Belle da morire: 5 tendenze del passato da non seguire
Alcune mode sono molto fashion ma altrettanto dannose o, addirittura, pericolose. E la storia ci racconta che è stato sempre così.
Alcune mode sono molto fashion ma altrettanto dannose o, addirittura, pericolose. E la storia ci racconta che è stato sempre così.
Lo dice anche il detto: “chi bella vuole apparire un poco deve soffrire” ed effettivamente è una cosa che possiamo facilmente riscontrare nella vita di ognuna di noi tra dieta, palestra, tacchi, chirurgie estetiche più o meno invasive e mille trucchi per cercare di essere sempre belle.
In confronto alle donne di una volta, però, la nostra è una vita molto più semplice anche dal punto di vista estetico. Proviamo a vedere quali sono stati gli accessori in voga nel passato, quelli che adesso potremmo chiamare must. Delle pratiche o degli oggetti che amplificavano la femminilità, o meglio, l’idea di femminilità di un tempo ma che spesso erano nocivi se non, addirittura, mortali.
Analizziamone alcuni.
Partiremo con il re degli indumenti di seduzione che è arrivato, in variante più confortevole, anche ai giorni nostri: il corsetto. L’indumento aveva lo scopo di conferire alla donna una vita molto sottile (l’ideale non superava i 40 cm) in netto contrasto con la gonna che doveva essere molto, molto ampia.
I primi corsetti comparvero nel XVII secolo ed erano dei busti in metallo chiusi sulla schiena con una molla o una chiave. Presto questo tipo di indumento venne sostituito con uno più “confortevole” formato da stecche di balena o vimini cuciti direttamente nel tessuto. Indossare il corsetto non era cosa semplice e richiedeva l’aiuto di qualcuno. Tutte ricorderemo la famosa scena del film Titanic durante la quale Rose viene aiutata dalla madre a chiudere i lacci del bustino.
Thorstein Veblen, sociologo ed economista statunitense, scrisse nel suo libro “La teoria della classe agiata” che “il busto è uno strumento di mutilazione al fine di ridurre la vitalità del soggetto e di renderla evidentemente inadatta al lavoro. Certo esso menoma le attrattive personali di chi le porta, ma la perdita subita in questo senso è compensata dall’evidente accrescimento del suo valore di mercato”.
L’uso del busto non era privo di controindicazioni. Il fisico subiva trasformazioni esteriori ma, soprattutto, e più sicuramente più pericolose interiori. Tutti gli organi interni venivano compressi verso l’alto ed erano molto frequenti le emorragie interne, gli svenimenti e i disturbi digestivi.
La cronaca di quell’epoca narra di alcune giovani donne morte per aver indossato corsetti talmente stretti che le costole avevano trafitto loro il fegato.
I corsetti che conosciamo noi sono di tutt’altro stile. Per noi rappresentano un capo sexy da utilizzare nel gioco della seduzione. Sicuramente non sono più indumenti di tortura e costrizione.
La crinolina è un accessorio di utilizzato dalle nobildonne nel corso del XIX secolo. Consisteva in una sottogonna strutturata e molto ampia che dava forma agli abiti.
Il nome deriva dal tessuto rigido e apprettato, il crinolino, con il quale veniva realizzato.
Uno dei segni distintivi della ricchezza delle famiglie consisteva nello sfoggio degli abiti durante le serate di gala e la regola dell’epoca dettava che più un abito era ampio, più costava e di conseguenza più la famiglia era benestante.
A metà dell’Ottocento un sarto inglese trapiantato a Parigi sostituì il crinoline con una vera e propria gabbia formata da cerchi metallici e molle d’acciaio che conferivano all’abito ulteriore volume.
A causa del notevole ingombro le gonne rischiavano di finire impigliate tra le ruote delle carrozze e la struttura di ferro o legno tendeva a fare “vela” nelle giornate ventose.
Ma i rischi erano ben maggiori.
Si racconta infatti che nel 1863 a Santiago del Cile moltissime persone morirono in un incendio scoppiano in una chiesa. Inavvertitamente una candela cadde su dei tendaggi appiccando il fuoco.
Le persone scapparono ma le donne rimasero incastrate a causa delle loro crinoline impedendo l’uscita e condannando a morte loro stesse e le altre persone all’interno della struttura.
