Francesca Morvillo, la donna e la magistrata (non solo la moglie di Giovanni Falcone)

Unica donna in magistratura a essere stata assassinata dalla mafia in Italia e, al contempo, quinta e ultima vittima della strage di Capaci del 23 maggio 1992, Francesca Morvillo non è stata solo la moglie di Giovanni Falcone, ma anche una donna determinata, coraggiosa e pioniera, che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata, all'insegnamento e alla tutela dei minori.

È stata l’unica donna in magistratura a essere stata assassinata dalla mafia in Italia. Al contempo, è stata anche la quinta e ultima vittima della strage di Capaci del 23 maggio 1992, che ha visto morire il magistrato (e marito) Giovanni Falcone e tre agenti della sua scorta. Francesca Morvillo ha dedicato la sua vita alla lotta contro la criminalità organizzata, all’insegnamento e alla tutela dei minori.

E noi, oggi, a distanza di 80 anni dalla sua nascita, la ricordiamo così.

Chi era Francesca Morvillo: vita e carriera

Francesca Morvillo è nata a Palermo il 14 dicembre 1945 da Guido Morvillo, sostituto procuratore, e Carmela D’Aleo. Laureatasi in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo il 26 giugno 1967 con una tesi intitolata Stato di diritto e misure di sicurezza (con cui ottenne il massimo dei voti e la lode accademica), Morvillo, donna determinata, estremamente intelligente e vera e propria pioniera, ha deciso di seguire le orme del padre e del fratello, Alfredo, e di entrare, così, in Magistratura.

Di qui, i diversi incarichi e il progredire veloce e rigoglioso della sua carriera. Francesca Morvillo ha, infatti, rivestito il ruolo di giudice del tribunale di Agrigento, di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, di Consigliere della Corte d’Appello di Palermo e di componente della Commissione per il concorso di accesso in magistratura. Ha, inoltre, ricoperto il ruolo di docente di Legislazione del minore nella scuola di specializzazione in Pediatria presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ateneo palermitano.

Nel corso degli anni ’80, Francesca Morvillo si è avvicinata al lavoro del pool antimafia e, in questo contesto, ha conosciuto e, in seguito, sposato (nel maggio del 1986) Giovanni Falcone, all’epoca giudice istruttore presso il tribunale di Palermo e impegnato nella lotta contro Cosa Nostra insieme a Paolo Borsellino, Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto.

Il ruolo di Francesca Morvillo nella lotta alla mafia

Il rapporto tra Francesca Morvillo e Giovanni Falcone è stato segnato, fin dall’inizio, dal sacrificio e, soprattutto, dalla costante minaccia di Cosa Nostra, dalla paura e dal pericolo sempre in agguato.

L’estrema difficoltà in cui versavano non ha, tuttavia, impedito a Morvillo di dedicarsi pienamente alla lotta alla mafia, e di farlo secondo le modalità che le stavano più a cuore: i minori. L’impegno della magistrata, infatti, si è riversato, in particolar modo, nella giustizia minorile, ossia un ambito cruciale nella prevenzione alla criminalità organizzata.

Il suo lavoro, appunto, era mirato a proteggere e a recuperare i giovani coinvolti in contesti di disagio sociale, ovvero quelli maggiormente a rischio di divenire manodopera per la mafia, e di cui era fondamentale garantire la tutela.

In qualità di compagna di vita e moglie di Falcone, Francesca Morvillo ha sostenuto, rafforzato e contribuito al lavoro del magistrato, con cui ha condiviso rinunce e sacrifici. Come si legge sul sito della Fondazione Falcone:

Pur consapevole dei gravissimi pericoli cui era esposto il coniuge, gli rimaneva costantemente accanto sopportando gli stessi disagi e privazioni, sempre incoraggiandolo ed esortandolo nella dura lotta intrapresa contro la mafia. Coinvolta, insieme al magistrato, in un vile e feroce agguato, sacrificava la propria esistenza vissuta coniugando ai forti sentimenti di affetto, stima e rispetto verso il marito, la dedizione ai più alti ideali di giustizia.

L’attentato di Capaci e la scelta di Francesca Morvillo

Francesca Morvillo lo sapeva. Sapeva che la sua vita e quella di Falcone correvano sul filo del rasoio ed erano costantemente e inevitabilmente minacciate. E la sua scelta, nonostante l’altissimo rischio che ciò comportava, è stata strenua e cristallina fin dall’inizio: condividere fino alla fine gli ideali e il modo di vivere del marito e magistrato, standogli vicino – pur consapevole dei pericoli cui andavano incontro entrambi – e senza aver mai accettato l’eventualità di stargli lontano, come conferma il fratello Alfredo Morvillo.

