

Lobotomia: storia di una pratica psichiatrica controversa

Il termine “lobotomia” comparve diversi decenni più tardi rispetto alla nascita di questa pratica utilizzata in psichiatria in alcuni stati fino anche agli anni ’80. La storia dura all’incirca un secolo intero, chiamata in diversi modi fino ad arrivare alla terminologia con cui da dopo il 1950 la chiamiamo fino ad oggi.

Una pratica a dir poco controversa, per non dire barbara. Che scomparve solamente con l’introduzione dei farmaci psichiatrici, che hanno eliminato l’intervento chirurgico per il trattamento dei disturbi mentali.

La nascita

L’idea iniziale risale addirittura alla fine dell’800, quando Friedrich Golz, fisiologo e docente universitario, si accorse che i suoi cani, a seguito di un accidentale danneggiamento dei lobi temporali, erano diventati meno aggressivi, iniziando a pensare come intervenire sulla parte del cervello adibita alle emozioni umane potesse curare alcune patologie psichiatriche.

Il primo intervento su un essere umano della storia fu effettuato nel 1895 da parte Gottlieb Burkhardt, direttore di un ospedale psichiatrico in Svizzera, che operò i primi sei pazienti. Due di loro morirono pochi giorni dopo l’intervento, uno dei quali per suicidio, e gli altri due non ebbero i cambiamenti sperati.

Tanto che la comunità scientifica criticò aspramente quel metodo barbaro, come approccio alle malattie mentali. Eppure, fino agli anni Trenta si continuarono a effettuare interventi di quel tipo. Questa primitiva tecnica di lobotomia parziale si chiamava leucotomia.

La nascita della lobotomia

Fu solo nel 1936 che la lobotomia tornò ad essere praticata, in maniera “controllata”, da quello che, proprio grazie alla sua tecnica, vinse il Premio Nobel per la Medicina nel 1949. Si tratta di Antonio Egaz Moniz dell’Università di Lisbona, che decise di utilizzare la trapanazione del cranio in più punti e la distruzione della sostanza bianca dei lobi temporali tramite l’uso di alcol.

Il suo sistema miracoloso calmava i pazienti più aggressivi e difficili ed evitava le grida isteriche che solitamente dominavano gli istituti. Ridurre a vegetali i pazienti, tenendoli per sempre a letto o in carrozzina, sembrò un ottimo metodo risolutivo, che venne seguito da tanti psichiatri in tutto il mondo, tra cui Eric Cunnigham Dax, che perfezionò la tecnica e l’italiano Amarro Fiamberti.

Freeman e la diffusione radicale

Ma chi diffuse la tecnica portandola fino agli anni ’80 fu Walter Freeman, che battezzò l’intervento con il nome di lobotomia. Con l’aiuto di James W. Watts mise a punto una nuova tecnica che avrebbe semplificato e velocizzato l’operazione. Senza la necessità di aprire o bucare il cranio, Freeman notò che i lobi temporali si potevano raggiungere attraverso i dotti lacrimali degli occhi.

Inventò così la lobotomia transorbitale, e utilizzava un punteruolo da ghiaccio, detto orbitoclasto, molto lungo, infilato nel cervello dei pazienti attraverso i dotti lacrimali. Quest’operazione veniva fatta anche senza anestesia, e durava pochi minuti. Nel giro di una decina d’anni Freeman fu imitato in tutto il mondo, gli interventi annuali di lobotomia transorbitale passarono da 500 a 5000.

Freeman stesso faceva dei “tour” avanti e indietro per gli Stati Uniti trattando migliaia di pazienti affetti da disturbi mentali, anche al cospetto di giornalisti e curiosi. Tra gli altri, Freeman sottopose il paziente più giovane della storia alla sua pratica di lobotomia, il dodicenne Howard Dully. Fortunatamente, nonostante un primo periodo nel quale Dully fu ridotto a uno stato vegetativo, la giovane età del suo cervello gli permise di riprendersi nel corso degli anni.

Come funzionava? Una spiegazione tecnica

La lobotomia consiste nella recisione chirurgica di parte delle connessioni nervose della corteccia cerebrale frontale, la parte anteriore dei lobi frontali del cervello. Questa è l’area coinvolta nel comportamento emozionale, nella motivazione, nel riconoscimento di cose, persone, eventi, nella valutazione del rischio e nel comportamento sociale.

Per questo motivo fu la zona individuata come fonte di disturbi mentali e comportamenti antisociali.

