Lo straining è una "forma attenuata di mobbing" ma può fare male ed essere denunciato

Il termine straining deriva dall'inglese e, nello specifico, dal verbo "to strain", che significa "sforzare", "mettere sotto tensione". Come si evince dall'immagine che essa evoca, l'espressione si riferisce, dunque, allo scenario in cui una persona subisce una situazione particolarmente stressante in ambito professionale, differenziandosi, però, dal mobbing. Vediamo di che cosa si tratta.

La salute mentale è una cosa seria, anche sul posto di lavoro. Ma quante volte succede che proprio il luogo in cui trascorriamo la maggior parte delle nostre giornate feriali si trasformi in un anfratto ostile, causa di disagio e malessere?

Molto spesso è colpa dello “straining”, ossia una condizione a metà strada tra stress e mobbing generata da azioni perpetrate dai propri capi e fonte di sofferenza. Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Che cos’è lo straining e come si differenzia dal mobbing

Il termine straining deriva dall’inglese e, nello specifico, dal verbo “to strain”, che significa “sforzare”, “mettere sotto tensione”. Come si evince dall’immagine che essa evoca, l’espressione si riferisce, dunque, allo scenario in cui una persona subisce una situazione particolarmente stressante in ambito professionale, differenziandosi, però, dal mobbing.

Lo straining, infatti, tratteggia una condizione dissimile, dal momento che il disagio è causato da un’azione specifica o da pochi atteggiamenti isolati di ostilità, senza essere regolarmente reiterate, le cui conseguenze, tuttavia, possono risultare permanenti o durare un periodo di tempo molto lungo.

Le caratteristiche precipue dello straining sono, appunto, le seguenti:

  • a provocare lo stato di sofferenza sono uno o più episodi determinati, che non perdurano e non vengono ripetuti con costanza;
  • questi episodi possono riferirsi a cambiamenti nelle mansioni, isolamento (fisico e psicologico), marginalizzazione e/o estromissione dalle decisioni;
  • queste azioni hanno lo scopo di rendere frustrante e complessa la permanenza dell’individuo in azienda.

Il mobbing, invece, si distingue per le seguenti peculiarità:

  • è una forma di persecuzione psicologica, perciò, in quante tale, gli attacchi sono ripetuti, aggressivi e sistematici (e possono provenire da datori di lavoro, superiori e/o colleghi);
  • i comportamenti astiosi possono includere insulti, umiliazioni, critiche ed esclusione;
  • tali atteggiamenti hanno il fine esplicito e strategico di compromettere il benessere psicofisico della vittima e di condurla a lasciare il posto di lavoro.

Come specifica Pietro Bussotti, nominato nello staff di presidenza del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP):

I due fenomeni hanno delle caratteristiche comuni ma effettivamente anche delle differenze e peculiarità. Quando si parla di mobbing, ci riferiamo a una strategia fatta di azioni vessatorie che vengono esercitate con intenzionalità lesiva, in ambiente di lavoro, con una durata medio/lunga, perlomeno di alcuni mesi (come minimo sei) e con una frequenza elevata e polimorfa. Quindi le azioni di mobbing sono molteplici, frequenti, diverse tra di loro, ma comunque pensate su misura, per fare del male volontariamente a un lavoratore e ottenerne così il suo allontanamento dal processo produttivo.

Nel caso dello straining, invece:

Non c’è necessariamente l’intenzionalità di danneggiare la vittima, più frequentemente si concentra invece nel causare stress e disagio. Inoltre è spesso legato a un singolo evento o situazione. La differenza fondamentale tra mobbing e straining risiede nell’intensità e nella continuità del comportamento vessatorio. In sintesi, il mobbing è caratterizzato da un’aggressione costante e ripetuta, mentre lo straining si manifesta con azioni più isolate ma capaci di incidere profondamente sul benessere psicologico della persona.

Come riconoscere i segnali di straining sul lavoro

Ma come possiamo comprendere di essere vittime di straining? I segnali più evidenti possono essere i seguenti:

