12 canzoni che Francesco Guccini ha scritto per donne reali
Chi sono le donne a cui Francesco Guccini ha dedicato una canzone? Ecco la storia del cantautore, delle sue passioni e dei suoi incontri.
Chi sono le donne a cui Francesco Guccini ha dedicato una canzone? Ecco la storia del cantautore, delle sue passioni e dei suoi incontri.
In Italia, la scena musicale cantautoriale si divide in base a diverse “scuole” artistiche, che tuttavia hanno mostrato esiti differenti da artista ad artista. Una di queste è la “scuola” emiliana, di cui fanno parte al tempo stesso Luciano Ligabue, Vasco Rossi, Lucio Dalla, ma anche Francesco Guccini.
Guccini è uno di quegli autori e interpreti musicali che hanno particolari motivi di interesse soprattutto perché in grado di raccontare storie vere emozionando e unire le generazioni sotto una stessa passione. Ma chi è Guccini e perché è degno di grande interesse?
Guccini è nato a Modena il 14 giugno 1940: la mamma era una casalinga e il padre un impiegato alle poste che però venne chiamato per partire al fronte della Seconda Guerra Mondiale, poco dopo la nascita del figlio. L’uomo rimase a lungo lontano dal suo piccolo Francesco, per i primi tre anni di vita del bimbo rimase al fronte e poi due anni ancora in un campo di concentramento tedesco nei pressi di Amburgo.
Il piccolo Francesco riparò con la madre dai nonni paterni a Pavana, sull’Appennino. Guccini fu segnato dall’idea che la storia fosse importante, e non solo per aver vissuto negli anni del Secondo Conflitto Mondiale.
La vicenda del coronavirus non insegnerà nulla – ha detto in un’intervista al Globalist, riallacciandosi al concetto di storia – La storia si dimentica troppo facilmente, di tutto. E si dimenticherà anche questa pandemia, come facilmente si è dimenticata la seconda guerra mondiale, con tutto quello che c’è stato e che ha comportato. Abbiamo, purtroppo, delle memorie cortissime. Per non dimenticare, ci vorrebbero dei ricordatori ufficiali, dei ricordatori di mestiere. Forse io sono uno di quelli.
Quando il padre tornò dal campo di concentramento, riprese il suo lavoro alle poste e Francesco tornò a vivere a Modena dove trascorse anche gli anni dell’adolescenza, diplomandosi all’istituto magistrale. Dopo il diploma, fece per un breve periodo l’istitutore a Pesaro, ma fu licenziato poco dopo. Nel 1960 si trasferì quindi a Bologna, dove iniziò a fare il cronista, un mestiere che non amava ma che gli diede l’opportunità di intervistare Domenico Modugno e per capire quale sarebbe stata la sua strada.
Sempre negli anni ’60, Guccini decise di studiare all’università che però non completò mai. Poco male: al cantautore sono state conferite due lauree honoris causa, tra cui una in Scienze della Formazione nel 2002. Nel 2004, per i suoi meriti cantautoriali e culturali in senso lato è stato insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
Dal punto di vista degli affetti, è stato sposato dapprima con Roberta Baccilieri, sua storica fidanzata, dal 1971 al 1977. Dopo la separazione andò a convivere con Angela, dalla quale nacque la sua unica figlia Teresa nel 1978. Nel 2011 c’è stato il suo secondo matrimonio con un’insegnante, Raffaella Zuccari.
Nel 1959 compose le sue prime opere rock ’n’ roll per poi diventare cantante e chitarrista in un’orchestra da balera. Ma è negli anni ’60 che accadde la svolta per Guccini, non solo perché venne in contatto con Modugno per intervistarlo, ma soprattutto scoprì Bob Dylan, iniziando con degli esperimenti musicali. Questi esperimenti ebbero grande successo, dato che divennero brani portati al grande pubblico dai Nomadi ed Equipe 84, con i quali Guccini innescò una proficua collaborazione.