Se inizialmente si recideva il cranio e parte del cervello stessa, il metodo Freeman introdotto nel 1945 prevedeva l’uso di un apposito strumento che, come abbiamo detto, usava come via d’accesso il dotto lacrimale. La tecnica fu rivoluzionaria, perché era talmente rapida e veloce che non necessitava neppure di ricovero.

Se pure la pratica dell’orbitoclasto era pericolosa, prima di allora l’operazione usava metodi ancora più devastanti e aggressivi. La tecnica del dottor Moniz ad esempio consisteva nel praticare due fori in corrispondenza delle ossa craniche frontali del paziente e iniettare, nella sottostante corteccia prefrontale, alcol etilico puro, che distruggeva le connessioni nervose.

Il medico creò anche uno strumento apposito per eseguire la leucotomia prefrontale, il leucotomo.

Gli effetti devastanti sulla salute mentale

lobotomia

Quando si parla di lobotomia, si pensa immediatamente a una pratica controversa, alle volte considerata anche barbara, completamente assurda da pensare al giorno d’oggi. Effettivamente, rimane una pagina particolarmente buia e spaventosa della medicina e della psichiatria. Molti pazienti morivano pochi giorni dopo l’intervento, alcuni per suicidio.

Nonostante dottori di fama mondiale riponessero incredibile fiducia in questo intervento, i pazienti che trovarono beneficio dalla lobotomia furono veramente pochi, se non nessuno. Furono pochi quelli che tornarono ad avere una vita pressoché normale, mentre la maggior parte di essi ebbe effetti devastanti sulla salute mentale e dovette rimanere in centri per malattie psichiche.

I principali effetti collaterali della lobotomia erano estremamente negativi: la perdita delle emozioni, la parte emotiva che ci rende esseri umani veniva completamente assopita. Questo comportava un calo di spontaneità, reattività agli stimoli esterni, perdita della consapevolezza di sé e di autocontrollo. Spesso come conseguenza comparivano crisi epilettiche.

Le persone che subivano la lobotomia sviluppavano una tendenza all’inerzia, perdendo ogni capacità di iniziativa. Inoltre, anche alcune capacità intellettive e cognitive venivano compromesse nella maggior parte dei casi. Si parla infatti di un ritorno a un cervello infantile: i pazienti di lobotomia risultavano regrediti a essere dei bambini, ma senza emozioni.

Lobotomia e casi celebri: le storie più famose

Delle decine di migliaia di interventi di lobotomia che furono fatti in tutto il mondo, alcuni sono rimasti nella memoria, perché riguardano personaggi noti al pubblico, o per l’impatto che hanno avuto sulle persone. Noi abbiamo raccolto questi 5 casi celebri di lobotomia.

1. Rosemary Kennedy

La sorella del Presidente John Fitzgerald Kennedy, Rosemary Kennedy, subì la lobotomia a soli 23 anni. La sua famiglia non gradiva la sua condotta morale, sessualmente esplicita. Con la scusa di avere un ritardo mentale, in realtà si trattava di dislessia, la operò il dottor Freeman.

La lobotomia la costrinse per sempre sulla sedia a rotelle, in stato vegetativo, incontinente e incapace di comprendere ciò che le accadeva intorno.

Se prima dell’intervento Rosemary era fonte di vergogna, dopo l’operazione le cose peggiorarono: passò il resto dei suoi giorni nascosta in un ospedale, affinché nessuno venisse a conoscenza delle sue condizioni. Persino sua madre smise di farle visita.

2. Evita Péron

Attrice, attivista politica, sindacalista, un personaggio molto amato dal popolo argentino, Evita Péron è uno degli esempi più noti di lobotomia, seppur insabbiato fino al 2011. Malata di cancro, Evita Péron morì a soli 33 anni, dopo un’operazione da parte dell’oncologo, nel 1952.

Intorno alla sua morte è emerso un mistero: nel 2015 il giornale Neurosurgical Focus divulgò la notizia, ripresa tra gli altri dalla BBC. Il neurochirurgo della Yale University Medical School, Daniel Nijensohn, avrebbe infatti rivelato prove che confermerebbero in maniera inconfutabile che Evita Perón fu sottoposta a lobotomia due settimane prima di morire.

Manena Riquelme, confidente e infermiera di James Poppen, il medico che avrebbe praticato l’intervento, sembrerebbe confermare l’ipotesi di Nijensohn. Evita Perón sopravvisse effettivamente alla lobotomia, ma uscì dal tavolo operatorio come un vegetale, smettendo completamente di mangiare e accelerando la sua strada verso la morte.

