Il funzionamento della mente umana ha indubbiamente sempre rappresentato un elemento di grande fascino e attrazione per noi; non è un caso che, oggi, moltissimi numeri di illusionismo e magia si basino proprio sul cosiddetto mentalismo, che comprende una serie di tecniche, come il cold reading o l’hot reading, che danno appunto l’illusione di poter leggere nella mente altrui, dimostrando così abilità mentali e intuitive altamente sviluppate. Al di là di questo aspetto, in generale gli uomini hanno spesso cercato di indagare le ragioni di alcuni dei nostri comportamenti e sul funzionamento della mente, anche se la psicologia sperimentale si è realmente sviluppata e ha avuto la sua più ampia diffusione soprattutto a partire dagli inizi del XX secolo.
Spaziando dagli studi comportamentali alle dinamiche sociali, fino all’esame dei complessi processi biologici che avvengono nel cervello, gli studi di questo tipo interessano le aree più disparate della mente, e hanno contribuito a ritrovare i motivi per cui, in talune situazioni, siamo spinti ad agire in determinate maniere.
Ad esempio, vi siete mai chiesti perché un musicista che fa il tutto esaurito ai suoi concerti non riceve nemmeno un applauso se si esibisce in metropolitana? Oppure perché spesso abbiamo la sensazione di farci piacere una cosa che non ci piace, se ci viene chiesto di mentire ma non riceviamo un incentivo sufficiente per farlo?
Negli anni, lo abbiamo detto, sono stati davvero moltissimi gli esperimenti di psicologia comportamentale che sono stati fatti, e Bored Panda li ha raccolti in una carrellata da cui abbiamo preso spunto per proporli in questa gallery. Sono semplici esperimenti sociali o prove che mettono a nudo i modelli comportamentali più complessi, che espongono il funzionamento del subconscio e impongono davvero a riflettere sulla consapevolezza che abbiamo di noi stessi come esseri umani. Questa gallery, forse, potrebbe farci capire che in fondo siamo tutti un po’ meno padroni di noi stessi di quanto crediamo…
L'esperimento delle scale-piano
L’iniziativa di Volkswagen intitolata “The Fun Theory” voleva dimostrare che il comportamento delle persone può essere cambiato in meglio rendendo le attività noiose e quotidiane più divertenti. In questo esperimento a Stoccolma, in Svezia, hanno installato dei passi di piano musicale sulle scale di una stazione della metropolitana, per vedere quante persone avrebbero scelto la più salutare opzione delle scale rispetto all’utilizzo della scala mobile.
I risultati hanno dimostrato che il 66% di persone in più del solito ha preso le scale quel giorno.
L'esperimento del campo estivo
Questo esperimento ha testato la teoria del conflitto realistico ed è un esempio di come atteggiamenti e comportamenti negativi insorgano tra i gruppi, a causa della concorrenza su risorse limitate.
Gli sperimentatori hanno portato due gruppi di ragazzi di 11 e 12 anni in quello che pensavano fosse un campo estivo. Per la prima settimana, i due gruppi di ragazzi sono stati separati e non si conoscevano l’un l’altro. Durante questo periodo, i ragazzi si sono uniti agli altri membri del loro nucleo.
Quindi, i due gruppi sono stati presentati l’un l’altro, e immediatamente sono iniziati i segni di conflitto. Gli sperimentatori hanno creato competizione e, come previsto, i livelli di ostilità e comportamento aggressivo sono aumentati.
Nella terza settimana, gli sperimentatori hanno creato condizioni che richiedevano che entrambi i gruppi lavorassero insieme per risolvere un problema comune.
Alla fine dell’esperimento, dopo che le due squadre avevano lavorato insieme sui compiti affidati, i rapporti di amicizia erano aumentati in modo significativo, dimostrando che la socializzazione di lavoro tra gruppi è uno dei modi più efficaci per ridurre pregiudizi e discriminazioni.
L'esperimento Asch
L’esperimento Asch è un altro famoso esempio di conformità sociale in situazioni di gruppo. Un soggetto è stato collocato in una stanza insieme ad altre persone, attori che in precedenza avevano ricevuto istruzioni su come rispondere. La persona che ha condotto l’esperimento ha mostrato un’immagine con tre linee numerate e ha chiesto a ogni persona nella stanza di identificare la linea più lunga.
Gli attori hanno risposto per primi, scegliendo di proposito la linea sbagliata, facendo un errore palese e ovvio. I risultati hanno mostrato che, in media, il 32% dei soggetti che sono stati collocati in questa situazione è andato avanti e si è conformato alla maggioranza chiaramente scorretta, dimostrando ancora una volta che le persone tendono a conformarsi in situazioni di gruppo nonostante le prove davanti ai loro occhi.
Quando sono stati intervistati dopo l’esperimento, la maggior parte dei soggetti ha affermato di non credere veramente alle loro risposte conformi, ma di aver risposto in linea con il gruppo, per paura di essere ridicolizzato o ritenuto “particolare”. Alcuni di loro hanno affermato di credere davvero che le risposte del gruppo fossero corrette.