Io – ha raccontato Guccini all’Huffington Post – ho scritto soltanto canzoni che raccontano una storia e le ho scritte solo quando avevo qualcosa da raccontare. Sono stato un narratore anche da musicista. Le canzoni uscivano fuori da sole, io tutt’al più definivo i tratti dei personaggi, immaginavo le loro avventure, ma non ho mai scritto una canzone perché la mia casa discografica me lo aveva chiesto, oppure perché mi sforzavo di scriverla. Ogni tanto, a fine cena, c’erano dei colleghi che mi dicevano: «Ora mi chiudo in casa un mese, perché devo scrivere le canzoni del nuovo disco». Pensavo: «Io potrei stare chiuso in casa anche sei mesi, se le canzoni non han voglia di uscire, col cavolo che escon fuori». Infatti, quando si sono stancate di venir fuori, ho smesso di cantare e basta.
Dopo il debutto al Festival di Sanremo come autore nel 1967, Guccini ha inciso 16 album in studio: Folk beat n.1 (1967), Due anni dopo (1970), L’isola non trovata (1970), Radici (1972), Stanze di vita quotidiana (1974), Via Paolo Fabbri 43 (1976), Amerigo (1978), Metropolis (1981), Guccini (1983), Signora Bovary (1987), Quello che non… (1990), Parnassius Guccinii (1993), D’amore di morte e di altre sciocchezze (1996), Stagioni (2000), Ritratti (2004) e L’ultima Thule (2012). Tra i vari riconoscimenti per la sua musica, Guccini si è aggiudicato 2 Premi Tenco nel 1975 e nel 2015 e 4 Targhe Tenco nel 1987, 1990, 1994 e 2000.
Guccini ha avuto da sempre una grande passione e perizia letteraria, come in effetti si nota nei suoi testi. Prima di essere un cantautore ha insegnato lingua italiana in una succursale di un college statunitense nel Bolognese. A oggi ha scritto 23 tra saggi e romanzi e 5 raccolte di racconti. L’ultimo romanzo pubblicato è stato Tralummescuro, che ha fatto parte della cinquina del Premio Campiello 2020, vinto però da Remo Rapino. Alla vigilia della premiazione, la figlia Teresa ha dato a Guccini il suo in bocca al lupo su Instagram:
Caro babbo, so quanto tieni a questo premio perché hai sempre voluto essere scrittore più che cantautore ma, stasera, che tu vinca o che tu perda, sarai sempre l’incredibile mago di parole che tutti noi amiamo e ammiriamo senza che un premio lo debba sancire. Tutto ciò per me poi vale di più perché un babbo è un babbo c’è poco da fare. Con la speranza che, da gatta figlia di gatto, io riesca a cercare quei topi che tu sai, in bocca al lupo con tutto il cuore.
L’estro di Guccini nella scrittura si è manifestato anche in altri media, in primis il fumetto. In totale, il cantautore è autore della sceneggiatura di 11 storie, tra cui Vita e morte del brigante Bobini detto «Gnicche» disegnato da Francesco Rubino: il volume tratta delle vicende di un brigante toscano, narrate attraverso strofe in rima dalla bocca di un contadino cantastorie. Tra le avventure a fumetti si segnalano anche Lo Sconosciuto con illustrazioni di Magnus e Storie dello spazio profondo disegnate da Bonvi. Guccini ha inoltre solleticato la fantasia di altri autori, come per esempio Sergio Staino che ha realizzato una graphic novel dal titolo La locomotiva, come una celebre canzone del cantautore emiliano.
Quando mio padre mi domandò: «Cosa vuoi fare da grande?» – riporta sempre l’Huffington Post tra le citazioni attribuite a Guccini – io risposi senza tentennare: «Voglio fare lo scrittore, papà». Avrò avuto dieci, undici anni. E, in fondo, è quello che ho sempre fatto.
Guccini ha avuto un ruolo attivo anche nel cinema, come attore e autore di colonne sonore fin dal 1976 ma incrementando le sue presenze negli anni 2000. La prima apparizione è in Fantasia, ma non troppo, per violino, la puntata di una serie televisiva su Bologna, in cui interpretava il poeta cantante Giulio Cesare Croce. In tutto appare in 3 colonne sonore e in 20 film e telefilm tra cui l’iconico Radiofreccia del 1998.
Sfogliamo insieme la gallery per scoprire i brani che Guccini ha scritto per donne reali.
Incontro è dedicata a una compagna di scuola all’istituto magistrale “Carlo Sigonio”, lo ha detto Guccini in un’intervista a Il Resto del Carlino. Come riporta il sito del cantautore, ora la donna vive negli Stati Uniti. In foto, Betty, protagonista del brano, è la ragazza in basso a sinistra.
