Il nero è una delle icone fashion per eccellenza, e la tinta che forse, più di tutte, ha dominato il panorama della moda globale per decenni, tanto che il total black è uno dei look più amati in assoluto dalle donne di tutto il mondo quando cercano outfit eleganti e sofisticati.
Eppure non è mai stato dominante nell’abbigliamento tradizionale indiano; per questo quanto ha fatto la designer indiana di sari Sharmila Nair ha del rivoluzionario, dato che la giovane stilista sta usando proprio il nero per lanciare una forte dichiarazione politica e femminista.
La sua campagna si chiama 18 Shades of Black, che richiama un po’ quel 50 sfumature di grigio (e varianti) rese celebri in ogni angolo del pianeta da una trilogia dalle forti tinte erotiche; ed ha per protagoniste, come il nome stesso suggerisce, 18 donne, drappeggiate in bellissimi sari neri disegnati da lei, che parlano della sottile discriminazione di genere che affrontano in molti aspetti della loro vita quotidiana.
Nair chiama queste discriminazioni “restrizioni invisibili”, dato che vengono percepite come normali, così naturali che molto spesso sono le donne stesse a porsi dei limiti. Come dichiarato alla BBC, sono state le proteste nello stato meridionale del Kerala del 2018 a ispirarle l’idea del progetto; i moti, in quell’occasione, sono scoppiati per la mancata applicazione di una decisione della Corte Suprema, che aveva revocato il divieto pluriennale alle donne in età mestruale di entrare nel tempio di Sabarimala, uno dei santuari indù più frequentati e importanti.
Del resto, che la situazione legata al ciclo mestruale in molte zone dell’India fosse piuttosto drammatica lo aveva già raccontato anche la storia di Radha Paudel. Ma le discriminazioni subite dalle donne sono molteplici, e Nair ha trovato un modo sicuramente molto “stiloso” di ribellarvisi.
Dopo il grande numero di donne scese a protestare per avere l’accesso a Sabarimala la stilista ha deciso di inaugurare il suo progetto; con il numero 18, perché tanti sono i passaggi da compiere all’interno del santuario, e il colore nero che è quello indossato da tutti i devoti.
Ci viene detto che siamo impure durante il ciclo, e noi accettiamo questa idea. Anche ora ho amiche che, volontariamente, stanno lontane dalla visita di un tempio o dalla partecipazione a riti religiosi durante il ciclo – ha spiegato Nair – Quindi ho pensato che se così tante donne possono lottare per i diritti di una divinità, perché non possono lottare per i diritti delle donne? E ho pensato che se così tante donne si fossero unite, avrebbero potuto portare cambiamenti enormi.
Trovare donne per partecipare alla campagna, afferma Nair, non è stato facile.
Ho parlato con 80-90 donne e ho sentito storie personali molto avvincenti, ma la maggior parte non era disposta a partecipare. Erano preoccupate a causa della controversia sulla questione di Sabarimala. Mi hanno detto che avevano paura di come sarebbe stata accolta dalla società.
Nonostante ciò, Nair è riuscita nel suo intento, e questo è il risultato del progetto, con le immagini scattate dal fotografo Midhun Divakar, in cui le protagoniste hanno accettato di raccontare le discriminazioni cui sono state sottoposte nelle loro vite, solo in quanto donne. C’è chi non poteva frequentare il tempio con il ciclo, chi viene malvista perché guida l’auto, chi è stata giudicata per un colore di pelle troppo scuro. Ciascuna di loro ha vissuto su di sé il giudizio e lo stigma sociale.
Indu Jayaram, discriminata per il colore della sua pelle
Indu Jayaram è un analista che fa consulenza professionale per i bambini da 15 anni. Per lei, il problema è stato il suo colore della pelle. Quando era piccola, non sapeva che il colore fosse un grosso problema. Indu è cresciuta a Wayanad e, dopo essersi sposata, è arrivata in una città dove le è stato detto che sembrava troppo scura.
Era confusa e si sentiva in colpa per questo. Il colore ha influenzato la sua mente e il suo corpo così tanto da portarla ad avere iperpigmentazione. Sull’orlo della depressione, è stato suo figlio a consolarla facendole capire che il colore è solo un dettaglio. Oggi, quando Indu consiglia i giovani, continua a dire loro che qualsiasi colore è solo una sfumatura, e che bisogna celebrare ogni sfumatura.
Remya e il diritto a scegliere di non essere madre
Remya è una Development Communications Specialist e una scrittrice.
Le donne non sono solo macchine per la riproduzione.
La società in generale ruota ancora intorno all’idea di una donna che dà alla luce un bambino e alla felicità a esso associata, ma la domanda è: la felicità di chi è più importante?