Apparentemente, le persone si conformano per due motivi principali: perché vogliono entrare in sintonia con il gruppo e perché credono che il gruppo sia meglio informato di quello che sono .
L'esperimento Milgram
Questo esperimento fu condotto nel 1961 dallo psicologo Stanley Milgram, ed è stato progettato per misurare il grado di obbedienza della gente alle figure di autorità, anche se gli atti richiesti sono chiaramente dannosi per gli altri .
Ai soggetti è stato detto di interpretare il ruolo dell’insegnante, e di somministrare scosse elettriche allo studente (un attore apparentemente in un’altra stanza) ogni volta che avesse risposto in modo errato a una domanda. Naturalmente, nessuno ha subito scosse elettriche. È stato fatto sembrare ai partecipanti che l’intensità dello schock elettrico aumentasse dopo ogni risposta sbagliata. Nonostante le proteste, molti soggetti hanno continuato a somministrare le scosse se era una figura autoritaria a esortarli a farlo. Alla fine, il 65% dei soggetti ha somministrato quelle che sarebbero state scosse elettriche letali, con il più alto livello che ha raggiunto i 450 volt.
I risultati hanno mostrato che è probabile che la gente comune segua gli ordini dati da una figura autoritaria, fino al punto di uccidere un essere umano innocente. L’obbedienza all’autorità è semplicemente radicata in tutti noi, fin dal modo in cui siamo stati cresciuti da bambini.
L'esperimento Facebook
Nel 2012 Facebook ha condotto un enorme esperimento sui suoi utenti, a loro insaputa. Il gigante dei social media ha manipolato i notiziari di 689,003 persone per una settimana, dando la priorità a contenuti emotivi positivi o negativi. Sono stati quindi tracciati gli aggiornamenti che gli utenti, inconsapevoli, hanno pubblicato, per capire quanto fossero stati influenzati dai feed manipolati.
Quello che gli studiosi hanno scoperto è che si potrebbe davvero far sentire i propri utenti più felici o più tristi, in un processo chiamato “contagio emotivo”. Lo studio ha concluso affermando: “Le emozioni espresse dagli amici, attraverso i social network online, influenzano i nostri stati d’animo, costituendo, a nostra conoscenza, la prima prova sperimentale per un contagio emotivo su vasta scala attraverso i social network”.
L'esperimento del falso consenso
In questo esperimento, i ricercatori hanno chiesto agli studenti universitari se fossero stati disposti a camminare per 30 minuti all’interno del campus indossando un grande costume da sandwich con il messaggio: “Mangiare da Joe”.
I ricercatori hanno quindi chiesto agli studenti di stimare quante altre persone avrebbero accettato di indossare l’annuncio. I risultati hanno evidenziato come coloro che hanno accettato di portare il costume credevano che anche la maggioranza delle persone avrebbe accettato di portarlo. Coloro che hanno rifiutato, invece, hanno pensato che anche la maggior parte della gente avrebbe rifiutato. Quindi, se hanno accettato di promuovere “Joe” o no, lo hanno fatto nella convinzione che anche la maggior parte degli altri avrebbe fatto la stessa scelta.
I risultati dimostrano ciò che è noto in psicologia come il falso consenso. Indipendentemente dalle nostre convinzioni, opzioni o comportamenti, tendiamo a credere che la maggior parte delle altre persone sia d’accordo con noi e agisca nello stesso modo in cui lo facciamo noi.
La stanza riempita di fumo
Questo esperimento ha messo insieme persone chiamate a riempire un questionario, fino a che la stanza da loro occupata inizia a riempirsi di fumo. Cosa fare in questo caso? Ci si alza e si corre ad avvertire qualcuno, giusto? Ora immaginate la stessa situazione, con l’eccezione di non essere soli, ma con altre persone che non sembrano preoccuparsi del fumo. Cosa fate adesso?
Da soli, il 75% delle persone ha segnalato il fumo quasi immediatamente. Il tempo medio di segnalazione è stato di 2 minuti dopo aver notato il fumo.
Tuttavia, quando erano presenti due attori, complici dell’esperimento, solo il 10% dei soggetti ha lasciato la stanza o segnalato il fumo. 9 soggetti su 10 hanno effettivamente continuato a lavorare sul questionario, sfregandosi gli occhi e facendo uscire fumo dal naso.
L’esperimento è stato un ottimo esempio di come le persone rispondano più lentamente (o non del tutto) alle situazioni di emergenza in presenza di altri agenti, passivi. Sembra che dipendiamo pesantemente dalle risposte degli altri, anche quando queste vanno contro il nostro stesso istinto. Se il gruppo agisce come se tutto fosse OK, allora così deve essere, giusto? Sbagliato. Non lasciate che la passività degli altri porti alla vostra inazione. Non dovete sempre presumere che qualcun altro vi aiuterà, che qualcuno sia chiamato ad agire a nome degli altri.