E correndo mi incontrò lungo le scale
Quasi nulla mi sembrò cambiato in lei
La tristezza poi ci avvolse come miele
Per il tempo scivolato su noi due
Il sole che calava già rosseggiava la città
Già nostra e ora straniera e incredibile e fredda
Come un istante “déjà vu”
Ombra della gioventù, ci circondava la nebbiaAuto ferme ci guardavano in silenzio
Vecchi muri proponevan nuovi eroi
Dieci anni da narrare l’uno all’altra ma
Le frasi rimanevan dentro in noi
“Cosa fai ora? Ti ricordi
Eran belli i nostri tempi
Ti ho scritto è un anno
Mi han detto che eri ancor via”
E poi la cena a casa sua
La mia nuova cortesia
Stoviglie color nostalgia
E le frasi, quasi fossimo due vecchi
Rincorrevan solo il tempo dietro a noi
Per la prima volta vidi quegli specchi
Capii i quadri, i soprammobili ed i suoi
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway
Il sentirsi nuovi
Le cose sognate e ora viste
La mia america e la sua diventate nella via
La nostra città tanto tristeCarte e vento volan via nella stazione
Freddo e luci accesi forse per noi lì
Ed infine, in breve, la sua situazione
Uguale quasi a tanti nostri filmCome in un libro scritto male
Lui s’era ucciso per natale
Ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio
Povera amica che narravi dieci anni in poche frasi
Ed io i miei in un solo salutoE pensavo dondolato dal vagone
“Cara amica il tempo prende, il tempo dà
Noi corriamo sempre in una direzione
Ma qual sia e che senso abbia chi lo sa
Restano i sogni senza tempo
Le impressioni di un momento
Le luci nel buio di case intraviste da un treno
Siamo qualcosa che non resta
Frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno”
Guccini scrisse la canzone per il suo primo amore di gioventù, come ha rivelato in un’intervista a Repubblica riportata sul suo sito.
La scrissi per una ragazza. Ne ero innamorato e lei mi aveva lasciato per tornare dal suo ex. Le chiesi un ultimo incontro. Fu lei a darmi appuntamento lì. Erano le quattro e mezza, calcolai che avevo più o meno due ore, e la composi per lei, sul momento. S’intitolava, con grande sforzo di originalità, Osteria dei poeti. Dopo averla ascoltata, lei scoppiò a piangere, servì a convincerla a tornare da me. «Staremo insieme per sempre», promise. Mi lasciò tre giorni dopo.
Forse anche tu qualche volta ricordi in via dei poeti la nostra osteria
Forse ricordi anche i giorni in cui noi ci facevam compagnia
Una chitarra e un bicchiere di vino,
Quattro parole ed amici, ma quando allor sedevamo vicino, forse eravamo felici
Ma come sembra quel tempo è lontano,
Ora son solo a vuotare il bicchiere, ora non vieni piú qui con me a bere
Ora chissá chi ti stringe la mano,
Non sei piú venuta in via dei poeti,
Ora son solo a cantare…
La la la la
Ma per me solo non voglio suonare
Lo so tutto passa e le cose piú belle,
Forse finiscono prima del tempo
Lo so che fra poco verranno altri giorni, l
E stesse cose ad un’altra diró
Eppure son tristi i vecchietti discreti, non parlano perché…
Hanno capito che in via dei poeti lascio per sempre qualcosa di me…
È del 1967 e fu portata al successo anche dai Nomadi, suggellando la collaborazione tra la band e il cantautore. È dedicata all’amica Silvia Fontana (tanto che ha anche il titolo di In morte di S.F.), scomparsa in un incidente stradale nel 1966.
Lunga e diritta correva la strada, l’auto veloce correva
la dolce estate era già cominciata, vicino lui sorrideva
vicino lui sorridevaForte la mano teneva il volante, forte il motore cantava
non lo sapevi che c’era la morte quel giorno che ti aspettava
quel giorno che ti aspettavaNon lo sapevi che c’era la morte, quando si è giovani è strano
poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per manovenga e ci prenda per manoNon lo sapevi, ma cosa hai pensato quando la strada è impazzita?
