La storia non raccontata dell'orfanotrofio. Ne esistono ancora in Italia?

L'etimologia della sua parola è già di per sé emblematica. Derivante dall'unione di due parole greche, "orphanós" ("orfano") e "tréphein" ("allevare"), l'orfanotrofio vede la sua nascita alla stregua di una struttura - pubblica o privata - in cui accogliere i bambini orfani, abbandonati o privi di una famiglia in grado di occuparsi di loro, al fine di prendersene cura, educarli e inserirli nel contesto socio-culturale di riferimento. La storia e le testimonianze non sono, però, sempre idilliache. Vediamolo nel dettaglio.

L’etimologia della sua parola è già di per sé emblematica. Derivante dall’unione di due parole greche, “orphanós” (“orfano”) e “tréphein” (“allevare”), l’orfanotrofio vede la sua nascita alla stregua di una struttura – pubblica o privata – in cui accogliere i bambini orfani, abbandonati o privi di una famiglia in grado di occuparsi di loro, al fine di prendersene cura, educarli e inserirli nel contesto socio-culturale di riferimento.

La storia e le testimonianze non sono, però, sempre idilliache. Vediamo la storia di questo tipo di istituzioni e qual è la situazione attuale, in Italia e nel mondo.

La storia degli orfanotrofi fino al giorno d’oggi

Primi vagiti e forme rudimentali di orfanotrofio si hanno già nell’antichità classica, come in quella greca e romana, dove i bambini abbandonati erano soliti essere lasciati all’aperto (la cosiddetta pratica della “esposizione”) ed essere o adottati, o ridotti in schiavitù.

Con l’avvento del Cristianesimo, l’assistenza dei bambini rimasti orfani divenne un vero e proprio dovere morale, al punto da condurre monasteri, chiese e istituzioni a creare i primi orfanotrofi. Un esempio esplicativo è l’iniziativa nota come “Ruota degli esposti”, che consentiva di lasciare, senza essere visti, neonati orfani, non voluti o trovatelli.

L’organizzazione e l’istituzionalizzazione degli orfanotrofi vennero, poi, delineate in maniera più accurata nel corso dell’età moderna, soprattutto in città come Firenze e Venezia, dove la loro costruzione veniva finanziata da generosi benefattori. Gli orfanotrofi divennero, piano piano, non solo luoghi di rifugio, ma anche strutture in cui i bambini potevano imparare un mestiere e rendersi utili a livello sociale.

Le dimensioni iniziarono, quindi, a crescere nei secoli successivi, in particolar modo con l’acuirsi di orfani causati da guerre, carestie, epidemie, povertà urbana e sfruttamento minorile. Di conseguenza, le condizioni all’interno degli orfanotrofi cominciarono a divenire molto dure, e l’attenzione al benessere affettivo e psicologico dei bambini risultò sempre più carente.

È proprio dopo i conflitti mondiali che la nomea negativa degli orfanotrofi prese piede e si diffuse con forza sempre maggiore: essi erano criticati e accusati di essere posti freddi, asettici e impersonali, disinteressati alla qualità della vita dei bambini accolti e al loro bene.

Esistono ancora gli orfanotrofi in Italia?

Ed è proprio per questo motivo che, oggi, gli orfanotrofi non vi sono più. In Italia, infatti, essi sono stati aboliti con la Legge 184/1983, che ha stabilito il diritto dei bambini di crescere in famiglia e ha, dunque, promosso l’affidamento familiare e l’adozione.

Nel corso degli anni, si sono, allora, imposte le seguenti alternative, di gran lunga più personalizzate e accoglienti rispetto agli orfanotrofi:

  • case famiglia: si tratta di strutture di dimensioni ridotte gestite da famiglie affidatarie o educatori, in cui si offre supporto psicologico, educativo e affettivo ai (pochi) bambini ospitati, con l’obiettivo di riprodurre la vita familiare e porre estrema attenzione alle esigenze individuali;
  • affidamento familiare: è una soluzione temporanea, mirata a eludere la permanenza in strutture e a privilegiare un ambiente familiare. In questo caso, infatti, i bambini e i ragazzi orfani o abbandonati vengono affidati per un breve periodo a famiglie che se ne prendono cura, fino a quando non potranno tornare alla famiglia d’origine (ove possibile) o saranno adottati;
  • comunità educative: molto spesso si tratta di organizzazioni più strutturate rispetto alle precedenti, rivolte a minori con necessità peculiari o in situazioni particolarmente complicate, caratterizzate, per esempio, da traumi gravi o difficoltà comportamentali;
  • adozione: nel caso in cui i bambini non potessero tornare alla famiglia d’origine o essere curati dai parenti, l’adozione rappresenta un’ottima soluzione per garantire una famiglia stabile e ospitale a chi ne ha bisogno.