Il test del marshmallow
L’esperimento Marshmallow condotto dalla Stanford ha riguardato una serie di studi sulla gratificazione ritardata, condotti tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 dallo psicologo Walter Mischel.
Alcuni bambini di età compresa tra quattro e sei anni furono condotti in una stanza dove un dolce (di solito un marshmallow, ma a volte un biscotto o un pretzel), era posto su un tavolo, vicino a una sedia. I bambini avrebbero potuto mangiare il dolcetto, ma se avessero aspettato altri quindici minuti senza cedere alla tentazione, sarebbero stati ricompensati con una seconda sorpresa. Queste le istruzioni.
Mischel osservò: “Alcuni si coprono gli occhi con le mani o si girano per non vedere il vassoio, altri iniziano a prendere a calci la scrivania, o si tirano le treccine, o accarezzano il marshmallow come se fosse un piccolo animale di pezza”, mentre altri semplicemente mangiavano il marshmallow non appena i ricercatori se ne andavano.
Degli oltre 600 bambini che hanno preso parte all’esperimento, solo una minoranza ha mangiato immediatamente il marshmallow. Di quelli che hanno tentato di non cedere, un terzo ha aspettato la gratificazione abbastanza a lungo da ottenere il secondo marshmallow. L’età, in questo esperimento, ha rappresentato un fattore determinante nella scelta della gratificazione posticipata.
Negli studi di follow-up, i ricercatori hanno scoperto che i bambini che erano stati in grado di aspettare più a lungo per la ricompensa, tendevano ad avere migliori risultati nella vita, come misurato dai punteggi SAT (i testi attitudinali diffusi per l’ammissione alle università), dal rendimento scolastico, dall’indice di massa corporea e da altre misure del benessere di vita.
L'incidente d'auto
Il Car Crash Experiment di Loftus e Palmer, eseguito nel 1974, mirava a dimostrare che la formulazione di domande, poste in un certo modo, poteva influenzare i ricordi di un partecipante, distorcendoli.
Hanno chiesto alle persone di stimare la velocità dei veicoli a motore utilizzando diverse formule di domanda. Stimare la velocità del veicolo è qualcosa in cui le persone riescono difficilmente, quindi le risposte possono essere aperte alla suggestione.
I partecipanti hanno visto le diapositive di un incidente d’auto e gli è stato chiesto di descrivere cosa fosse successo, come se fossero testimoni oculari della scena. I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi, e ad ogni gruppo è stata posta una domanda sulla velocità utilizzando diversi verbi per descrivere l’impatto, ad esempio: “quanto è stata veloce l’auto quando ha distrutto / urtato / colpito / entrata in collisione/ contattato l’altra auto?”
I risultati mostrano che il verbo trasmetteva un’impressione della velocità a cui la macchina stesse viaggiando, alterando quindi le percezioni dei partecipanti. I partecipanti a cui è stata fatta la domanda utilizzando il termine “fracassata” hanno pensato che le macchine andassero più veloci di quelli a cui è stata fatta la domanda usando il verbo “colpire”. I partecipanti alla condizione “distrutta” hanno riportato la stima della velocità più elevata (40,8 mph), seguita da “collisione” (39,3 mph), “urtato” (38,1 mph), “colpito” (34 mph) e “contattato” (31,8 mph) in ordine decrescente. In altre parole, l’esperimento ha voluto dimostrare che la testimonianza dei testimoni oculari potrebbe essere distorta dal modo in cui le domande vengono poste, dopo che un crimine è stato commesso.
Persi al centro commerciale
L’esperimento “Lost in the Mall” è una tecnica di impianto di memoria, utilizzata per dimostrare che i discorsi su eventi che non hanno mai avuto luogo – come essersi persi in un centro commerciale da bambini – possono essere create attraverso suggestioni. Fu sviluppato per la prima volta da Jim Coan, uno studente universitario della psicologa Elizabeth Loftus, come supporto per l’affermazione che è possibile impiantare completamente false memorie nelle persone. La tecnica è stata sviluppata nel contesto del dibattito sull’esistenza di ricordi repressi e falsi ricordi.
Coan arruolò sua madre, sorella e fratello come soggetti dell’esperimento, assemblando opuscoli contenenti quattro brevi racconti che descrivevano gli eventi dell’infanzia, e li ha istruiti a cercare di ricordare il più possibile su ciascuno dei quattro eventi, e di scrivere quei dettagli nel corso di sei giorni. All’insaputa dei partecipanti, una delle narrazioni era falsa; descriveva il fratello di Coan che si era perso in un centro commerciale all’età di 5 anni, prima di essere salvato da una persona anziana e di essere riunito alla sua famiglia. Durante l’esperimento, il fratello di Coan ha involontariamente inventato diversi dettagli aggiuntivi della falsa narrazione. Alla conclusione dell’esperimento – durante un debriefing registrato su nastro – quando gli fu detto che una delle narrazioni era falsa, il fratello di Coan non riuscì a identificare quale delle quattro fosse, ed espresse incredulità quando gli fu detto.
