Maniac è una delle serie più in voga del momento. Presentato in pompa magna da Netflix in questi mesi – news e trailer hanno ovviamente fatto andare la hype alle stelle – mostra il sottotitolo italiano Tra fantasia e realtà – sì, noi italiani dovremmo vincere un premio per il modo in cui riusciamo a peggiorare i titoli di romanzi/film/serie televisive.
La storia: Maniac prende le mosse da due persone “perdute”, per diverse ragioni. Annie è una tossicodipendente con vari problemi famigliari. Owen è affetto da schizofrenia paraonoide – dettaglio su cui si torna più volte nel corso della serie – ed è costretto dalla famiglia a prestare falsa testimonianza a favore del fratello in un processo per molestie e violenza sessuale che ci sarà di lì a poco. Ma l’esperimento scientifico di un’azienda farmaceutica cambia tutto.
Annie e Owen entrano nel progetto in modi molto diversi, ma fin dall’inizio si comprende che i due sono destinati a un percorso insieme. Lo capiscono pure gli scienziati, che provano a dividerli, temendo che questa vicinanza possa nuocere al progetto. Naturalmente, il primo livello di lettura di Maniac si concentra sul valore dell’amicizia e sulla sua forza. Per scoprire tutti gli altri vi consigliamo di vederlo. Ma intanto leggete con noi i punti di forza della serie. Che ha un solo difetto, come rimarca Cosmopolitan: è una miniserie, quindi non ci sarà una seconda stagione.
Il cast
La produzione di Maniac vanta un cast davvero spettacolare, a partire da una dei protagonisti: Emma Stone. Ci piace quel suo modo di recitare ironico, quel suo essere così poco convenzionale. Con lei il co-protagonista è Jonah Hill – che ha diviso un po’ il pubblico di cinefili in altre occasioni – ma stiamo comunque parlando di un pluricandidato al premio Oscar. Tra gli altri attori, segnaliamo naturalmente Justin Theroux, che nei ruoli ambigui e un po’ affetti da complesso di Edipo piace sempre: Theroux è un uomo di creta e il grottesco è qualcosa in cui riesce davvero bene. Non mancano due mostri sacri della settima arte: Gabriel Byrne e Sally Field.
La distopia
Non sappiamo dirvi quando sia ambientato Maniac, ci pare si tratti di un futuro distopico. Non è molto diverso dal presente, anche se quei robottini raccogli-pupù dei cani ci appaiono francamente utilissimi contro gli umani maleducati. Al centro della storia c’è un’avveniristica azienda farmaceutica che, con l’aiuto di un fem-puter (come vengono chiamati i computer donna in Futurama), sta testando una droga che possa guarire qualunque disturbo mentale.
Tutte le opere distopiche – a partire da Brazil di Terry Gilliam, che con Maniac condivide la tendenza ai grigi e quelle strane poltrone – danno allo spettatore una sensazione: quello che guardiamo sullo schermo è ciò che ci sta accadendo o ciò che ci accadrà a breve. Questo provoca un senso di immedesimazione che cattura immediatamente lo spettatore, gettandolo nell’angoscia ma anche fornendogli uno spiraglio di speranza.
La "normalità" della malattia mentale
I due protagonisti sono affetti da malattia mentale (e non solo loro). Ma non c’è un attimo in cui li sentiamo alieni da noi. Li vediamo come persone comuni, come chiunque incontreremmo al lavoro, sull’autobus, alla cassa del supermercato. E non ci sembrano pericolosi. Questa serie potrebbe aiutare a combattere il pregiudizio che resiste contro le malattie mentali.
Il viaggio che ci ricorda Black Mirror
Chi si sottopone alla sperimentazione, come i due protagonisti, compie dei viaggi nella propria mente. All’apparenza si tratta di viaggi nel tempo – alla Guerra Fredda, agli anni ’80, al futuro – o in qualcosa di inventato – c’è un riferimento al romanzo postmoderno, che corre dai libri di Tolkien a Game of Thrones. Ma se c’è qualcosa che questi viaggi mentali ci ricordano più di tutto è un episodio particolare di Black Mirror. Parliamo del più amato, del più celebrato: quel San Junipero in cui due donne si rincorrono attraverso le epoche per potersi amare.
L'idea alla base
Si tratta del remake di un’omonima serie tv norvegese del 2014. Ma questo non significa che l’idea di base è geniale. Perché intorno a essa ruotano i rimorsi e i rimpianti dal passato, i problemi famigliari che saranno capitati a tutti, il concetto di predestinazione.
Una storia che contravviene alle leggi di Asimov
Tutti conosciamo le leggi di Asimov: non c’è modo che un robot – e quindi per estensione una macchina come un computer – possa fare del male a un essere umano. Ci sono parse finora sempre valide – anche se le storie fantascientifiche di tanto in tanto ci smentiscono, vedi i film di Terminator. In Maniac si contravviene a queste leggi fondamentali della robotica e si ottiene un’opera sorprendente, in cui il contrasto tra uomo e macchina è preponderante. Perché, in fondo
i cervelli sono solo computer che archiviano la storia delle nostre vite.
Genitori e figli (ma anche fratelli e sorelle)
Il rapporto tra genitori e figli, o tra fratelli, può apparire marginale in Maniac ma non lo è. È lì che si snoda tutto il senso della serie: la ricerca che ognuno fa dentro di sé è per poter cucire o ricucire dei rapporti. Che a volte andrebbero semplicemente spezzati.
Jack Nicholson
Sì, lo sappiamo, il grande Jack non è nel cast. Ma spesso si fa riferimento nella serie a un fenomeno chiamato McMurphy. Si tratta di un chiaro riferimento alla fine che fa il personaggio di Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. E tutto questo crea nello spettatore una grande empatia verso i protagonisti: nessuno dovrebbe fare la fine di McMurphy.
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