
La drammatica realtà dei bambini e degli adolescenti russi negli anni Novanta

Negli anni Novanta la Russia ha attraversato un periodo complicato a causa della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, avvenuta dopo la caduta del muro di Berlino (1989). Ne ha risentito ogni settore della vita pubblica, dall’economia alla politica e ovviamente la società.
Era la fine del mondo bipolare, la fine di un’epoca e di un’ideologia che era entrata nella vita quotidiana dei cittadini russi e degli Stati satellite. L’artista Lise Sarfati ha cercato di rappresentare questa fase critica di cambiamento in una raccolta di fotografie.
Di origine francese, Sarfati si è laureata nel 1979 alla Sorbona con una tesi sulla fotografia russa (come riporta il sito Borepanda). Si è trasferita in Russia dal 1989 al 1998, anni durante i quali ha cercato di catturare non solo l’essenza dei giovani nelle sue foto, ma anche la decadenza degli edifici e della società.
Le foto sono state raccolte e pubblicate nel libro Acta Est. Mostrano il vero volto della caduta dell’Unione Sovietica, lo sbandamento e le difficoltà.
Dopo la seconda guerra mondiale il mondo era diviso in due: capitalismo contro comunismo. Da una parte gli Stati Uniti (e i Paesi dell’Europa occidentale), dall’altra l’Unione Sovietica (e i Paesi dell’Est).
Il punto di svolta è stata la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Era il simbolo del potere comunista e, una volta cancellato, il crollo dell’impero era irreversibile.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha trovato le sue premesse nelle politiche innovative del segretario del partito comunista Michail Gorbacëv: la perestrojka (ristrutturazione del sistema economico) e la glasnost (trasparenza).
Gorbacëv ha continuato con la liberalizzazione e i primi dissidi nella popolazione sono venuti a galla.
Gli Stati Baltici hanno cominciato a spingere per l’indipendenza. L’Estonia è stata la prima nazione ad ottenerla nel 1988, seguita dalla Lituania nel 1990.
Gorbacëv ha iniziato a perdere il controllo degli Stati sovietici e ha introdotto una riforma per separare il partito dallo Stato, una manovra che serviva a a isolare i suoi avversari conservatori.
Il 29 novembre 1988 l’Unione Sovietica ha smesso di interferire con le trasmissioni radio straniere, fino ad allora interdette ai cittadini russi per impedire che arrivassero informazioni senza prima averle controllate.
Durante il 1990 nelle quindici repubbliche sovietiche che avevano ottenuto l’indipendenza si sono svolte le prime elezioni libere. Hanno vinto dappertutto riformatori e nazionalisti etnici, un’ovvia risposta ad anni di censura e repressione.
Nel febbraio 1990 è stata eliminata la legge sul partito unico.
Il 12 giugno 1991 è diventato presidente dell’Unione Sovietica Boris Nikolaevich El’cin.
Di fronte alle proteste della popolazione, Gorbacëv ha tentato di trasformare l’Unione Sovietica in uno Stato meno centralizzato: è stato sciolto il Patto di Varsavia e quindi ogni legame con i satelliti.
Il 20 agosto 1991 Gorbacëv voleva far approvare un trattato per cui l’Unione Sovietica si sarebbe trasformata in una federazione di repubbliche indipendenti ma i suoi avversari lo hanno impedito con un colpo di stato.
La popolazione appoggiava Gorbacëv ed è cominciata la resistenza. El’cin ha condannato il colpo di stato.
Il colpo di stato è fallito ma la posizione di Gorbacëv era ormai compromessa perché le strutture di potere non lo ascoltavano più.
L’8 dicembre 1991 l’Unione Sovietica veniva sostituita da una Comunità degli Stati Indipendenti.
Il 25 dicembre 1991 Gorbacëv si è dimesso. La bandiera sovietica del Cremlino è stata sostituita con il tricolore.
Il 26 dicembre 1991 il Soviet supremo dell’Unione sovietica ha dissolto formalmente l’URSS.
Il settore pubblico è stato privatizzato e la Russia si è aperta al libero mercato.
Si è aperta una grave crisi economica: il Pil è calato del 50 per cento e la produzione industriale ha subito uno schock.
Le privatizzazioni hanno spostato il controllo delle imprese dagli enti statali a persone che avevano legami con il governo.
Molti dei nuovi ricchi hanno trasferito il loro denaro all’estero generando un’enorme fuga di capitali.
La recessione economica ha portato al collasso dei servizi sociali. È crollato il tasso di natalità mentre quello di mortalità è cresciuto a dismisura.
Milioni di persone sono state ridotte in miseria: nel 1993 il tasso di povertà era del 49 per cento.
Le difficoltà hanno fatto sì che la corruzione diventasse dilagante e l’illegalità è diventata un fenomeno esteso. Si sono create bande criminali dedite a crimini violenti.
Hanno pesato anche i debiti contratti dall’URSS con l’estero, una piaga che è stata risolta solo con una riforma fatta da Putin nel 2017.
Il 31 dicembre 1999 El’cin si è dimesso in favore del primo ministro Vladimir Putin, riconfermato dalle elezioni del 2000.
Con una serie di investimenti l’economia russa ha cominciato a stare meglio.
Putin si è guadagnato un grande consenso tra i russi, nonostante le critiche da parte occidentale per le riforme antidemocratiche.
Il sentimento della popolazione durante la transizione era di spaesamento. Abituata a vedere la propria vita regolata dal partito in ogni cosa, è stato come aver perso una guida.
Il mondo bipolare ha smesso di esistere e con lui tutte le certezze politiche, economiche e sociali.
La fine dell’Unione Sovietica ha creato dei vuoti difficili da colmare. Mancavano istituzioni, servizi e valori a cui aggrapparsi. Per questo molti si sono “persi”.
In cosa credere? Al mondo capitalista denigrato e dipinto come il male assoluto per decenni?
La voglia di importare costumi occidentali ha spinto tanti giovani ad adottare comportamenti eccessivi. Il fumo, la droga, il sesso sono diventati vizi fissi.
Secondo un articolo dell’Economist, i leader russi hanno puntato alla crescita economica senza creare le condizioni necessarie per garantirla nel lungo periodo.
I diritti individuali non sono mai stati una priorità per il regime comunista e non lo sono nemmeno ora. C’è un vuoto normativo che rende difficile la vita di molte persone.
L’alta disoccupazione ha creato ulteriori tensioni sociali. Sono peggiorati il settore dell’istruzione, della sanità, della scienza e della cultura.
I prezzi sono aumentati dell’800 per cento: richiamati dalla crisi economica, molti europei andavano in Russia a comprare cose che costavano molto meno che da loro, dato che la loro moneta era più forte.
Non ci sono state grandi proteste, forse perché dopo decenni di censura il popolo era quasi “addormentato”.
È stato un periodo buio per la Russia e ancora oggi se ne vedono gli strascichi.
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