Loftus chiama questo studio “prova di esistenza” per il fenomeno della falsa creazione di memoria, e suggerisce che la falsa memoria si formi come risultato dell’evento suggerito (l’essersi perso in un centro commerciale) che viene incorporato nei ricordi già esistenti riguardanti l’andare al centro commerciale. Con il passare del tempo diventa più difficile per le persone distinguere tra ciò che è realmente accaduto e ciò che è stato immaginato, perciò si commettono errori di memoria.
L'esperimento del gorilla invisibile
Immagina che ti venga chiesto di guardare un breve video in cui sei persone, tre con camicie bianche e tre con camicie nere, si passano la palla da basket. Mentre osservi, devi tenere un conto silenzioso del numero di giri fatti dalle persone in camicia bianca. A un certo punto, un gorilla passeggia nel mezzo dell’azione, si affaccia alla telecamera e batte il petto, e poi se ne va, trascorrendo nove secondi sullo schermo. Vedresti il gorilla?
Quasi tutti rispondono “sì, certo che lo farei”. Come potrebbe qualcosa di così ovvio passare completamente inosservato? Ma durante questo esperimento all’Università di Harvard diversi anni fa, si è constatato che metà delle persone che hanno guardato il video e contato i passaggi hanno mancato il gorilla. Era come se il gorilla fosse invisibile.
Questo esperimento rivela due cose: perdiamo un sacco di ciò che accade intorno a noi, e non ne abbiamo neppure idea.
L'esperimento della terza onda
La Terza Onda fu un movimento sociale sperimentale creato dall’insegnante di storia della California, Ron Jones, per spiegare come la popolazione tedesca potesse accettare le azioni del regime nazista durante la seconda guerra mondiale.
Mentre spiegava ai suoi studenti della Germania nazista, durante la sua lezione di “Storia del mondo contemporaneo”, Jones trovava difficile spiegare come il popolo tedesco potesse accettare le azioni dei nazisti e decise di creare un movimento sociale come dimostrazione del fascino di questi regimi. Nel corso di cinque giorni, Jones ha condotto una serie di esercizi nella sua classe, sottolineando la disciplina e il senso della comunità, intesi a modellare alcune caratteristiche del movimento nazista.
Quando il movimento è cresciuto al di fuori della sua classe cominciando a contare centinaia di adepti, Jones avvertì che il movimento era fuori controllo. Ha convinto gli studenti a partecipare a una manifestazione, in cui aveva promesso che l’annuncio di un candidato presidenziale della Terza Onda sarebbe stato trasmesso in televisione. Al loro arrivo, gli studenti hanno trovato solo un canale vuoto. Jones ha raccontato ai suoi studenti la vera natura del movimento, come un esperimento per mostrare come il fascismo fosse in grado di fare presa sulla gente, e ha presentato loro un cortometraggio che parlava delle azioni della Germania nazista.
L'effetto alone
In questo esperimento, condotto nel 1920, lo psicologo dell’educazione Edward Thorndike chiese a due ufficiali comandanti di valutare i loro soldati in termini di qualità fisiche (ordine, voce, fisico, portamento ed energia), intelletto, capacità di comando e qualità personali (inclusa affidabilità, lealtà , responsabilità, altruismo e cooperazione). Il suo obiettivo era vedere come il giudizio di una persona su una caratteristica influenzasse il successivo giudizio su altre caratteristiche.
Thorndike scoprì che quando i comandanti ottenevano una buona impressione di una caratteristica di un soldato, quei buoni sentimenti tendevano a influenzare le percezioni di altre qualità. Viceversa, se un soldato presentava un particolare attributo “negativo” raccolto dall’ufficiale comandante, questo veniva correlato ad altre caratteristiche di quel soldato.
L'”effetto alone” si riferisce alle impressioni positive che le persone ottengono su una caratteristica particolare, la quale influenza la percezione di altre qualità. Per esempio, se si trova qualcuno che è fisicamente attraente, questo può portare a percezioni favorevoli delle sue altre qualità, come la generosità, la cordialità, l’intelligenza. Tuttavia è anche vero il contrario: se si ottiene un’impressione negativa di una caratteristica, questo può portare a vedere altre qualità personali in una luce meno favorevole. Le prime impressioni contano!
L'esperimento della dissonanza cognitiva
L’esperimento della Dissonanza Cognitiva si basa sulla teoria che le persone hanno molte cognizioni sul loro mondo, ad esempio sul loro ambiente e le loro personalità. In un evento in cui alcune di queste cognizioni si scontrano, si verifica uno stato di tensione instabile, chiamato appunto dissonanza cognitiva.