Quando la macchina è uscita di lato e sopra un’altra è finita
e sopra un’altra è finita?Non lo sapevi, ma cosa hai sentito quando lo schianto ti ha uccisa?
quando anche il cielo di sopra è crollato, quando la vita è fuggita
quando la vita è fuggita?Dopo il silenzio soltanto è regnato tra le lamiere contorte
sull’autostrada cercavi la vita, ma ti ha incontrato la morte
ma ti ha incontrato la morteVorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire
spendere tutti i tuoi giorni passati se presto hai dovuto partire
se presto hai dovuto partireVoglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi
voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi e che come allora sorridi
Si tratta di una canzone scritta nel 1978 e tratta dall’album Amerigo. Fu composta per la prima moglie Roberta, quando i due si separarono, e fa riferimento alle differenze sociali tra i due, incarnati, com’era uso negli anni ’60, dal tipo di soprabiti indossati.
Questa domenica in Settembre
Non sarebbe pesata cosi’
L’estate finiva piu’ nature
Vent’anni fa o giu’ di li’
Con l’incoscienza dentro al basso ventre
E alcuni audaci, in tasca “l’Unita'”,
La paghi tutta, e a prezzi d’inflazione,
Quella che chiaman la maturita’
Ma tu non sei cambiata di molto
Anche se adesso è al vento quello che
Io per vederlo ci ho impiegato tanto
Filosofando pure sui perché
Ma tu non sei cambiata di tanto
E se cos’e’ un orgasmo ora lo sai
Potrai capire i miei vent’anni allora
E quasi cento adesso capirai
Portavo allora un eskimo innocente
Dettato solo dalla poverta’
Non era la rivolta permanente
Diciamo che non c’era e tanto fa
Portavo una coscienza immacolata
Che tu tendevi a uccidere pero’
Inutilmente ti ci sei provata
Con foto di famiglia o paleto’
E quanto son cambiato da allora
E l’eskimo che conoscevi tu
Lo porta addosso mio fratello ancora
E tu lo porteresti e non puoi piu’
Bisogna saper scegliere il tempo
Non arrivarci per contrarieta’
Tu giri adesso con le tette al vento
Io ci giravo gia’ vent’anni fa
Ricordi fu con te a Santa Lucia
Al portico dei Servi per Natale
Credevo che Bologna fosse mia
Ballammo insieme all’anno o a Carnevale
Lasciammo allora tutti e due un qualcuno
Che non ne fece un dramma o non lo so
Ma con i miei maglioni ero a disagio
E mi pesava quel tuo paleto’
Ma avevo la rivolta fra le dita
Dei soldi in tasca niente e tu lo sai
E mi pagavi il cinema stupita
E non ti era toccato farlo mai
Perché mi amavi non l’ho mai capito
Cosi’ diverso da quei tuoi cliche
Perché fra i tanti, bella,
Che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me
Infatti i fiori della prima volta
Non c’erano gia’ piu’ nel sessantotto
Scoppiava finalmente la rivolta
Oppure in qualche modo mi ero rotto
Tu li aspettavi ancora ma io gia’ urlavo che
Dio era morto, a monte, ma pero’
Contro il sistema anch’io mi ribellavo
E Gianni ritornato da Londra
A lungo ci parlo’ dell’LSD
Tenne una quasi conferenza colta
Sul suo viaggio di nozze stile freak
E noi non l’avevamo mai fatto
E noi che non l’avremmo fatto mai
Quell’erba ci creseva tutt’attorno
Per noi crescevan solo i nostri guai
Forse ci consolava far l’amore
Ma precari in quel senso si era gia’
Un buco da un amico, un letto a ore
Su cui passava tutta la citta’
L’amore fatto alla boia d’un Giuda
E al freddo in quella stanza di altri e spoglia
Vederti o non vederti tutta nuda
Era un fatto di clima e non di voglia
E adesso che potremmo anche farlo
E adesso che problemi non ne ho
Che nostalgia per quelli contro un muro
O dentro a un cine o li’ dove si puo’
E adesso che sappiamo quasi tutto
E adesso che problemi non ne hai
Che nostalgia, lo rifaremmo in piedi
Scordando la moquette stile e l’Hi Fi
Diciamolo per dire, ma davvero
Si ride per non piangere perché
Se penso a quella ch’eri, a quel che ero,
Che compassione che ho per me e per te
Eppure a volte non mi spiacerebbe
Essere quelli di quei tempi la’
Sara’ per aver quindic’anni in meno
O avere tutto per possibilita’
Perché a vent’anni è tutto ancora intero
Perché a vent’anni è tutto chi lo sa
A vent’anni si è stupidi davvero
Quante balle si ha in testa a quell’eta’
Oppure allora si era solo noi
Non c’entra o meno questa gioventu’
Di discussioni, caroselli, eroi
Quel ch’e’ rimasto dimmelo un po’ tu
E questa domenica in Settembre