Quanti di noi rispettano ancora la scelta di una donna di non diventare madre?
La maternità è una scelta tanto quanto non essere una madre è una scelta.
Priya Sivadas contro la società patriarcale
Priya Sivadas è CEO del De Valor Institute of Advanced Learnings.
L’India adora le donne attraverso diverse incarnazioni della dea Devi.
Durga, Kali, Lakshmi sono tutti venerati, mentre molte Lakshmi vengono abbattute, limitate, torturate e violentate.
La società patriarcale si è appropriata delle donne per la sua comodità, il resto è tutta retorica.
C’è una profonda ambivalenza tra il dio e le donne.
NB: quelle da lei citate sono tutte divinità appartenenti all’induismo e tutte femminili
Smitha Naik che rivendica il suo diritto a guidare senza sentirsi dire "È una donna"
Smitha Naik è un designer d’interni che lavora a Kochi. La principale restrizione che ha dovuto affrontare nella sua vita riguarda la guida. Anche se guida da molto tempo ed è una buona autista, è stata vittima di pregiudizi e giudizi. Ha dovuto affrontare lo stereotipo del “c’è una donna alla guida”. Smitha ha persino discusso con i suoi amici più cari, secondo cui un auto è guidata da una donna ogni volta che procede molto lentamente.
In un momento in cui le donne vanno nello spazio e pianificano il prossimo viaggio sulla Luna, qui vengono giudicate per la guida.
Parvathy Krishnan, che da ragazzina non poteva entrare nel tempio
Parvathy Krishnan lavora come HR in un hotel di fama mondiale a Cochin. Una delle maggiori restrizioni che ha dovuto affrontare nella sua vita l’ha subita durante l’adolescenza, quando, ogni volta che aveva le mestruazioni, veniva costretta a sedersi separatamente perché quella era una tradizione e un’usanza nella famiglia Tamil Brahmin a cui apparteneva.
Le veniva dato un lenzuolo separato, un piatto separato e un bicchiere da usare per i successivi tre giorni. In questo modo, non avrebbe toccato nessun altro oggetto domestico e non si sarebbe avvicinata al tempio. Parvathy sentiva di essere impura perché non poteva entrare in un posto di buon auspicio né avvicinarsi a nessun dio, fino a quando un giorno ha detto a suo padre di voler interrompere la pratica.
Sta dicendo al mondo che certe tradizioni non devono essere seguite per dimostrare di appartenere a una particolare società, quando ci sono questioni più grandi da affrontare che sarebbero più utili per l’umanità.
Gita Bakshi che invita a sognare
Gita Bakshi è giornalista e scrittrice.
Limiti i tuoi sogni?
Hai paura di esprimerti?
Sei snobbata quando fai domande?
Se sì, allora cominciamo tutti a sognare, un sogno collettivo.
E se il nostro sogno collettivo si moltiplica, immagina cosa potrebbe accadere…
Nandini Gopalakrishnan e il desiderio di essere una modella e una moglie felice
Nandini Gopalakrishnan lavora come amministratore delle risorse umane in un’azienda di Infopark ed è in parte impegnata nella moda. Dopo aver iniziato a fare la modella dopo i 30 anni ha dovuto affrontare severi giudizi e domande da parte della società che la circondava. La sua passione per la moda è stata ridotta a meri giudizi sul suo desiderio di viaggiare con i fotografi ed è stata etichettata come moglie infelice. Con la sua famiglia sempre al suo fianco, Nandini combatte e ha una cosa da dire alle future modelle: rimanete fedeli ai vostri obiettivi e andate avanti con la vostra passione, sfidando tutti i giudizi.
Le restrizioni invisibili
Ci viene detto che ragazzi e ragazze sono diversi, le ragazze non parlano o ridono rumorosamente – ha spiegato Nair alla BBC – Nei villaggi, anche oggi, le ragazze sono incoraggiate a studiare discipline umanistiche, non medicina o ingegneria.
C’è molta enfasi sul matrimonio e sull’avere figli. Ad esempio, in molte parti dell’India, nel momento in cui compi 18 anni, la tua famiglia inizierà a parlare di come organizzare il tuo matrimonio. E una volta sposati, inizieranno a chiederti quando avrai un figlio. E una volta che avrai un figlio, inizieranno a chiederti quando avrai il prossimo.
Interiorizziamo queste restrizioni. Parliamo di emancipazione delle donne, ma nella nostra vita quotidiana ci sottoponiamo indubbiamente a questi limiti. Sto cercando di affrontare queste restrizioni invisibili.
Cosa ne pensi?