Frances Clayton, George Sand, Harper Lee… Che cos’hanno in comune questi nomi?
Sono tutte donne che, per un periodo più o meno lungo della propria vita, hanno dovuto fingersi uomini per ottenere ciò che volevano: emancipazione, indipendenza, libertà di fare, dire o scrivere ciò che, nella loro natura femminile, la società non permetteva loro.
Perché sì, c’è stato un periodo, nella storia comandata dagli uomini e nella cultura che ancora non conosceva il termine “sessista”, ma che nella realtà dei fatti lo era in pieno, in cui essere donna era considerato limitativo, persino inopportuno, come tali erano considerate certe attività giudicate prettamente “maschili” e non certo appannaggio di coloro che, tutt’al più, potevano rivestire il ruolo di “angeli del focolare”, mogli e madri devote.
Le sorelle Bronte, Harper Lee, l’elenco di donne che, in epoche diverse, sono state “costrette”, per essere libere di vivere la vita che desideravano e inseguire i propri sogni, se non a travestirsi letteralmente da uomo, quantomeno a celarsi dietro una fittizia identità maschile non sono poche, e ovviamente impongono una riflessione, doverosa anche oggi, che di indipendenza e autodeterminazione parliamo spesso, senza neppure renderci conto di quanto ancora nel mondo ci siano donne che non hanno accesso a tali libertà. Lo dimostrano le donne iraniane, che ai giorni nostri sono ricorse al travestimento maschile per assistere a una partita di calcio, un gesto dichiaratamente provocatorio e appariscente per porre l’accento sulla disparità di accesso ai diritti e su quanto lunga sia ancora, nel loro paese, la strada per raggiungere le pari opportunità, in tutti i sensi.
La storia dell’eroina Disney Mulan non è dunque poi tanto “fiabesca”: ci sono tanti, tantissimi esempi di donne coraggiose che hanno difeso il proprio diritto a esprimersi, a raggiungere obiettivi e sogni, a seguire le proprie aspirazioni ricorrendo a qualsiasi metodo, accettando persino di rinnegare la propria identità femminile pur di far sentire la voce, di realizzarsi.
Lo spunto per questa gallery ci è stato dato da un post pubblicato su Instagram dal Museum City of New York, che mostra proprio Frances Clayton, in abiti femminili e nei panni di soldato con i quali ha combattuto la Guerra Civile Americana.
Oggi può sembrarci incredibile e ingiusto essere costrette a soffocare la propria persona per essere accettate dalla società e riuscire a raggiungere i propri obiettivi; tuttavia, come visto questa è una lotta che ancora in molte aree del mondo le donne sono costrette a combattere e, in fondo, tutte noi dovremmo comunque ringraziare Francis e le altre, che attraverso gesti estremi e all’epoca rivoluzionari sono riuscite a vincere le proprie battaglie, contribuendo a dimostrare che nel mondo si debba parlare semplicemente di “persone capaci”, senza la necessità di distinguere fra uomo e donna, e che anche le donne, se lo vogliono, possono eccellere in qualunque campo. Può sembrare scontato, ma dopo tutto, ancora oggi siamo così certe che lo sia?
George Eliot, ovvero Mary Anne Evans
Mary Anne Evans decise di assumere un’identità maschile per sfuggire, come le colleghe, dai pregiudizi sulla letteratura femminile, a quell’epoca ferma solo alle storie d’amore o a quelle di fantasmi. Evans criticò la scrittura femminile nel saggio Silly Novels by Lady Novelists (Romanzi sciocchi di signore romanziere), e assunse lo pseudonimo maschile di George Eliot per scrivere i suoi capolavori, come The Legend of Jubal o Daniel Deronda.
Frances Clayton e le donne della Guerra Civile
Il travestimento nel diciannovesimo secolo poteva rappresentare un modo per una donna di ottenere un grado di libertà e indipendenza che non le era concesso entro i confini della femminilità tipica dell’epoca vittoriana. Un esempio ben noto è Frances Clayton, che si vestì da uomo e andò da Jack Williams durante la Guerra Civile per combattere per l’Esercito dell’Unione con suo marito. Come lei, originaria del Minnesota, anche Louisa Hoffman e Sarah Rosetta Wakeman combatterono rispettivamente per gli eserciti confederati e unionisti. Altre donne hanno indossato abiti da uomo per unirsi alle bande di New York o per guidare gli equipaggi dei pirati del fiume Hudson.
Le Burrnesha, le "vergini giurate" albanesi e kosovare
Abbiamo raccontato di loro in questo nostro articolo.