  • cambiamento nelle mansioni: alla persona vengono assegnati compiti dequalificanti, svalutandone le competenze e riducendone le responsabilità, senza fornire motivazioni precise;
  • esclusione comunicativa: l’individuo sottoposto ad azioni ostili può essere allontanato dai comparti decisionali, non ricevendo segnalazione di riunioni importanti, cambiamenti o novità che potrebbero impattare notevolmente sul proprio ruolo, marginalizzandolo sempre di più;
  • limitazioni e ostacoli: chi subisce lo straining potrebbe improvvisamente ritrovarsi a vedere minato il normale svolgimento dei propri compiti, in azioni quali il mancato accesso agli strumenti necessari, l’assenza di collaborazione da parte dei colleghi o cambiamenti non pattuiti nei turni e negli orari;
  • isolamento e solitudine: spesso, inoltre, le vittime subiscono una modifica per quanto concerne la propria postazione, e si trovano collocate in luoghi “remoti” dell’ufficio, lontane fisicamente – e psicologicamente – dalle altre scrivanie, oppure vengono isolate dai momenti più informali di socializzazione;
  • critiche eccessive: anche l’invettiva sproporzionata e ingiustificata contro il proprio operato e i più piccoli errori commessi può costituire uno dei campanelli d’allarme di un posto di lavoro ostile, contribuendo a sviluppare un clima di tensione e ansia;
  • limiti alla carriera: chi subisce lo straining, inoltre, può vedersi negato l’avanzamento a livello professionale, l’accesso a ruoli di maggiore responsabilità o la possibilità di candidarsi a nuove posizioni all’interno dell’azienda.

Gli effetti a lungo termine sulla salute mentale

Una condizione di questo genere, in cui vigono livore, sofferenza e una certa “invisibilità”, non può che causare degli effetti deleteri alla salute mentale di chi li patisce. Tra le conseguenze più comuni dello straining, infatti, vi sono i disturbi d’ansia, correlati a preoccupazioni continue, apprensione incontrollata, nervosismo e difficoltà eccessiva a distrarsi e rilassarsi, anche nei momenti di pausa dal lavoro.

Le svalutazioni, le critiche e gli atteggiamenti ricolmi di astio, poi, possono provocare anche stati di depressione e inficiare l’autostima, innestando dubbi relativi al proprio valore e alle proprie capacità e mettendo in discussione la propria adeguatezza, dipingendo, al contempo, una versione negativa di se stessi.

A ciò si aggiungono, inoltre, irritabilità, sbalzi umorali, frustrazione e suscettibilità, ma anche problemi di concentrazione e mnemonici, confusione e stasi decisionale e, soprattutto, insonnia, disturbi psicosomatici (come cefalee, malesseri gastrointestinali o tensioni muscolari) e, nei casi più gravi, vero e proprio burnout.

Come affrontare lo straining: consigli utili

Che cosa fare, dunque, nel caso in cui ci si ritrovasse vittime di straining? Ecco una serie di suggerimenti utili:

  • riconoscere, identificare e tenere traccia dei comportamenti ostili, causa di disagio e malessere, specificandone data, persone coinvolte, contesto e descrizione dell’episodio. Questa delineazione dettagliata può essere d’aiuto sia per riconoscere che cosa ci triggera, sia in caso di future comunicazioni ai datori di lavoro;
  • costruire una rete di supporto con i colleghi “benevoli”, con gli amici e con i familiari, cercando conforto, condividendo le proprie preoccupazioni e impressioni e traendo, da parte loro, sostegno, ascolto, empatia e fiducia;
  • mettere in discussione la propria permanenza in azienda, soprattutto nell’eventualità in cui i comportamenti ostili dovessero continuare a persistere e a intralciare la propria quotidianità professionale, il proprio benessere e i propri obiettivi di carriera;
  • limitare il coinvolgimento emotivo e dedicarsi ad attività che acuiscono il proprio benessere, come lo sport, gli hobby o pratiche di rilassamento (dalla meditazione alla mindfulness, fino alle tecniche di respirazione profonda);
  • fare ricorso, se necessario, a una terapia psicologica, che possa aiutare a elaborare la situazione e a individuare le strategie e le procedure per gestire al meglio le proprie emozioni e affrontare, risolvendoli, pressione e malessere.

Le conseguenze legali e come difendersi

In base all’articolo 2087 del Codice Civile, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure che risultano necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale dei propri dipendenti. Casi di straining, perciò, possono a pieno diritto rientrare nelle inadempienze di questo obbligo, portando la vittima alla facoltà di richiedere il risarcimento del danno patito al proprio titolare.

Oltre alla richiesta di risarcimento, le altre azioni legali che possono essere intraprese di fronte allo straining sono le seguenti:

  • segnalazione formale, scritta e documentata alle risorse umane della propria azienda;
  • fare ricorso ai sindacati e/o ai rappresentanti dei lavoratori, che possono suggerire le mosse più efficaci da eseguire;
  • denunciare la situazione all’Ispettorato del Lavoro, il quale può avviare le dovute indagini al riguardo;
  • valutare l’azione legale per danno esistenziale o biologico, previo certificato medico o perizia psicologica;
  • richiedere, eventualmente, un supporto legale specializzato da parte di un avvocato del lavoro che possa suggerire il percorso legale più appropriato.
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