Se ne sta lentamente per finire
Come le tante via distrattamente
A cercare di fare o di capire
Forse lo stan pensando anche gli amici
Gli andati, i rassegnati, i soddisfatti,
Giocando a dire che si era piu’ felici
Pensando a chi si è perso o no a quei patti
Ed io che ho sempre un eskimo addosso
Uguale a quello che ricorderai
Io come sempre, faccio quel che posso
Domani poi ci pensero’ se mai
Ed io ti cantero’ questa canzone
Uguale a tante che gia’ ti cantai
Ignorala come hai ignorato le altre
E poi saran le ultime oramai
Guccini la dedicò a Roberta, quando erano ancora fidanzati, sempre sul tema delle differenze sociali, anche questo brano del 1970, inserito nel disco Due anni dopo.
Vedi cara, è difficile a spiegare
È difficile parlare dei fantasmi di una mente
Vedi cara, tutto quel che posso dire
È che cambio un po’ ogni giorno, è che sono differente
Vedi cara, certe volte sono in cielo
Come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà
Vedi cara, è difficile spiegare
È difficile capire se non hai capito già
Vedi cara, certe crisi son soltanto
Segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire
Vedi cara, certi giorni sono un anno
Certe frasi sono un niente che non serve più sentire
Vedi cara, le stagioni ed i sorrisi
Son denari che van spesi con dovuta proprietà
Vedi cara è difficile a spiegare
È difficile capire se non hai capito già
Non capisci quando cerco in una sera
Un mistero d’ atmosfera che è difficile afferrare
Quando rido senza muovere il mio viso
Quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare
Quando sogno dietro a frasi di canzoni
Dietro a libri e ad aquiloni, dietro a ciò che non sarà
Vedi cara è difficile spiegare
È difficile capire se non hai capito già
Non rimpiango tutto quello che mi hai dato
Che son io che l’ho creato e potrei rifarlo ora
Anche se tutto il mio tempo con te non dimentico perché
Questo tempo dura ancora
Non cercare in un viso la ragione
In un nome la passione che lontano ora mi fa
Vedi cara è difficile spiegare
È difficile capire se non hai capito già
Tu sei molto, anche se non sei abbastanza
E non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi
Tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco
Tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi
Io cerco ancora e così non spaventarti
Quando senti allontanarmi: fugge il sogno, io resto qua
Sii contenta della parte che tu hai
Ti do quello che mi dai, chi ha la colpa non si sa
Cerca dentro per capir quello che sento
Per sentir che ciò che cerco non è il nuovo o libertà
Vedi cara è difficile spiegare
È difficile capire se non hai capito già.
È una canzone del 1987 dedicata alla figlia Teresa e al modo in cui si mostrava fiera e orgogliosa.
Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti
E le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti,
Ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare
E avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare…Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari
Di longobardi, di celti e romani dell’ antica pianura, di montanari,
Reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi,
Di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi,
Anche se non avrai le mie risse terrose di campi, cortile e di strade
E non saprai che sapore ha il sapore dell’ uva rubato a un filare,
Presto ti accorgerai com’è facile farsi un’ inutile software di scienza
E vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza…
Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica
E che il vivere è sempre quello, ma è storia antica, Culodritto…Dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto
Per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto;
Vola, vola tu, dov’ io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
E dove è ancora tutto, o quasi tutto…
Vola, vola tu, dov’ io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare
E dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare…
Anche in questo caso un brano dedicato a un antico amore. Come risulta dal sito del cantautore, la canzone parla di Eloise Vitelli, allieva di Guccini e poi sua fidanzata molto tempo dopo. È stata una senatrice democratica negli Stati Uniti, attualmente è leader della maggioranza dal febbraio del 2021.