Nel 1959 Leon Festinger condusse un esperimento in cui ai partecipanti veniva chiesto di eseguire una serie di compiti noiosamente scrupolosi, come ad esempio girare inutilmente pioli in una bacheca per un’ora. Le risposte dei partecipanti verso il compito erano altamente negative. Sono stati poi pagati 1 o 20 dollari per raccontare a un altro partecipante, che aspettava nella hall, che i compiti erano davvero interessanti.
Quando i partecipanti sono stati poi invitati a valutare l’esperimento, quelli che sono stati pagati solo 1 dollaro per mentire ai partecipanti in attesa hanno valutato il compito noioso come più divertente e piacevole, rispetto ai partecipanti che sono stati pagati 20 dollari per mentire.
Sembra che essere pagato solo 1 dollaro non sia un incentivo sufficiente per mentire, quindi coloro che sono stati pagati 1 dollaro hanno sperimentato una dissonanza cognitiva. Potevano superare quella dissonanza solo arrivando a credere che i compiti fossero davvero interessanti e divertenti. Essere pagati 20 dollari fornisce una ragione per mentire, quindi non c’è dissonanza. L’esperimenti ha dimostrato che le persone, quando vengono persuase a mentire senza ricevere una giustificazione sufficiente, si convincono della menzogna, piuttosto che mentire.
La camera di Fantz
Nel 1961, quando Fantz portò a termine il suo semplice ma geniale esperimento, non c’era molto che si potesse fare per scoprire cosa stava succedendo nella testa di un bambino, a parte osservarlo. E osservarlo è stato esattamente ciò che ha fatto.
Una caratteristica duratura della natura umana è che se c’è qualcosa di interessante vicino a noi, generalmente lo guardiamo. Così Fantz ha allestito un tabellone, sopra un bambino di due mesi, al quale sono state attaccate due foto. Su una c’era un occhio di bue, sull’altra lo schizzo di un volto umano. Quindi, da dietro il tabellone, invisibile al bambino, ha sbirciato attraverso un buco per vedere cosa guardasse il bambino.
Quello che scoprì fu che il bambino guardava due volte di più il volto umano rispetto all’occhio di bue. Questo ha suggerito che i bambini umani hanno alcuni poteri di selezione del modello e della forma. Prima di questo si credeva che i bambini guardassero su un mondo caotico fondato sul non senso.
Come risultato di questo e di successivi studi simili, gli psicologi hanno suggerito che siamo nati con una chiara preferenza per la visione di volti umani.
L'effetto Hawthorne
L’effetto Hawthorne deriva da uno studio del 1955 condotto da Henry Landsberger.
Lo scopo originale degli esperimenti era di studiare gli effetti delle condizioni fisiche sulla produttività. Due gruppi di lavoratori nello stabilimento Hawthorne sono stati usati come cavie. Un giorno l’illuminazione nell’area di lavoro per un gruppo è migliorata notevolmente, mentre l’illuminazione dell’altro gruppo è rimasta invariata. I ricercatori sono stati sorpresi nello scoprire che la produttività dei lavoratori che avevano goduto di maggiore illumazione è aumentata molto più di quella del gruppo di controllo.
Le condizioni di lavoro dei dipendenti sono state modificate anche in altri modi (orario di lavoro, pause di riposo e così via) e in tutti i casi la loro produttività è migliorata quando è stata apportata una modifica. In effetti, la loro produttività è migliorata persino quando le luci si sono di nuovo attenuate. Nel momento in cui tutto era tornato come prima che fossero iniziate le modifiche, la produttività in fabbrica era ai massimi livelli. L’assenteismo era precipitato.
Gli sperimentatori hanno concluso che non erano i cambiamenti nelle condizioni fisiche che stavano influenzando la produttività dei lavoratori, quanto il fatto che qualcuno fosse realmente preoccupato per il loro posto di lavoro. I lavoratori si sentivano importanti perché erano contenti di essere riconosciuti e, di conseguenza, aumentavano la produttività. Questo effetto è una semplice constatazione del fatto che i soggetti umani, in un esperimento, modificano il loro comportamento semplicemente perché sono sotto osservazione e studiati.
Il caso Kitty Genovese
Il caso di omicidio di Kitty Genovese non fu mai inteso come un esperimento psicologico, ma finì col diventare il catalizzatore per le scoperte su ciò che è ora noto come effetto Bystander.
L’effetto spettatore si verifica quando la presenza di altri scoraggia un individuo dall’intervenire in una situazione di emergenza. Gli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley hanno reso popolare questo concetto dopo l’infame omicidio del 1964 avvenuto a New York Cit: Kitty Genovese è stata pugnalata a morte fuori dal suo appartamento, mentre i passanti che hanno osservato il crimine non sono intervenuti per assistere o chiamare la polizia. Latané e Darley attribuiscono l’effetto spettatore alla percezione della diffusione della responsabilità (gli osservatori hanno più probabilità di intervenire se ci sono pochi o nessun altro testimoni) e l’influenza sociale (gli individui in un gruppo controllano il comportamento di coloro che li circondano per determinare come comportarsi) . Nel caso di Genovese, ogni osservatore aveva concluso che l’inattività dei loro vicini rendeva non necessario il proprio aiuto.
