Si chiamava Piera, ma per tutti era “la biondina della Val Taleggio“, perché quello era il suo nome di battaglia, quello con cui aveva combattuto i nazifascisti facendo la staffetta partigiana.
Si è spenta a 96 anni, Piera Vitali, il 16 febbraio scorso, dopo una vita lunga e vissuta serenamente, sempre passata come membro dell’Anpi di Bergamo, che ne ha annunciato la morte con un commosso post Facebook.
La sua gioventù Piera la spese lottando, accanto al fratello Vitalino, nelle sue zone, fra la Val Taleggio, la Valsassina e la Val Brembana. In un tempo in cui le donne, ben lontane da quel ruolo di “angeli del focolare” cui la propaganda fascista aveva abituato gli italiani, combattevano fianco a fianco ai loro uomini, prestando loro assistenza medica, facendo i chilometri per procurarsi il cibo, diventando spesso esse stesse delle guerrigliere, Pierina divenne una delle tante, giovani staffette, incaricate di tenere i contatti tra i membri delle varie brigate e con le famiglie dei partigiani.
Ritenute insospettabili perché donne, giovani, vestite in modo comune proprio per non dare nell’occhio, in sella a una bicicletta o stipate su corriere strapiene o treni merci le staffette partigiane ricoprirono un ruolo fondamentale nella Resistenza italiana, rischiando spesso la vita perché, se fermate dai nazifascisti, essendo disarmate non avevano modo di difendersi.
Non furono poche, infatti, le giovani donne arrestate e torturate a morte, come Stefanina Moro, morta a soli 17 anni dopo essere stata catturata a Genova. Fu arrestata anche Pierina, in effetti: accadde quando i fascisti, dopo averla fermata a un posto di blocco e condotta in caserma, riconobbero la sua identità.
La torturarono per farsi rivelare nomi e luoghi della Resistenza bergamasca, ma fu tutto inutile. Lei non parlò mai.
Decisero allora di trasferirla prima a Monza, poi a San Vittore, infine in un campo di concentramento; ma Piera, spirito indomito e tempra non incline a piegarsi alle avversità, mandò a monte anche quel piano, rompendo il vetro del finestrino del pullman che doveva portarla ai lager e fuggendo, assieme ad altri partigiani.
La sua è stata una storia avventurosa, degna di una delle migliori sceneggiature; ma è stata tutta realtà. Il suo viaggio si è concluso il 16 febbraio, quasi alla soglia del secolo di vita, ma il suo nome, il nome della “biondina della Val Taleggio”, per chi ha buona memoria, sarà davvero difficile da dimenticare.
In gallery abbiamo ripercorso la sua vita.
Nella Resistenza appena ventenne
Nata a Settimo Milanese, in provincia di Milano, il 19 dicembre del 1923, Piera Vitalia si trasferisce con la famiglia a Sottochiesa di Taleggio, in provincia di Bergamo.
Appena ventenne entra nella Resistenza come staffetta delle squadre partigiane che operano in Val Taleggio, Valsassina e Val Brembana, assieme al fratello Vitalino, comandante, con Davide Paganoni “Mario”, dell’86^ Brigata Garibaldi Issel, operante in Val Taleggio.
La missione per salvare la moglie del comandante partigiano
Nel 1944 Piera partecipa alla cattura di un alto ufficiale della Gestapo, poi, a distanza di pochi mesi, viene mandata in Valsassina, a Primaluna, per mettere in salvo la moglie di un comandante partigiano da un rastrellamento fascista annunciato come imminente. Con sé porta una lettera di presentazione.
L'arresto
Nel tragitto viene fermata a un posto di blocco e portata in caserma perché trovata senza documenti. Lì Piera fa a pezzi la lettera e la nasconde sotto una mattonella, ma i fascisti la scoprono e risalgono così alla sua identità.
La fuga
Piera viene torturata affinché riveli i nomi dei suoi compagni, ma lei non cede. Viene trasferita a Monza, poi a Milano, nel carcere di San Vittore, e il 23 dicembre 1944, pochi giorni dopo il suo ventunesimo compleanno, viene caricata su un pullman per essere condotta ai campi di concentramento tedeschi. Ma riesce a rompere un finestrino del pullman, e a lanciarsi per fuggire. Ritorna a casa, sana e salva, il 30 dicembre 1944.
Partigiana combattente
Dopo la guerra, Piera viene insignita del Certificato al Patriota (noto come Brevetto Alexander) da parte degli Alleati, e riconosciuta come partigiana combattente.
- Storie di Donne
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