Addio a Ezio Bosso, la bellezza e l'armonia di un'anima immensa
È morto a 48 anni il grande musicista, direttore d'orchestra e pianista. Ma l'eredità che ci lascia Ezio Bosso vale la pena di essere custodita con cura.
È morto a 48 anni il grande musicista, direttore d'orchestra e pianista. Ma l'eredità che ci lascia Ezio Bosso vale la pena di essere custodita con cura.
Addio a Ezio Bosso, il musicista, pianista, direttore d’orchestra e compositore che aveva incantato tutta Italia non solo per il talento musicale, ma soprattutto per quell’amore viscerale per la vita, per il suo mestiere, che non era stato sminuito neppure dalla malattia neurodegenerativa che nel 2019 è riuscita a toglierlo dal piano.
Bosso è morto nella sua casa bolognese, a 48 anni, con vicino la compagna Annamaria e i suoi cani amatissimi; è stato il cancro, con cui conviveva da molti anni ( nel 2011 fu operato per la rimozione di una prima neoplasia) a costringerlo alla resa, alla fine, perché prima non c’erano riusciti né la sindrome autoimmune che gli era stata diagnosticata, né il peggioramento della patologia neurodegenerativa, inizialmente riconosciuta, a torto, come SLA.
L’ultima intervista della sua vita l’ha rilasciata, pochi giorni prima di andarsene, a RaiNews, commuovendosi nel vedere le immagini della “sua” orchestra, la Europe Philharmonic, e ribadendo, pur se in un mormorio, con la voce rotta e affaticata, quella che è stata la grande consapevolezza di tutta la sua esistenza:
La musica è necessità, è come l’acqua. La musica è vita.
Difficile immaginare, per uno che l’ha sempre pensata così, cosa avesse significato, nel settembre 2019, dover dire addio al pianoforte per via di quelle dita che erano diventate immobili, incapaci di scorrere sui tasti. Eppure, Ezio Bosso non si è mai fermato un minuto per piangersi addosso, per cercare compatimento o compassione negli altri, per vivere nell’autocommiserazione. Anzi, anche dai drammi della sua vita è riuscito a ricavare il meglio, tramutandolo in passione, in attaccamento, in ricerca spasmodica della felicità.
Quando, nel gennaio 2020, aveva tenuto gli ultimi, trionfali concerti all’insegna di Beethoven e Strauss al Conservatorio di Milano per la Società dei Concerti, quel fisico così provato da anni di malattia era comunque parso quello di un uomo indomito, che cambiava, in una sorta di trasfigurazione mistica, estatica, non appena dalla sua carrozzina veniva issato al predellino del direttore.
La malattia mi ha allenato a soste forzate ben peggiori – raccontava al Corriere il 17 aprile, parlando della quarantena – Stavolta però non è il mio corpo a trattenermi ma qualcosa di esterno, collettivo, misterioso. Sono giorni strani, il tempo e lo spazio si sono fatti elastici, a volte le ore sono eterne, a volte volano. A volte ti senti in prigione, a volte scopri la Dodicesima stanza, quella che ti libera. Era il titolo di un mio vecchio album.
Ad aiutarlo in quella chiusura forzata, aveva aggiunto,
La disciplina della musica. Le note lunghe, le scale, ti educano all’ordine interiore. Non ho cambiato le mie regole; anche se non esco, mi alzo presto, faccio la barba, mi vesto. E studio. Approfondisco e metto in dubbio ciò che ho fatto, affronto partiture che forse non dirigerò mai perché non me le faranno fare. E poi singole parti, processi tecnici e storici necessari… Esercizi che praticavo all’aperto, per costringermi alla concentrazione. Ora ci provo in casa.
Voleva vedere il sole, una volta finito il periodo di isolamento, aveva detto, e abbracciare gli amici. Aveva ancora progetti per il futuro, Ezio Bosso: soprattutto, voleva continuare a fare musica, a suo modo, magari pensando a una situazione per riuscire a farlo nel rispetto delle norme sul distanziamento sociale.
Non ce l’ha fatta. Ma, anche se si fosse mai voltato a guardarsi indietro, ci avrebbe sicuramente visto un uomo che ha lasciato moltissimo, a tutti noi.