L'esperimento della mamma surrogata
L’esperimento di Harry Harlow, condotto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, voleva studiare l’importanza dell’amore di una madre per uno sviluppo sano e infantile. Per fare ciò ha condotto una serie di esperimenti sulle scimmie rhesus, osservando come l’isolamento e la separazione potessero influenzare i soggetti negli ultimi anni della loro vita. L’esperimento della scimmia di Harlow ha infine rafforzato l’importanza del legame tra madre e figlio.
Harlow separò le scimmie cucciole dalle loro madri biologiche entro 6-12 ore dalla nascita, collocandole poi in un asilo nido con madri “surrogate” inanimate – una fatta di pesanti reti metalliche, e l’altra fatta di legno coperto con un panno morbido. Entrambi i surrogati erano della stessa dimensione; tuttavia la madre in rete metallica non aveva una superficie morbida, mentre la madre in stoffa era morbida al tatto e sembrava essere tenera.
Nel primo esperimento, entrambi i surrogati furono collocati con le scimmie cucciole, in modo che fosse loro data una scelta su dove andare, mentre nel secondo i cuccioli erano divisi e non potevano scegliere dove andare, ma erano obbligati.
Dopo aver osservato le scimmie nel corso del tempo, si è scoperto che anche se i cuccioli ricevevano nutrimento dalla madre in rete metallica, passavano ancora più tempo a coccolare e a essere affettuosi con la madre in spugna. Ciò dimostra che il legame tra madre e bambino non sia basato unicamente sul fatto che la prima sia in grado di soddisfare i bisogni fisiologici dell’altro
Inoltre, i risultati del secondo esperimento hanno mostrato che, mentre i cuccioli di entrambi i gruppi consumavano la stessa quantità di latte dalla madre, quelli cresciuti con la mamma di spugna mostravano attaccamento emotivo.
I risultati per la madre in rete metallica erano opposti: i cuccioli hanno reagito in modo piuttosto diverso allo stesso stimolo, gettandosi sul pavimento, dondolando avanti e indietro.
L'esperimento del buon samaritano
Nel 1973, al Seminario Teologico di Princeton, gli studenti parteciparono a un esperimento che apparentemente era uno studio sull’educazione e le vocazioni religiose. Sono stati radunati in un edificio per compilare un questionario, poi sono stati incaricati di recarsi in un altro edificio per tenere un discorso sul lavoro o un discorso sulla storia del Buon Samaritano. Ai partecipanti è stato detto di sbrigarsi, ma in misura diversa. Sulla strada per il secondo edificio, un attore che faceva parte dello studio, si accasciò a terra, in bella vista, con un evidente bisogno di aiuto. Questo esperimento intendeva mostrare la disponibilità delle persone ad aiutare, e come questa sia influenzata da fattori situazionali.
In primo luogo i ricercatori hanno scoperto che poco importava se i partecipanti avessero parlato di lavoro o della storia del Buon Samaritano, anche se quest’ultimi hanno mostrato una volontà leggermente maggiore di fermarsi e aiutare. La “variabile della fretta” era tuttavia significativamente correlata al comportamento di aiuto, cioè più i partecipanti erano di fretta, meno il comportamento di aiuto si mostrava. In effetti, solo il 10% di coloro che erano nella categoria “ad alta fretta” offrivano aiuto all’attore sofferente. Quelli meno di fretta hanno offerto più aiuto.
La fretta quindi ha significativamente contribuito alla disponibilità, molto più dei fattori di personalità. Sembra che gli atti di gentilezza siano maggiormente influenzati dai fattori situazionali di quanto molti di noi pensino.
L'esperimento della divisione di classe
Nel 1968, in seguito all’assassinio del leader dei diritti civili Martin Luther King, l’insegnante Jane Elliott provò a discutere di questioni di discriminazione, razzismo e pregiudizio con la sua classe di terza elementare di Riceville, nell’Iowa.
La signora Elliott ha iniziato un esercizio di due giorni “occhi azzurri / occhi castani” per rinforzare l’idea dell’ingiustizia della discriminazione e del razzismo: agli studenti con gli occhi azzurri fu dato un trattamento preferenziale, un rinforzo positivo, e furono fatti sentire superiori a quelli con gli occhi marroni per un giorno; la procedura è stata poi invertita il giorno successivo, con la signora Elliott che invece dava preferenza agli studenti con gli occhi marroni.
Di conseguenza, il gruppo preferito da Elliott si è esibito con entusiasmo in classe, ha risposto alle domande in modo rapido e preciso e ha ottenuto risultati migliori nei test; coloro che erano stati discriminati si sentivano invece più abbattuti, erano esitanti e incerti nelle loro risposte, e avevano ottenuto pessimi risultati nelle prove.