K.D. si svegliò quel mattino e guardò le cose accanto a lei,
Gli occhi ancor velati dalle briciole dei sogni
Mentre il sonno scompariva accanto a lei lentamente,
Il sonno scompariva accanto a lei…K.D. si affacciò alla finestra, vide il mondo solito ad di là:
Svaniva il suo orizzonte sulla ruggine del ponte
Dove il fiume scompariva e la città finiva,
Dove il fiume scompariva…K.D. non seppe mai dire che sensazione la prese,
Sentì il suo corpo svanire, le braccia eran ali rapprese.
Pianse qualcuno lontano che forse non conosceva
Ed il suo pianto pian piano quell’orizzonte scioglieva…
Ma poi sorrise sorpresa di quella stupida ebbrezza,
Il suo orizzonte tornato reale
Le dava la solita sua sicurezza,
Solita sua sicurezza…Quando anche noi qualche volta ci sentiam tristi per niente
Forse c’è K.D. che piange lontana,
Fantasma che è in noi e ci accompagna per sempre,
Che ci accompagna per sempre,
Che ci accompagna per sempre!
Il brano è pensato per l’attuale moglie Raffaella, molto più giovane di lui.
Vorrei – ha detto in un’intervista a Io Donna – è l’unico brano in cui mi sono lasciato andare, la fotografia di un momento appagato, scritto per Raffaella. Non conoscevo il suo paese né i suoi genitori, che all’inizio non erano entusiasti, temevano fossi un turpe cantautore.
Vorrei conoscer l’odore del tuo paese
Camminare di casa nel tuo giardino
Respirare nell’aria sale e maggese
Gli aromi della tua salvia e del rosmarino
Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero
Parlando con me del tempo e dei giorni andati
Vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero
Come se amici fossimo sempre stati
Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci
E i ciuffi di parietaria attaccati ai muri
Le strisce delle lumache nei loro gusci
Capire tutti gli sguardi dietro agli scuri
E lo vorrei
Perché non sono quando non ci sei
E resto solo coi pensieri miei ed io
Vorrei con te da solo sempre viaggiare
Scoprire quello che intorno c’è da scoprire
Per raccontarti e poi farmi raccontare
Il senso d’un rabbuiarsi o del tuo gioire
Vorrei tornare nei posti dove son stato
Spiegarti di quanto tutto sia poi diverso
E per farmi da te spiegare cos’è cambiato
E quale sapore nuovo abbia l’universo
Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona
O il mare di una remota spiaggia cubana
O un greppe dell’Appennino dove risuona
Fra gli alberi un’usata e semplice tramontana
E lo vorrei
Perché non sono quando non ci sei
E resto solo coi pensieri miei ed io
Vorrei restare per sempre in un posto solo
Per ascoltare il suono del tuo parlare
E guardare stupito il lancio, la grazia, il volo
Impliciti dentro al semplice tuo camminare
E restare in silenzio al suono della tua voce
O parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
Dimenticando il tempo troppo veloce
O nascondere in due sciocchezze che son commosso
Vorrei cantare il canto delle tue mani
Giocare con te un eterno gioco proibito
Che l’oggi restasse oggi senza domani
O domani potesse tendere all’infinito
E lo vorrei
Perché non sono quando non ci sei
E resto solo coi pensieri miei ed io
Parla anche questa di Eloise Vitelli, che è americana: come spiega Futura, un anno andò a casa sua per conoscere i genitori, con cui litigò e andò via, perché quella visita frantumò tutta la visione fatata di Guccini sugli Stati Uniti.
La strada dalla Pennsylvania Station sembrava attraversasse il continente
come se non tornasse più all’ indietro, ma andasse sempre avanti ad occidente
fra tombe in ferro-vetro, pianura, pali e gente.