Sfogliate la gallery per ripercorrere la vita di Ezio Bosso.
La musica è una necessità, ne abbiamo bisogno per tornare a essere una società – diceva a RaiNews nell’ultima intervista – Il potere magico della musica è infinito grazie a quella partitura che ci rende tutti uguali, un’unica società che lavora per essere migliore. La musica ci dà speranza, ci rende umani per davvero… La musica sussurra e ci insegna la vita.
Diventare migliori è una scelta, non una conseguenza, richiede un impegno forte con se stessi – diceva il 17 aprile parlando anche della situazione di pandemia – Star chiusi in casa non basta. Questa retorica vuota che ci circonda è insopportabile. Così come tanta cattiveria sparsa nel web, l’ottuso complottismo di chi vuole un colpevole a ogni costo.
Lo dico chiaramente. Quando non hai accesso al sapere, alla cultura devi inventarti un nemico. Per questo io ho molta paura di questo periodo, perché anziché parlare dei problemi si soggettivizza tutto e tutto diventa ‘tifo’, un esercito di pro e contro – diceva in un’intervista per L’Espresso – Che poi sarebbe semplice: pari diritti, pari doveri. Tutti siamo contro la criminalità, tutti apprezziamo la virtù senza guardare il colore della pelle. Ecco: io il tifo non lo tollero più, mi fa soffrire. C’è questa idea assurda del ‘basta metterci il cuore’. è una scusa: nelle cose non basta metterci il cuore, bisogna metterci impegno. A un musicista le mani devono funzionare, le note si devono poter fare tutte e bene. La perfezione importa eccome, nascondersi dietro l’imperfezione umana è una stupida scorciatoia; anche perché la missione è cercare sempre quella purezza che diventa trascendenza e trasfigurazione
Il mio impegno è la musica, torniamo alla competenza; già su quella mi interrogo se sono adatto figuriamoci su altro. Sei un musicista, non sei onnisciente. Poi, se uno vuole esprimere il proprio giudizio può farlo, ma la manipolazione è dietro l’angolo. Invece, la musica è politica in senso alto, è ‘polis‘. Se parlo di società ideale sto parlando di politica, di idee, di visioni. In fondo, la polifonia è nata per mettere d’accordo correnti diverse della Chiesa. Oltre quella si torna al tifo. Io voglio parlare del mio mestiere di Direttore
Nel 2016 Ezio Bosso è stato ospite sul palco dell’Ariston, emozionando il pubblico con le sue parole.
Ricordatevi che la musica come la vita si può fare in un modo solo: insieme. La musica è una fortuna e, come diceva il grande maestro Claudio Abbado, è la nostra vera terapia.
Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle la vita è fatta di dodici stanze (come il suo album omonimo): nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non possiamo ancora ricordare, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi.
Nato a Torino il 13 settembre 1971, Ezio Bosso si è avvicinato alla musica a soli 4 anni, grazie a una prozia pianista e al fratello musicista, debuttando in Francia a 16.
A mio padre fu detto: ‘I figli degli operai fanno gli operai, i figli dei musicisti fanno i musicisti’ – ha dichiarato a L’Espresso – In qualche modo una parte dei miei genitori ha creduto a ciò e immaginavano per me un istituto tecnico industriale. Questo è stato il dolore più grande; forse le parole più violente sentite nella vita. Ma da lì è iniziata la mia lotta per esautorare quella frase così idiota. La ribellione, per me, l’ha fatta la musica, che mi ha fatto scappare di casa, andare a Vienna a 16 anni, fare incontri fondamentali. Però resto anche il ragazzino di allora, ribelle anche verso me stesso, uno più adatto a frequentare i baretti più che i ‘Palazzetti’.
Grazie all’incontro con il maestro Ludwig Streicher, che l’ha spinto a studiare Composizione e Direzione d’Orchestra presso l’Accademia di Vienna, la carriera di Bosso è decollata. Dagli anni ’90 in poi si è esibito su moltissimi palcoscenici in tutto il mondo, insegnando anche a Parigi e in Giappone, e nel 2019 ha portato Che storia è la musica su Rai 3.
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