L'esperimento della bambola Bobo
L’esperimento della bambola Bobo fu eseguito nel 1961 da Albert Bandura, per verificare la sua convinzione che tutto il comportamento umano fosse appreso attraverso l’imitazione e la copia sociale, piuttosto che ereditato attraverso fattori genetici.
Per provare e dimostrare che i bambini avrebbero copiato il comportamento di un modello adulto, ha separato i partecipanti in gruppi. Uno era esposto a un adulto che mostrava un comportamento aggressivo nei confronti di una bambola Bobo; un altro era esposto ad un adulto passivo che giocava con la bambola Bobo, mentre il terzo ha formato un gruppo di controllo senza alcuna esposizione ad un adulto.
I bambini sono stati inviati in una stanza individualmente, con vari giocattoli, tra cui la bambola Bobo. Gli è stato detto di non giocare con i giocattoli perché erano riservati ad altri bambini, al fine di aumentare i loro livelli di frustrazione. Ciò che il ricercatore ha scoperto è che i bambini esposti al modello aggressivo avevano più probabilità di esibire un comportamento simile nei confronti della bambola Bobo, mentre gli altri gruppi mostravano un comportamento poco aggressivo.
L'esperimento del piccolo Albert
Questo esperimento controverso fu condotto nel 1920 da John Watson e Rosalie Rayner alla Johns Hopkins University. Un bambino di un anno, chiamato Albert, è stato messo su un materasso su un tavolo nel mezzo di una stanza. Un ratto da laboratorio bianco è stato collocato vicino ad Albert e gli è stato permesso di giocare con lui. A questo punto gli sperimentatori hanno emesso un suono forte dietro la schiena di Albert, colpendo una barra d’acciaio sospesa con un martello ogni volta che il bambino toccava il topo. Albert ha risposto al rumore piangendo e mostrando paura. Dopo diversi accoppiamenti di questi due stimoli, ad Albert venne presentato solo il topo. Dopo aver visto il topo, Albert si è molto addolorato, piangendo e strisciando via. Apparentemente, il bambino associava il ratto bianco al rumore. Il ratto, originariamente uno stimolo neutro, era diventato uno stimolo condizionato, e stava suscitando una risposta emotiva (risposta condizionata) simile al disagio (risposta incondizionata) originariamente dato al rumore (stimolo incondizionato).
In ulteriori esperimenti, Albert sembrò generalizzare la sua risposta al ratto bianco. Diventò angosciato alla vista di molti altri oggetti pelosi, come un coniglio, un cane peloso e un cappotto di pelle di foca, e persino davanti a una maschera da Babbo Natale.
Oggi un tale esperimento potrebbe essere difficile da condurre in conformità con le leggi e i regolamenti vigenti, e infatti è generalmente considerato uno degli esperimenti psicologici meno etici condotti nel corso degli anni.
Lo studio del mostro
Questo esperimento è stato condotto dal Dottor Wendell Johnson, un logopedista che voleva dimostrare che le teorie prevalenti sulle cause della balbuzie erano sbagliate. Durante gli anni ’30 si pensava che la balbuzie avesse una causa organica o genetica: insomma, si riteneva che per i nati balbuzienti si sarebbe potuto fare ben poco.
Il Dr. Johnson riteneva che l’etichettatura dei bambini come balbuzienti potesse effettivamente peggiorarli, e in alcuni casi causare anche balbuzie nei bambini che non l’avevano mai manifestata. Per dimostrare il suo punto, ha suggerito un esperimento che è diventato noto come lo “studio dei mostri”.
Ventidue giovani orfani sono stati reclutati per partecipare all’esperimento. Sono stati divisi in due gruppi. I primi erano etichettati come “normali oratori” e il secondo come “balbuzienti”. Fondamentalmente, solo la metà del gruppo di balbuzienti mostrava effettivamente segni di balbuzie.
Nel corso dell’esperimento, i normali oratori hanno ricevuto un incoraggiamento positivo, ma è stato il trattamento dell’altro gruppo che ha reso noto lo studio: i balbuzienti etichettati del gruppo hanno preso più consapevolezza della propria balbuzie: hanno ricevuto lezioni sulla balbuzie, ed è stato detto loro di fare molta attenzione a non ripetere le parole. Altri insegnanti e personale dell’orfanotrofio sono stati reclutati, senza saperlo, proprio per rafforzare nei bambini l’etichetta.
Dei sei bambini “normali” nel gruppo balbuzie, cinque hanno iniziato a balbettare dopo la terapia negativa. Dei cinque bambini che avevano balbettato prima della loro “terapia”, tre sono peggiorati. In confronto, solo uno dei bambini del gruppo etichettato come “normale” presentava maggiori problemi di linguaggio dopo lo studio.
Comprendendo il potere del loro esperimento, i ricercatori hanno cercato di annullare il danno che avevano fatto, ma senza risultato. Sembrava che gli effetti dell’etichettatura dei bambini balbuzienti fossero permanenti. Questo è qualcosa che gli orfani etichettati come balbuzienti hanno dovuto affrontare per il resto della loro vita.