Fino alla strage di Capaci, che il 23 maggio 1992 ha visto l’esplosione di 500 chili di tritolo posti sull’autostrada al chilometro 5 della A29, all’altezza dello svincolo di Capaci-Isole delle Femmine, che ha causato la morte di Giovanni Falcone e di tre uomini della sua scorta, ossia Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, a bordo della Fiat Croma guidata dallo stesso Falcone.

Le lancette dell’orologio di Francesca Morvillo, secondo le cronache, rimasero ferme alle ore 17:58, momento esatto dell’esplosione. Il cuore della magistrata, estratta ancora viva dall’auto, ha continuato a battere per qualche ora, per poi spegnersi al Civico Benefratelli durante un’operazione chirurgica, alle ore 23, a causa delle gravi lesioni interne riportate, e raggiungere, così, simbolicamente il marito (morto durante il trasporto in ospedale).

Francesca Morvillo, non solo “la moglie di Falcone”

Francesca Morvillo, però, non è stata solo “la moglie di Falcone”, ma anche, e soprattutto, una magistrata che ha dedicato tutto il suo impegno e tutta la sua dedizione alla lotta contro la mafia e alla giustizia, soprattutto dei più piccoli.

La competenza e la passione con cui si è votata alla tutela dei minori, appunto, la rendono degna di essere ricordata come una delle protagoniste più importanti della battaglia contro la criminalità organizzata, in particolar modo per la sua attenzione sconfinata e il suo ingente lavoro volto ad aiutare i bambini e ragazzi cresciuti in contesti mafiosi e a offrire loro un’alternativa e un’opportunità di rivalsa.

In suo onore, oggi, diverse istituzioni e scuole portano il suo nome, e la sua esistenza, fatta di determinazione, intelligenza, coraggio e forza di volontà (ricordiamo che, all’epoca, la magistratura non era un “ambiente per donne”), costituisce un emblema di pionierismo e fervore, soprattutto per le nuove generazioni di donne che decidono di entrare nel mondo della magistratura e di dedicarsi alla lotta per la legalità e alla difesa dei valori correlati.

Una vita dedicata alla giustizia da raccontare alle bambine e ai bambini

La cura riversata nella tutela dei minori ha rappresentato il motore propulsore della sua intera carriera da magistrata. Come racconta Sabrina Pisu nel libro dedicato a Francesca Morvillo, intitolato Il mio silenzio è una stella. Vita di Francesca Morvillo, giudice innamorata di giustizia ed edito da Einaudi, infatti:

Il cuore del suo lavoro come magistrata è stato con e per i minori, perché dal 1972, e per oltre sedici anni, è stata sostituto procuratore minorile. Si è dedicata con profonda cura, sensibilità e un approccio all’avanguardia per l’epoca, al recupero dei giovani che ieri, come oggi, finiscono ancora bambini dietro le sbarre del Malaspina di Palermo, un Istituto Penale Minorile maschile, con ragazzi dai 14 ai 25 anni che hanno commesso reati contro il patrimonio, come furti e rapine, spaccio di droga e reati contro la persona, come omicidi. Il loro destino, ieri come oggi, sembra scritto dalla nascita in quartieri dove il governo è in mano alla piccola e grande criminalità.

Ma Morvillo era caparbia:

[Quello di questi ragazzi era] Un destino, come racconto nel libro, al quale Francesca Morvillo si è opposta con tutta se stessa: lei ha dato ai giovani una fiducia e un’attenzione mai ricevute prima. È stata la prima magistrata, il primo magistrato in assoluto, ad entrare nel carcere e dialogare, dare fiducia a questi giovani: con una visione e un metodo inediti, mettendo sempre al centro l’interesse, la tutela del minore e le sue esigenze educative, con l’obiettivo di reinserirlo socialmente anticipando, nei fatti, la riforma del 1988 che disciplina ancora oggi il processo penale a carico di imputati minorenni, perseguendo il fine educativo e di reinserimento sociale.

In questo modo, chiosa Pisu:

Senza volerlo né rendersene conto, Francesca Morvillo ha rappresentato un simbolo per un’intera generazione, palermitana e non, di donne che aspiravano alla stessa carriera. E che l’hanno seguita farsi strada, prendersi il posto che sentiva suo nella società, con l’aspirazione di farne un luogo più armonioso e pulito per tutti, a partire dai bambini.

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