La piaga della tossicodipendenza è, forse, appena percettibile per chi non vive il dramma in prima persona; certo, è notoriamente uno dei grandi flagelli dell’epoca contemporanea, e le cifre del problema raccontano tutta la sua gravità, ma la fortuna – perché di questo si tratta – di non avere un familiare gravemente dipendente dalle droghe non permette di avere appieno una visione lucida e concreta di cosa tutto questo significhi. Di cosa significhi lottare, ogni singolo giorno, con un figlio, un fratello, un padre o un compagno che non riescono a stare lontani dal proprio mostro.

Un reportage del New York Times illustra tutto questo, descrivendo la vita di una famiglia del New Hampshire che da ormai vent’anni convive con l’opprimente peso di un figlio che sfiora la morte praticamente ogni giorno. Patrick Griffin è dipendente dall’eroina da quando era appena adolescente, ed è andato in overdose almeno 30 volte. Queste, perlomeno, sono le volte che lui stesso ricorda.

Una delle ultime volte Patrick è riuscito ad avere ben 4 overdose nell’arco di appena 6 ore: la prima, nel maggio del 2017, alle 13:30. Fu trovato dai genitori, Dennis e Sandy, sul pavimento. Incupito, il ragazzo ha distrutto una sedia, una ciotola di vetro, un tavolino, minacciando di uccidersi, prima di rinchiudersi in bagno, dove alle 15 ebbe la seconda overdose. La famiglia ha chiamato il 911, e gli operatori sanitari lo hanno rianimato con il Narcan. Per tutto il pomeriggio i genitori hanno cercato di convincerlo ad andare in terapia, inutilmente. Alle 16 Patrick ha avuto la terza overdose, cosa che ha richiesto un nuovo intervento dello staff sanitario. Rientrato a casa, il trentaquatrenne ha avuto l’ultima overdose, la quarta nel giro di sei ore, alle 19:30.

La famiglia Griffin è sicuramente problematica: il padre, Dennis, operaio in pensione, ha un passato da alcolista, la madre, Sandy, è una cameriera che vive costantemente nell’ansia di poter perdere uno dei suoi figli o di doverli andare a recuperare in giro per strada; anche la figlia minore, Betsy, è una tossicodipendente, che però, a differenza di Patrick, ha deciso seriamente di farsi aiutare, mentre la figlia maggiore ha preso le distanze dalla famiglia, vive in un altro stato e, benché faccia loro visita spesso, ha scelto di allontanarsi dai guai di Patrick. Sandy e Dennis sono divorziati, ma per amore del figlio hanno deciso di unire le forze, nel tentativo disperato di aiutarlo.

Patrick ha subito atti di bullismo da adolescente, e gli è stato diagnosticato un deficit dell’attenzione unitamente all’iperattività. Ha iniziato a “curarsi” a 14 anni con birra e marijuana, per poi passare a cocaina e metanfetamina. “Tutto quello che volevo fare era alzarmi e dimenticare”, ha detto al NYT. La metanfetamina però lo faceva vomitare, così Patrick è diventato dipendente dagli antidolorifici che i suoi amici rubavano dai bagni dei loro genitori.

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Da adulto a Patrick è stato diagnosticato un disturbo depressivo, un disordine di personalità borderline e, più recentemente, un disturbo da stress post-traumatico, malattie che spesso vanno di pari passo con l’abuso di sostanze. I suoi genitori lo hanno aiutato affiancandogli dei consulenti, e la terapia sembrava aver avuto effetto su di lui, tanto da fargli cessare l’assunzione di antidepressivi, ma anche questa soluzione non è durata a lungo.

