Anonimo
chiede:
Il mio ex marito è venuto meno alla sentenza del giudice riguardo la fine del pagamento del mutuo della nostra abitazione, licenziandosi. Come posso procedere?
Maurizio Cardona
risponde:
Gentile lettrice,
non pagare il mutuo è certamente una delle modalità più frequenti attraverso cui si cerca di sottrarsi agli impegni assunti o stabiliti dal giudice in sede di separazione o divorzio. Quando non si riesce a gestire in modo equilibrato il conflitto familiare si arriva davvero a fare di tutto pur di evitare le conseguenze e gli oneri collegati a una crisi matrimoniale. Come è noto l’obbligo di pagare il mutuo discende direttamente dal contratto stipulato con la banca, e in caso di separazione l’onere di chi dovrà continuare a farsi carico dello stesso è un elemento importante da considerare.
Accade dunque di frequente che venga regolamentato anche questo aspetto e che l’impegno di continuare a pagarlo a carico di una o di entrambe le parti venga direttamente inserito nell’accordo di separazione. Come sappiamo, di norma il mutuo è collegato all’acquisto di una casa coniugale che solitamente in sede di separazione viene assegnata al coniuge che
prevalentemente si prende cura dei figli. È proprio sulla casa infatti che si gioca la battaglia più importante, oltre a quella dell’affidamento degli figli e del mantenimento. È qui che il conflitto familiare si fa più aspro.
Nessuno ci sta a perdere la casa, e ancor peggio nel caso si debba pagare il mutuo senza poterne usufruire.
In questi casi, spesso, si è pronti anche a “estremi rimedi”, come dare le dimissioni o “farsi licenziare” pur di sottrarsi a tale obbligo. Che l’assegnazione sia il frutto di un accordo consensuale o la conseguenza del provvedimento del giudice poco importa, quando il carico economico diventa importante non si guarda più in faccia nessuno. Ma arrivare a dare le dimissioni o a simularle è davvero la soluzione giusta? Cosa si rischia? Non è infrequente che prima o dopo, se l’accordo o il provvedimento del giudice non risponde effettivamente a una soluzione equilibrata di interessi contrapposti, si possa arrivare anche a minacciare di “licenziarsi” pur di negoziare un accordo diverso e più vantaggioso, o se vogliamo, meno oneroso. Occorre dire che tale comportamento non sempre “paga”; e i problemi che si possono innescare non sempre sono calcolati. Certo la parte che si trova costretta a subire questa iniziativa non avrà vita facile e sicuramente non potrà fare altro che rivolgersi ad un avvocato per ricorre al giudice. Ma alche cose vanno chiarite. Va innanzitutto detto che se il mutuo fosse stato contratto da tutti e due i coniugi, saranno entrambi a dover continuare a rispondere verso la banca dell’adempimento dell’obbligazione di pagare le rate concordate. Ci troviamo infatti davanti a una obbligazione solidale per cui, in caso di inadempimento, la banca può rivalersi sul patrimonio dell’uno o dell’altro, indistintamente. In concreto accade spesso che il pagamento della rata venga eseguito da un conto cointestato sul quale uno dei due o entrambi versano lo stipendio. Ma cosa può succedere se uno dei due smettesse di versare “giustificando” tale condotta adducendo di aver “perso” il lavoro? Le conseguenze certo non sono di poco conto. Da un lato la banca potrebbe non solo rivalersi sull’immobile (sul quale viene normalmente iscritta ipoteca), ma potrebbe agire anche sui patrimoni di entrambi i coniugi. È evidente che l’ex coniuge (il dimissionario) – che versasse in una situazione di estrema disperazione e ritenesse di non aver più nulla da perdere – farebbe ricadere sull’altro i rischi di una possibile azione esecutiva della banca, sulla persona cioè che in quel momento potrebbe apparire più solvibile. Non è difficile capire come questo comportamento avrebbe poi una serie di ripercussioni a cascata su tutta la famiglia con significative conseguenze non solo legali ma anche psicologiche.
Nell’ipotesi poi in cui l’ex coniuge (il coniuge “dimissionario”) fosse l’unico soggetto obbligato verso la banca, non vi e dubbio che il suo inadempimento aprirebbe la strada ad un’azione esecutiva da parte della banca che pur di rientrare del suo credito potrebbe chiedere al giudice di mettere la casa all’asta. Certo il rischio in concreto potrebbe non essere immediato se ci trovassimo in presenza di una casa “assegnata” all’altro coniuge (almeno per nove anni) in sede di separazione. Ma il fatto di sentire il fiato sul collo della banca non farebbe certamente dormire sogni tranquilli. Se invece fossimo di fronte ad un mutuo contratto da entrambi i coniugi e ad un’obbligazione solidale, avremmo una situazione nella quale, pur di rimanere adempiente con la banca, tutta l’intera rata del mutuo dovrebbe essere sostenuta da una sola delle parti (la parte che ha interesse a mantenere la casa e a non avere problemi) con uno stravolgimento dell’equilibrio economico già pattuito o deciso dal giudice. E qui comincerebbe o ricomincerebbe il conflitto giudiziario.
Pertanto laddove il c.d. “licenziamento” dell’ex non fosse altro che una strategia per non pagare più, si aprirebbe la possibilità di provare in un giudizio civile la “furbata”. Com’è noto dare le dimissioni o addirittura simulare di averle date non è una causa di giustificazione per non pagare, ma in concreto provare la simulazione o la volontarietà del comportamento fraudolento non è così facile. Vero è che se lo stratagemma fosse una vera e propria operazione truffaldina si potrebbero aprire anche le strade per una vera e propria iniziativa penale. Se l’obbligo di pagare il mutuo a carico di una delle parti fosse inserito comunque nell’accordo di separazione, occorrerebbe nuovamente sottoporre la questione al giudice per far accertare l’illegittimità dell’inadempimento con la possibilità di agire immediatamente sul patrimonio del debitore (salvo l’ulteriore possibilità di chiedere i danni). Ma se l’ex coniuge dimissionario si presentasse
– e questo accade di frequente – ormai come un nullatenente, privo di redditi e un patrimonio, anche un’azione di questo tipo potrebbe essere inutile.
Ma se sul piano civile i rischi per il “furbetto” possono essere da lui “calcolati”, sul versante penale possono essere concreti e non di poco conto: rischiare di essere incriminato per il reato di truffa sanzionato dall’articolo 640 del codice penale con la reclusione fino a tre anni e fino a cinque nelle ipotesi più gravi, o comunque per essersi sottratto dolosamente e aver violato un provvedimento del giudice rischiando la medesima pena. Per concludere disattendere di pagare il mutuo accampando la scusa del licenziamento potrebbe non essere la scelta più opportuna ma qualche volta, come sappiamo bene, i furbi la fanno franca.
Un cordiale saluto.
* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento
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