Ci sono emozioni così intense che a volte è superfluo esprimerle con le parole, ci sono momenti in cui i ricordi d’amore affiorano alla mente in modo così inaspettato che è difficile trattenere le lacrime, cercando, nel silenzio, le mani di chi ha condiviso con te tanti anni della tua vita: è quello che è accaduto all’artista Marina Abramović, famosa per le sue performance dal vivo, cariche di violenza passiva, che tanto hanno fatto discutere.

La Abramović, in occasione della sua retrospettiva al MoMA 2010 “The Artist is Present”, ha deciso di condividere almeno un minuto di silenzio con chiunque si sedesse davanti a lei; la sua performance è durata per più di 700 ore e ha visto la partecipazione di 1400 persone (una delle quali ha anche chiesto all’artista di sposarlo).

Ma c’è una persona in particolare che ha reso la performance forte e commovente: si tratta dell’artista tedesco Uwe Laysiepen, conosciuto come Ulay, con cui  la Abramović aveva cominciato a collaborare dal 1976 e con il quale ha avuto una relazione durata dodici anni; particolarmente nota la loro provocatoria performance “Imponderabilia” del 1977, messa in scena alla Galleria d’arte moderna di Bologna, quando i due, nudi, si sono messi ai lati della stretta porta d’ingresso della galleria. Le persone per entrare erano costrette a passare in mezzo ai loro corpo, volgendo lo sguardo o verso il nudo maschile o verso quello femminile.

L’addio tra i due avviene nel 1989, sempre attraverso una performance poetica: la Abramović e Ulay, partendo dal lato opposto, percorrono la muraglia cinese e si incontrano al centro, per dirsi addio e continuare poi ognuno per la sua strada.

Da quel momento, i due non si vedono più per ben vent’anni, finché Ulay non si siede dinnanzi a lei e i loro occhi parlano, emozionati e commossi, ricordando quello che c’è stato, nel silenzio.

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