La storia narra che in un pomeriggio il re Luigi XIV di Francia, il Re Sole, era a caccia a cavallo con una delle sue amanti, la marchesa de Fontange.
La dama perse inavvertitamente il cappello e per evitare che i capelli le dessero noia li legò con un nastro di raso.
Al Re l’acconciature piacque parecchio e “la moda” si diffuse subito tra le dame a corte, in tutta la Francia e successivamente in tutta Europa.
Da un semplice modo di acconciarsi i capelli, però, si passò ad un intricato e complicato copricapo ricco di nastri, merletti, pizzi e strutture sempre più ingombranti, pesanti e difficili da indossare.
Le dame, spesso, soffrivano di dolori al collo causati dallo schiacciamento delle vertebre cervicali e gli svenimenti erano frequenti.
Ma il pericolo maggiore derivava dal fuoco.
Come testimonia la fine della povera Frau Von Ilten che mentre volteggiava nei saloni di uno dei castelli del re Ludwig di Baviera andò ad urtare un lampadario di candele e il suo Fontange prese fuoco bruciandole viso, collo e mani.
Nella storia dei canoni estetici una pagina importante è caratterizzata dalla pelle candida.
Avere la carnagione bianca come porcellana era infatti simbolo di ricchezza e di nobiltà.
Non a a caso un detto recita “A donna bianca poco manca”.
Ma il colore non doveva essere bianco, doveva raggiungere quello che veniva chiamato “stato mortale” per essere perfetto.
E per un crudele scherzo del destino nel nome era racchiuso il futuro di molte donne.
I trucchi che le donne utilizzavano, erano composti da ingredienti pericolosissimi come piombo e arsenico.
Questo tipo di veleni ha bisogno di tempi molto lunghi per manifestare il proprio fattore di rischio.
La prima vittima documentata, morta a causa dell’avvelenamento da piombo, fu Marie Gunning una nobildonna irlandese famosa, appunto, per la sua pelle di porcellana.
I sintomi di avvelenamento da piombo sono numerosi: mal di testa, inappetenza, anemia, paralisi, insonnia e un gusto metallico costante in bocca.
Tutti disturbi che i medici del XVIII e XIX secolo riscontravano frequentemente nelle donne dell’epoca.
Il termine Loto d’Oro deriva dall’andatura oscillante che assumevano le donne sottoposte alla fasciatura dei piedi.
La storia racconta che la pratica del Loto nacque nel 900 d.c. da una concubina imperiale che si fasciò i piedi con lunghe fasce si seta per danzare in favore dell’imperatore cinese.
Successivamente la moda si diffuse per tutta la Cina e le famiglie praticavano la fasciature ai piedi delle figlie in modo che potessero trovare marito.
Il piede normale, era infatti, considerato poco consono ed elegante per una donna.
I piedi, una volta deformati, venivano coperti da minuscole scarpine create direttamente dalla donna per mettere in mostra la forma del piede e le proprie doti artigianali.
l piede e la scarpa erano il biglietto da visita della donne: ne indicavano l’eleganza, la capacità di sopportare il dolore e le sue capacità casalinghe.
Nelle famiglie agiate le bambine venivano fasciate tra i 2 e gli 8 anni non modo che la pratica fosse meno dolorosa mentre nelle classi contadine la fasciatura iniziava più tardi perché le bambine dovevano poter lavorare nei campi fino a quando non si concordava il loro matrimonio.
La pratica consisteva in due operazioni: per prima cosa si piegavano le quattro dita più piccole al di sotto della pianta del piede mente l’alluce veniva avvicinato al tallone facendo inarcare il collo del piede.
Il tallone diventava quindi l’unico punto d’appoggio e questo causava l’andatura fluttuante della donna paragonata, appunto, ad un fiore di loto mosso dal vento.
Il piede doveva rimanere costantemente fasciato, anche durante la notte, e necessitava di continue cure per pulirne le infezioni e le escoriazioni.
Spesso le dita andavano in cancrena e dovevano essere amputate e numerose furono le donne morte a causa delle infezioni.
Bionda convinta dentro e fuori. Cinica e distaccata a primo impatto ma capace di lacrimare copiosamente nei momenti meno opportuni. Praticamente un tortino di cioccolato. Sic et simpliciter.
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