L’impatto emotivo dell’orfanotrofio

Vivere in un contesto istituzionalizzato come l’orfanotrofio può avere un impatto significativo sul benessere psicologico, relazionale e sociale dei bambini coinvolti. Nonostante l’intento benevolo, infatti, la mancanza di attenzioni, di personalizzazione e il generale distacco affettivo hanno avuto effetti notevoli su chiunque le abbia vissute.

Tra le conseguenze emotive più diffuse, vi sono, senza dubbio:

  • senso di abbandono e rifiuto, cui si correla un profondo senso di perdita e, quindi, la paura di essere nuovamente abbandonati, difficoltà a fidarsi degli altri e insicurezza;
  • mancanza di attaccamento emotivo, causato dalla carenza delle figure genitoriali e dal susseguirsi degli operatori e degli educatori, elementi che possono influire in maniera pesante sulla capacità di creare legami affettivi, relazioni sane e rapporti autentici e duraturi;
  • bassa autostima, la quale si traduce in sensazioni e percezioni di sé come “non desiderati”, “non degni di attenzioni” e “non amabili”;
  • stress, ansia o depressione, frutto non solo del trauma dell’abbandono e della separazione dalla famiglia, ma anche delle condizioni di vita all’interno degli orfanotrofi (con sovraffollamento, carenza di risorse e, talvolta, anche abusi).

Gli orfanotrofi del mondo

E nel mondo, com’è la situazione? Alcuni orfanotrofi continuano a esistere, soprattutto nei Paesi in cui i sistemi di affidamento o adozione non sono ancora efficacemente strutturati. Un emblema è costituito dai Paesi in via di sviluppo: nazioni come l’Africa, l’Asia e l’America Latina, per esempio, vedono una presenza ancora preponderante degli orfanotrofi, i quali rappresentano la risposta prevalente a situazioni di abbandono o perdita dei genitori.

A renderli necessari vi sono, in particolar modo, l’alta incidenza di povertà, i conflitti armati, le epidemie e i disastri naturali. Ne deriva un sovraffollamento delle realtà ospitanti, in cui vigono carenza di risorse e standard inadeguati di cura e gestione.

In aree colpite gravemente dalle guerre e dalle crisi umanitarie (come l’Ucraina e la Siria, per citarne solo alcune), infine, gli orfanotrofi si pongono spesso come rifugi temporanei per bambini sfollati o separati dalle loro famiglie d’origine.

In generale, gli orfanotrofi mondiali si trovano tuttora a fronteggiare una molteplicità di sfide, come: l’assenza (quasi) totale di risorse e i fondi limitati; le condizioni di vita inadeguate, con scarsità di cibo, mancanza di igiene e sovraffollamento; traumi e isolamento emotivo, che possono causare problemi psicologici di diversa natura; abusi e sfruttamento, con traffico di minori, lavoro minorile e/o violenze sessuali; accesso limitato o del tutto assente all’istruzione.

3 storie di bambini orfani

Sono molteplici le storie e le testimonianze di bambini orfani, abbandonati e/o adottati. Anche nella letteratura. Si pensi, infatti, a uno dei ritratti più vividi, ossia quello offerto da Charles Dickens nel 1837 con il suo Oliver Twist, simbolo reale della situazione in cui versavano gli orfani della Londra vittoriana, tra fame, sfruttamento e abusi.

Per quanto concerne l’attualità, invece, tra le esperienze più recenti si possono citare quelle di:

  • Hope, bambino nigeriano considerato stregone e, dunque, cacciato di casa, senza vestiti, a soli 2 anni. Dopo otto mesi di vagabondaggio, ormai denutrito e in pessime condizioni, ha avuto la fortuna di incontrare la cooperante danese Anja Ringgren Lovén, per poi essere soccorso dai volontari della ONG indipendente African Children’s Aid Education and Development Foundation, la quale è riuscita a raccogliere un milione di dollari in donazioni;
  • Saroo Brierley, la cui storia è narrata nel libro A Long Way Home e nel film Lion – La strada verso casa. A 5 anni, dopo essersi perso in una stazione ferroviaria in India, Saroo è stato accolto in un orfanotrofio di Calcutta, per poi essere adottato da una famiglia australiana. Grazie a Google Earth, dopo oltre 25 anni dalla separazione dalla madre, è riuscito a localizzare la sua cittadina (di cui non ricordava il nome) e a ritrovare la sua famiglia biologica;
  • i “Lost Boys” del Sudan, ossia i migliaia di bambini rimasti orfani durante la guerra civile in Sudan, appunto, i quali furono costretti a vagare per migliaia di chilometri in cerca di sicurezza in molteplici campi profughi e furono successivamente adottati in diversi Paesi del mondo. La loro vicenda è stata fonte d’ispirazione per numerosi documentari e iniziative umanitarie.
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