L’India è soprattutto tradizione, usi, costumi e spiritualità. E in un paese in cui non si può propriamente parlare di religione di Stato è proprio la tradizione a giocare un ruolo fortemente repressivo nei confronti delle donne, mantenendole in uno stato di sottomissione ed ignoranza.

C’è un vecchio detto del Padma Purana (il codice famigliare) che recita: “La donna è creata per obbedire in tutte le età: ai genitori, al marito, ai suoceri ed ai figli.. Essa penserà solo a suo marito e non guarderà mai in faccia un altro uomo. Durante una prolungata assenza del marito, la moglie non uscirà di casa, non si pulirà i denti, non si taglierà le unghie, mangerà solo una volta al giorno, non dormirà su un letto, non indosserà abiti nuovi..”  Per questo non deve stupire che le bambine indiane non vengono nutrite né curate come i figli maschi, che le donne vengono sfruttate nelle attività domestiche e che percepiscano salari inferiori agli uomini.

Secondo le statistiche circa la metà delle ragazze indiane tra i 10 e 15 anni sono già sposate, e il 10-15% delle adolescenti hanno già figli.

La “dote” è una delle usanze più importanti ed è essenziale perché la donna si sposi, ed è anche causa di divorzi e incidenti mortali causati volontariamente, che permettono al marito di risposarsi per ottenere una dote più consistente. Ovviamente questa pratica è talmente tanto radicata che non vengono mai istruiti processi per condannarla.

La dote, in origine, non era altro che un piccolo regalo fatto dalla famiglia della sposa a quella dello sposo ma col tempo questa usanza è diventata un obbligo sociale molto costoso.

Un’antica poesia indiana recita: “non far nascere nessuno, ma se proprio devi, fai che non sia una bambina”. In India infatti la donna viene discriminata ancora prima di nascere. Ancora oggi il valore di una donna si misura dal numero di figli maschi che partorisce. In alcuni villaggi le neonate vengono uccise con metodi antichi, quasi rituali, mentre in tutto il paese si va diffondendo sempre più la pratica di utilizzare le tecnologie mediche, come l’amniocentesi, per determinare in anticipo il sesso.

Feti mai nati, selezionati per essere uomini e non donne. 10 milioni di bambine scartate da una selezione crudele. E’ incalcolabile il numero, dato che non vengono censite né riconosciute, delle bambine abbandonate in tenera età, lasciate orfane su un marciapiede. Le figlie sono considerata un peso per la famiglia, un investimento senza ritorno e nelle aree rurali (specialmente quelle del sud) spesso è la nonna paterna che si incarica di avvelenare la neonata.

Ma anche la vita per una donna sposata non è migliore. Infatti la giovane sposa viene educata a pensare che i suoi sogni ed interessi siano strettamente subordinati a quelli del marito e della sua famiglia. Sono innumerevoli i casi di omicidio o di lesioni gravissime ai danni di spose la cui famiglia non soddisfa le richieste economiche del marito o dei suoceri. Il metodo classico è dar fuoco alla povera ragazza, ma capita (in Bangladesh ne vengono denunciati circa 100 casi all’anno) che invece vengano sfigurate con l’acido.

Le vedove, considerate alla stregua di donne ai margini della rispettabilità, vengono obbligate a un’altra usanza disumana: la legge del Sati (abolita con una legge del 1956 ma trova ancora oggi delle seguaci), che non è altro che il rogo delle vedove. La tradizione nasce dal mito di Daksa, che diede una delle sue figlie, Sati, in sposa al dio Shavi. Dopo la sua morte la moglie si fece bruciare viva. Nell’India urbana questa pratica è stata abbandonata, diversamente dalle zone rurali, ma in ogni caso la vita delle vedove non è facile dato che devono radersi i capelli, digiunare e pregare tutto il tempo il defunto marito.

Da qualche tempo molte donne, appartenenti ai ceti più alti, si sono organizzate in gruppi e comitati, e si può ormai sperare che un giorno queste tragedie abbiano fine; ma il cammino della donna indiana verso la parità dei diritti è ancora molto lungo.

 

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