Il termine deriva dall’albanese “burr”, che indica l’uomo, declinato al femminile: si poteva diventare Burrnesha per tre ragioni diverse: per necessità (nascere donna in una famiglia di sole femmine poteva essere considerata come una vera e propria maledizione, perché a una sarebbe spettato il compito di mandare avanti la famiglia), per scappare da un matrimonio combinato, o perché non ci si riconosceva in un’identità femminile.
Le sorelle Bronte
Tutte e tre le sorelle Bronte hanno pubblicato i loro libri con pseudonimi maschili, convinte che non avrebbero avuto successo come donne. Jane Eyre, di Charlotte Bronte, la maggiore delle sorelle, è stato infatti pubblicato con il nome Currer Bell, Emily ha pubblicato il suo capolavoro, Cime tempestose, come Ellis Bell, mentre Acton Bell era lo pseudonimo dietro cui si celava Anne, quando scrisse Agnes Grey.
George Sand, ovvero Amantine Aurore Lucile Dupin
La scrittrice parigina pubblicò tutti i suoi lavori con lo pseudonimo di George Sand. Fra questi Indiana, Lélia, Consuelo, La palude del diavolo, La piccola Fadette, François le Champi e l’autobiografia Storia della mia vita (Histoire de ma vie).
Nella sua vita, passata tra la scrittura e l’attivismo in favore del femminismo, amò lo scrittore Alfred de Musset e il musicista Fryderyk Chopin.
Irene Némirovsky, scrisse sotto gli pseudonimi di Pierre Nérey e Charles Blancat
La scrittrice ucraina naturalizzata francese, deportata e morta ad Auschwitz, pubblicò diversi articoli di giornale e racconti con questi nomi maschili, tanto che, quando inviò all’editore Bernard Grasset il suo primo romanzo privo di firma, quest’ultimo faticò a credere che quello che pensava fosse opera di un “romanziere maturo”, in realtà fosse stato scritto da una ragazza di appena 26 anni.
Vernon Lee in realtà era Violet
Nella seconda metà dell’Ottocento, quando Violet Paget iniziò la sua attività letteraria, erano molte le donne che scrivevano romanzi, ma la stessa regola non valeva per la filosofia e la saggistica, settori di cui lei voleva parlare. Fu per questo che assunse lo pseudonimo di Vernon Lee.
Perché Vernon Lee finse per una vita di essere uomo
Intellettuale, poliglotta, pacifista, femminista e innamorata dell’Italia, dove visse per gran parte della sua vita. Storia di un'intellettuale c...
Harper Lee
Il suo nome completo, Nelle Harper Lee, suggerì all’autrice de Il buio oltre la siepe che, se avesse eliminato la prima parte, avrebbe potuto essere scambiata per un uomo. Lee pensò che pubblicare il suo testo con un nome più ambiguo l’avrebbe aiutata nelle vendite dei suoi lavori.
Il medico James Barry
Nata in Irlanda nel 1789 come Margaret Ann Bulkley, secondogenita di Jeremiah e Mary-Ann Bulkey. Avrebbe assunto il nome James Barry, che era quello dello zio materno, un artista irlandese, durante un viaggio verso Edimburgo con la madre.
James Barry prestò servizio in India e a Città del Capo, ottenendo anche l’incarico di ispettore generale negli ospedali militari, e praticò il primo parto cesareo in Africa, grazie al quale sia la madre che il neonato sopravvissero. Alla base della scelta di vivere come un uomo ci sarebbe la volontà di poter intraprendere la carriera universitaria e di perseguire il sogno di diventare un chirurgo. È spesso considerato il primo uomo transgender britannico a conseguire tale titolo, ma alcune teorie hanno avanzato, circa la sua identità sessuale, anche l’ipotesi di ermafroditismo.
Rena “Rusty” Kanokogi
Rena Kanokogi è stata una campionessa ebreo-americana di judo. Nel 1959, travestita da uomo, vinse una medaglia ad un torneo di judo YMCA, ma dovette restituirla dopo aver confessato di essere una donna. Kanokogi è diventata la prima donna autorizzata ad allenarsi nel gruppo maschile del Kodokan, e forse la più nota per la pionieristica competizione femminile di judo alle Olimpiadi .
La lotta di Margaret Keane
La pittrice Margaret Keane, protagonista anche del film Big Eyes diretto da Tim Burton, fu al centro di un lungo contenzioso con il marito Walter, che, imbrogliandola, nel tempo si era attribuito la paternità delle sue opere. Margaret, in tribunale, dimostrò di essere l’autrice dei suoi dipinti realizzandone uno davanti alla giuria in 53 minuti.
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