E indietro invece e in fretta ci tornai, ma in certi miei momenti forse oziosi
mi chiedo dove sei e che cosa fai e come passi i tuoi giorni noiosi,
io che non ti risposi in questa casa mia che sai e non sai.E immagino tu e lui, due americani sicuri e sani, un poco alla John Wayne,
portare avanti i miti kennedyani e far scuola agli indiani:
amore e ecologia lassù nel Maine.E là insegnare alla povera gente per poco o niente, vita quasi pia,
fingendo o non sapendo proprio niente di quello che può ancora far la CIA,
santi dell’occidente, per gli USA, e così sia…
Mi ha detto chi t’ ha vista là da poco che sei rimasta quella che eri allora,
un po’ più vecchia, ma quasi per gioco e forse solo appena un po’ signora,
vorrei vederti ora perchè il ricordo mi diventa fioco…E provo a immaginare in un momento per ridere di stare qui con te,
ma sarebbe poi stato un cambiamento? Ci penso, ma non sento
che un’ altra ancora ha i soliti perchè…Però tu sai che è il gioco d’ un istante perchè da allora già lo sentivamo
che possibilità ce ne son tante per quei due tipi che allora eravamo:
io son quasi importante, tu cosa sei, e chi siamo?
Ma forse almeno tu hai conservato quell’ ideale che avevamo in testa,
probabilmente in te cenni ha lasciato,ogni cosa alla lunga mi molesta
e cerco un’ altra festa e poi le feste in fondo mi han stancato…Poi erano ideali alla cogliona fatti coi miti del ’63,
i due Giovanni e pace un po’ alla buona, Ramblas di Barcellona,
la prima crisi dura dentro in me…Io credo che sappiamo che è diverso se le cose son state poi più avare,
le accetti, tiri avanti e non hai perso se sono differenti dal sognare
perchè non è uno scherzo sapere continuare.
E scusami se sono qui a pensare a te, alle tue parole e ai tuoi sorrisi,
come il “Matto” fra carte da giocare può risolvere un attimo di crisi,
anche se allora smisi, ora vado, e “via andare”…Non voglio far felice proprio adesso tua madre che odiò l’ italiano istrione
quando disse a tuo padre che era un fesso lui e il liberal-progresso
e urlò “rivoluzione!”.Son cose spero che perdonerai com’ io ti ho perdonato ormai a quest’ ora,
come se fossi solo un piantaguai, il “but I love him” che gli urlasti allora,
così ti canto ancora in questa casa mia che sai e non sai…
Parla del suo addio ad Angela, la compagna da cui Guccini ebbe la figlia Teresa. In foto, tutti e tre nei giorni felici.
E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent’anni portati così
Come si porta un maglione sformato su un paio di jeans
Come si sente la voglia di vivere
Che scoppia un giorno e non spieghi il perché
Un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos’èGiorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani
Giorni a chiedersi tutto cos’era, vedersi ogni sera
Ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale
Ogni sera là, a passo di danza, a salire le scale
E sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore
Quando aprivi la porta il sorriso, ogni volta, mi entrava nel cuore
Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova
Era tanto potere parlarci, giocare a guardarci
Tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino
Religione del tirare tardi e aspettare mattino
E una notte lasciasti portarti via
Solo la nebbia e noi due in sentinella
La città addormentata non era mai stata così tanto bellaEra facile vivere allora, ogni ora
Chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci
E ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell’epoca nuova
Ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo
Ci sembrava d’avere trovato la chiave segreta del mondoNon fu facile volersi bene, restare assieme
O pensare d’avere un domani, stare lontani
Tutti e due a immaginarsi, “Con chi sarà?”
In ogni cosa un pensiero costante
Un ricordo lucente e durissimo come il diamante
E a ogni passo lasciare portarci via da un’emozione non piena, non colta
Rivedersi era come rinascere ancora una voltaMa ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione
E il peccato fu creder speciale una storia normale
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo
Sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo
E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa
Siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesaThe triangle tingles and the trumpet plays slowFarewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d’estate
Con qualcosa di fragile come le storie passate
Forse un tempo poteva commuoverti, ma ora è inutile, credo, perché
Ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me.
Anche questa è dedicata ad Angela, è una feroce invettiva sulle loro differenze profonde.