Nel luglio del 2017 Patrick ha avuto due overdose nel giro di pochissime ore, la prima dopo un duro confronto con i genitori, la seconda dopo essere stato sorpreso dalla polizia nei pressi di un Burger King con un pacchetto di Xanax che sporgeva da uno dei suoi calzini. È stato arrestato con l’accusa di possesso per spaccio, e per altri quattro reati, per cui la sua cauzione è stata fissata a 10 mila dollari. Non era la prima volta che il ragazzo finiva in prigione, e anche quella volta in cella non ha avuto accesso a nessuna droga, dato che il New Hampshire è tra gli stati che hanno vietato anche il Suboxone (il farmaco che allevia i sintomi di astinenza) dalle carceri, poiché i detenuti erano soliti venderlo tra di loro. Patrick è andato in forte astinenza, accusando vomito e diarrea, ed è arrivato a pesare appena 60 chili per quasi un metro e 80 di altezza.
Ha trascorso sette settimane in prigione, poi 28 giorni in un programma di trattamento ospedaliero, mentre papà Dennis passava le ore al telefono con avvocati e medici, per trovare una via d’uscita definitiva.
Al termine del programma, a ottobre, Patrick è stato pulito per tre mesi, ma anche quella volta sia Sandy che Dennis nutrivano poca fiducia sulla sua capacità di allontanarsi definitivamente dalla tossicodipendenza.

Tornerà e farà esattamente la stessa cosa, e non so come fermarlo – ha detto il padre prima che Patrick venisse rilasciato e tornasse a casa – È quello che succede ogni volta.

Trovo aghi in tutta la casa. Sono dietro al tostapane. Sono in bagno, sono sulle scale. Sono nel seminterrato.

Quella volta, però, Patrick sembrava diverso: con il padre ha iniziato ad andare in palestra, fino a rimettere su 30 chili; eppure, senza la droga si sentiva perso.
Non era in terapia, non aveva un consulente di salute mentale e nessun lavoro. Non aveva un’assicurazione: i soggiorni in galera gli erano costati automaticamente i suoi benefici Medicaid, e i suoi genitori avevano ormai speso tutti i loro risparmi per pagare avvocati, consulenti legali e farmaci legalmente prescritti.

Mi sento come se non avessi niente da offrire – ha detto – Sono sempre depresso, e mi sto isolando. Non so davvero cosa facciano le persone sobrie”.

Non voglio che la gente abbia pietà di me. Ma non voglio nemmeno mentire alla gente riguardo il mio passato. Ho difficoltà a chiedere aiuto. Dico sempre, ‘Ho capito.’ Ma non ci sono mai riuscito davvero.

Oggi, nonostante tutto, le cose per Patrick sembrano iniziare ad andare meglio: ha trovato un lavoro in uno stabilimento di confezionamento, e la sua assicurazione con Medicaid è stata ripristinata; assume antidepressivi ed è di nuovo in terapia.
In tribunale si è dichiarato colpevole per i due reati minori di cui era accusato, ma il giudice ha deciso di sospendere la sua condanna fino a quando la sua condotta rimarrà esemplare. Tuttavia, i suoi genitori non smettono di vivere con l’ansia che possa ricadere nella dipendenza, o che possa commettere qualche sciocchezza. Recentemente, dice il NYT, Patrick ha mandato un SMS alla madre, in cui le diceva di volerle bene. Sandy ha pensato che il figlio stesse per suicidarsi; per fortuna non era vero, ma questo dà l’idea dell’angoscia costante con cui i suoi genitori convivano.

Negli USA l’overdose è la principale causa di morte per gli under 50; solo nel New Hampshire, lo stato della famiglia Griffin, riporta il NYT, 500 persone sono morte nel 2016 per la dipendenza da Fentanyl, e si stima che ben il 10% della popolazione – circa 130 mila persone – abbia dipendenze da alcol o droga.

La droga uccide, ma a volte, come testimonia la famiglia di Patrick, fa ancora peggio: ti costringe a vivere.

Le prime volte – spiega Sandy – pensavo ‘Almeno non è morto.’ Continuo a pensarlo. Ma sta male. È ammalato. Ha bisogno di imparare a vivere con il dolore di essere vivo.

4 overdose in 6 ore: la vita di una famiglia con un figlio tossicodipendente
Todd Heisler/ New York Times
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