Chiaramente questa ricerca solleva una serie di importanti preoccupazioni etiche, nonostante le buone intenzioni del ricercatore. Nel 2001 l’Università dello Iowa, dove è stato condotto lo studio, ha rilasciato scuse formali e ha definito l’esperimento sia deplorevole che indifendibile.
Il violinista in metro
Il 12 gennaio 2007, circa un migliaio di pendolari che attraversano una stazione della metropolitana di Washington, furono attirati, senza pubblicità, per un mini-concerto gratuito eseguito dal virtuoso violinista Joshua Bell, che ha suonato per circa 45 minuti, eseguendo sei pezzi classici ( due dei quali erano di Bach), sul suo violino Stradivari del 1713 (per il quale Bell aveva pagato 3,5 milioni di dollari).
Solo 6 persone si fermarono e rimasero ad ascoltare per un po’: circa 20 gli diedero soldi, ma continuarono a camminare seguendo il loro ritmo normale. Alla fine di quelle giornata Bell raccolse 32 dollari. Quando finì di suonare e il silenzio prese il sopravvento, nessuno se ne accorse. Nessuno applaudì, né ci fu alcun riconoscimento. Nessuno notò che uno dei migliori musicisti del mondo aveva suonato uno dei pezzi più intricati mai scritti con un violino del valore di 3,5 milioni di dollari.
Lo scrittore del Washington Post Gene Weingarten ha organizzato l’evento “come un esperimento sul contesto, la percezione e le priorità – oltre a una valutazione incondizionata del gusto del pubblico: in un contesto banale in un momento inopportuno, la bellezza trascenderebbe?”
Quando i bambini ogni tanto si fermavano ad ascoltare, i loro genitori li prendevano e li portavano rapidamente via. L’esperimento ha sollevato alcune interessanti domande sul modo in cui non solo valutiamo la bellezza, ma anche come l’impostazione e la presentazione facciano la differenza. Tre giorni prima, Bell aveva suonato per un full house alla Symphony Hall di Boston, dove ogni posto costava circa 100 dollari.
L'esperimento della prigione di Stanford
L’esperimento della prigione di Stanford fu un tentativo di indagare gli effetti psicologici del potere percepito, concentrandosi sulla lotta tra prigionieri e ufficiali di prigione. Fu condotto alla Stanford University nel 1971, da un gruppo di ricerca guidato dal professore di psicologia Philip Zimbardo, usando studenti universitari come soggetti.
Zimbardo mirava a verificare l’ipotesi che i tratti inerenti alla personalità dei prigionieri e delle guardie fossero la principale causa di comportamenti abusivi in carcere. I partecipanti sono stati assegnati casualmente al ruolo di prigioniero o di guardia, simulando un ambiente carcerario. I prigionieri sono stati trattati come ogni altro criminale. Arrivati alla prigione, furono spogliati, tutti i loro oggetti personali furono rimossi e rinchiusi, venne loro fatta indossare un’uniforme e furono, da quel momento, indicati solo dal loro numero. L’uso dei numeri di identificazione era un modo per far sentire i prigionieri anonimi.
Entro poche ore dall’inizio dell’esperimento, quelli che furono assegnati come guardie iniziarono a molestare i prigionieri. I prigionieri furono scherniti con insulti, vennero dati loro compiti inutili e noiosi da compiere, ed erano generalmente disumanizzati. In meno di una settimana alcune guardie erano diventate sadiche, intensificando il proprio abuso sui prigionieri con il passare dei giorni. I prigionieri erano diventati abbattuti emotivamente e fisicamente.
I risultati dello studio ha concluso che le persone si conformano ai ruoli sociali che dovrebbero svolgere, specialmente se i ruoli sono fortemente stereotipati come quelli delle guardie carcerarie. Sembrava che fosse la situazione, e non le loro personalità individuali, ad aver causato nelle guardie un comportamento brutale e sadico. Nessuno dei partecipanti che erano diventati guardie aveva mostrato segni tipici della personalità sadici prima dell’inizio dello studio.
L'esperimento sociale di Carlsberg
In questo esperimento sociale, condotto dal birrificio danese Carlsberg, i soggetti, le coppie ignare, entrano in un cinema affollato, dove sono rimasti solo due posti liberi, proprio nel mezzo. Tutti gli altri sono occupati da motociclisti duri e tatuati.
L’esperimento, che in realtà era destinato a essere solo una pubblicità ha mostrato che non tutte le coppie hanno deciso di sedersi, alcune hanno abbandonato il cinema dopo aver visto gli occupanti delle altre poltroncine. Alcune coppie hanno scelto invece di prendere posto, e sono state premiate con applausi dalla folla e un giro di birre Carlsberg gratuite. L’esperimento è stato un buon esempio del perché le persone non dovrebbero sempre giudicare un libro dalla sua copertina.
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