E guardo fuori dalla finestra
E vedo quel muro solito che tu sai
Sigaretta o penna nella mia destra
Simboli frivoli che non hai amato mai
Quello che ho addosso non ti è mai piaciuto
Racconto e dico e ti sembro muto
Fumare e scrivere ti suona strano
Meglio le mani di un artigiano
E cancellarmi è tutto quel che fai
Ma io sono fiero del mio sognare
Di questo eterno mio incespicare
E ridi in faccia a quello che cerchi e che mai avrai
Non sai che ci vuole scienza
Ci vuol costanza, ad invecchiare
Senza maturità
Ma maturo o meno, io ne ho abbastanza
Della complessa tua semplicità
Ma poi chi ha detto che tu abbia ragione
Coi tuoi “Also Sprach” di maturazione
O è un’illusione pronta per l’uso
Da eterna vittima d’un sopruso
Abuso d’un mondo chiuso e fatalità
Ognuno vada dove vuole andare
Ognuno invecchi come gli pare
Ma non raccontare a me che cos’è la libertàLa libertà delle tue pozioni
Di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia
Di manuali contro le frustrazioni
Le inibizioni che provavi qui a casa mia
La noia data da uno non pratico
Che non ha il polso di un matematico
Che coi motori non ci sa fare
E che non sa neanche guidare
Un tipo perso dietro le nuvole e la poesia
Ma ora scommetto che vorrai provare
Quel che con me non volevi fare
Fare l’amore, tirare tardi o la fantasiaLa fantasia può portare male
Se non si conosce bene come domarla
Ma costa poco, val quel che vale
E nessuno ti può più impedire di adoperarla
Io, se Dio vuole, non son tuo padre
Non ho nemmeno le palle quadre
Tu hai la fantasia delle idee contorte
Vai con la mente e le gambe corte
Poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla
Le vie del mondo ti sono aperte
Tanto hai le spalle sempre coperte
Ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarlaPer rifiutare sei stata un genio
Sprecando il tempo a rifiutare me
Ma non c’è un alibi, non c’è un rimedio
Se guardo bene no, non c’è un perché
Nata di marzo, nata balzana
Casta che sogna d’esser puttana
Quando sei dentro vuoi esser fuori
Cercando sempre i passati amori
Ed hai annullato tutti fuori che te
Ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri
Quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
Persa a cercar per sempre quello che non c’è
Nel 1993 Guccini scrisse questo brano per Silvia Baraldini. È un’italiana arrestata negli Stati Uniti per aver fatto evadere un membro di un’associazione sovversiva di supporto agli afroamericani. Baraldini ha sofferto di gravi problemi di salute a causa di un cancro al seno. Fino al ’99 rimase in carcere in America, per poi tornare in Italia anche grazie al sostegno di politici e intellettuali tra cui Guccini. È stata scarcerata nel 2006 con l’indulto, ma precedentemente ha avuto un periodo ai domiciliari proprio a causa del suo delicato stato di salute.
Il cielo dell’America son mille cieli sopra a un continente
Il cielo della Florida è uno straccio che è bagnato di celeste
Ma il cielo là in prigione non è cielo, è un qualche cosa che riveste
Il giorno e il giorno dopo e un altro ancora, sempre dello stesso nienteE fuori c’è una strada all’infinito, lunga come la speranza
E attorno c’è un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case, aiuole
Paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole
Ma attorno alla prigione c’è un deserto dove spesso il vento danza
Son tanti gli anni fatti e tanti in più che sono ancora da passare
In giorni e giorni e giorni che fan mesi, che fan anni ed anni amari
A Silvia là in prigione cosa resta? Non le resta che guardare
L’ America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi chiariGià, l’America è grandiosa ed è potente, tutto e niente, il bene e il male
Città coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un grande ieri
Tecnologia avanzata e all’orizzonte, l’orizzonte dei pionieri
Ma a volte l’orizzonte ha solamente una prigione federaleL’America è una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura
La libertà, e dall’alto, fiera, abbraccia tutta quanta la nazione
Per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione
Perché di questa piccola italiana ora l’America ha pauraPaura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare
Paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
Perché non è possibile rinchiudere le idee in una galeraIl cielo dell’America son mille cieli sopra a un continente
Ma il cielo là rinchiusi non esiste, è solo un dubbio o un’intuizione
Mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione
E Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato nienteMi chiedo a cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto
O come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia
O quando un acquazzone all’improvviso spezza la monotonia
Mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la cantoMi chiedo ma non riesco a immaginarlo, penso a questa donna forte
Che ancora lotta e spera perché sa che adesso non sarà più sola
La vedo con la sua maglietta addosso con su scritte le parole
“Che sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte”
“Che sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte”
“Che sempre l’ignoranza fa paura… ed il silenzio è uguale a morte”
Cosa ne pensi?