3. Josef Hassid

Conosciuto è anche il caso di Josef Hassid, un giovane violinista, nato in Polonia il 28 dicembre 1923, considerato un talento prodigioso. Ebbe un incredibile successo fin da giovanissimo, ma morì a soli 27 anni per aver contratto la meningite.

L’infezione insorse dopo un intervento di lobotomia prefrontale bilaterale, effettuato dopo anni di ricoveri in ospedale per un disturbo mentale, che lo rendeva a quanto sembra molto nervoso durante i concerti.

4. Frances Farmer

Frances Farmer è stata un’attrice di teatro e di cinema ad Hollywood, vissuta tra il 1913 e il 1970. La sua è una storia triste e controversa. A soli 22 anni, firmò il suo primo contratto con la Paramount, ma la sua ambizione e la sua incredibile personalità, troppo avanti per quei tempi, la spingeva a desiderare ruoli di spessore. Voleva recitare, interpretare ruoli diversi e complessi, non soltanto la bella bionda.

Era, in effetti, bellissima, ma anche una bravissima attrice, che si trovava però incastrata in una vita di compromessi e catene, di cui voleva liberarsi. Incapace di cambiare le cose, nonostante i tentativi di tornare a recitare in teatro e trovare l’amore, non corrisposto, iniziò a darsi agli eccessi di alcol e droghe e a collezionare denunce. La madre prese così la tutela della figlia e la fece internare in manicomio, dove, da quanto scritto nei diari che lasciò, visse un inferno di abusi e violenze.

Non fu mai accertato, ma si sparse la voce, che durante gli anni di manicomio, oltre agli svariati elettroshock, la Farmer fu sottoposta anche alla pratica della lobotomia. Specialmente perché, una volta uscita dal manicomio, nelle poche apparizioni che fece in televisione, apparve veramente “lobotomizzata”, pacata e assente. Non c’era più nulla della vivacità e dell’incredibile spirito della giovane attrice. Che morì per un cancro all’esofago a 57 anni, per via delle sue dipendenze.

5. Soldato Triz

Nel 1943 il Ministero della Difesa americana dovette fronteggiare una grave piaga sociale: la crisi dei reduci di guerra di ritorno dal fronte, uomini completamente stravolti e irriconoscibili. Il capo della Veteran Administration Frank Hines non ebbe esitazioni: diede l’ok a procedere, sugli ex combattenti, con la lobotomia. Martello e punteruolo per tutti, in perfetto stile Freeman.

Uno dei tanti soldati a cui toccò questa sorte fu il soldato Tritz: prima sottoposto a 28 elettroshock e infine costretto alla lobotomia, per curarlo dalle turbe mentali con le quali era tornato a casa dopo le missioni di volo della Seconda Guerra Mondiale. Per il resto della sua vita continuò a soffrire di attacchi epilettici, convulsioni nel sonno, incapacità di concentrarsi.

L’evoluzione della psichiatria moderna

Come abbiamo detto all’inizio dell’articolo, la psichiatria ha un percorso lungo e travagliato nella storia della medicina. Per psichiatria moderna si intende la corrente di pensiero e scienza che si è sviluppata nell’era moderna, dall’Illuminismo in poi, passando per l’‘800 e il ‘900. Fu infatti in questo periodo che la psichiatria fu canonizzata, e divenne una disciplina vera e propria che trattava i disturbi legati alla psiche.

Fu alla fine dell”800 che negli Stati Uniti aprirono i primi manicomi. Luoghi dove erano studiati più che curati i disturbi mentali, che iniziarono ad essere nominati e schematizzati. Nello scorso secolo la psichiatria ebbe un’evoluzione importante, iniziò a essere meno legata alla neurologia e più alla psicologia, con l’apporto di personalità come Sigmund Freud.

Nel corso del ‘900, in particolare dopo la prima metà e dopo la Seconda Guerra Mondiale, si arrivò a un tentativo di sviluppare sistemi diagnostici più affidabili, culminato con la pubblicazione del DSM-III nel 1980, che rappresentò un cambiamento significativo nel paradigma diagnostico. La svolta più significativa, che portò anche all’eliminazione di pratiche come la lobotomia, fu l’avvento dei farmaci.

La ricerca farmacologica va costantemente a pari passo con la ricerca clinica. Anche in questo ambito la storia ha fatto errori gravissimi nella somministrazione di medicinali che oggi sono vietati per gli effetti collaterali. Per questo, la ricerca di psicoterapie sempre migliori e più efficaci, affiancata alla ricerca di farmaci più adatti ad ogni disturbo, è la via principale dell’evoluzione della psicoterapia.

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