Nel Paese dove è legge lapidare omosessuali e adulteri
Il Brunei è solo l'ultimo dei paesi a usare pene corporali contro omosessualità e adulterio. In questi (tanti) paesi dove gay e infedeli sono colpevoli, i diritti umani sono solo un miraggio.
Il Brunei è solo l'ultimo dei paesi a usare pene corporali contro omosessualità e adulterio. In questi (tanti) paesi dove gay e infedeli sono colpevoli, i diritti umani sono solo un miraggio.
Se l’omofobia è lontana dall’essere solo uno sbiadito ricordo nella nostra società, ci sono paesi dove l’omosessualità non solo è osteggiata, ma è considerata un vero e proprio reato, punito, peraltro, con pene terribili, spesso addirittura con la morte.
Nonostante le numerose campagne di ONG e associazioni umanitarie, non sono poche le aree del mondo in cui, ancora oggi, agli omosessuali è riservato l’arresto, il carcere, o persino le pene capitali. 70, in tutto, i paesi in cui vige ancora tale assurda violazione dei diritti, distribuiti tra Africa, Asia, Sud America e Oceania.
Alcuni esempi: in Nigeria è sufficiente sostenere un’organizzazione gay per rischiare 10 anni di carcere, in Uganda la pena si alza fino all’ergastolo.
In India è stata a lungo in vigore la “Section 377″ di una legge che risale al 1861 e che interessa le ex colonie britanniche, per cui qualsiasi “connubio carnale contro natura con uomini, donne o animali” è punito con pene fino a 10 anni di reclusione, solo recentemente smentita da una decisione della Corte Suprema.
In molti paesi islamici si arriva addirittura alla condanna a morte, come in Iran, mentre il Qatar prevede sette anni di prigione, l’ergastolo se una delle parti ha meno di 16 anni. Ma la Sharia (la legge islamica), ancora presente nel paese, aggiunge anche che una persona sposata “colpevole” di omosessualità possa essere condannata alla pena capitale. In Bangladesh si ha la prigione a vita.
Nel Brunei, invece, una legge appena approvata ed entrata in vigore il 3 aprile, ha introdotto la lapidazione per gli omosessuali, e anche per chi tradisce il coniuge.
Del resto, già nel 2014 il paese aveva dichiarato che avrebbe introdotto la Sharia, e ora la nuova normativa, applicabile solo ai musulmani, prevede la lapidazione “davanti a un gruppo di musulmani”.
Non è finita qui: entra in gioco anche la legge del taglione, che punirà chi si macchierà di furto con l’amputazione della mano, del piede in caso di recidività.
Questo il volere del ricchissimo sultano del Brunei (patrimonio stimato in 20 miliardi di dollari), che negli anni ha imposto restrizioni sempre più dure ai suoi sudditi: nel paese è già vietato il consumo di alcool, e si multa chi non partecipa alla preghiera del venerdì.
Naturalmente la nuova legge ha già suscitato l’indignazione e le proteste dei gruppi che sostengono i diritti umani, su tutti Amnesty International, che ha parlato di sanzioni “profondamente sbagliate” da “fermare immediatamente”.
Amnesty, nella persona di Rachel Chhoa-Howard, ricercatrice per il Brunei, ha inoltre ricordato che “i rapporti consensuali tra individui dello stesso sesso non dovrebbero neanche essere considerati reato”.
Il codice penale del Brunei è profondamente viziato da una serie di disposizioni che violano i diritti umani. Oltre a imporre pene crudeli, inumane e degradanti, esso limita in modo evidente i diritti alla libertà di espressione, religione e credo e legittima la discriminazione contro donne e ragazze.
Sul sito della ONG si legge inoltre:
In base alle norme internazionali sui diritti umani, tutte le punizioni corporali come la lapidazione, l’amputazione o la flagellazione, costituiscono tortura e sono una punizione crudele, inumana o degradante e sono sempre proibite.
Gli atti di tortura e altre forme di maltrattamenti sono assolutamente vietati dai principali trattati internazionali sui diritti umani, molti dei quali non sono stati firmati o ratificati dal Brunei. Inoltre, questo divieto è anche riconosciuto come una norma perentoria del diritto internazionale consuetudinario: ogni stato è vincolato da esso anche se non ha siglato trattati in merito. Tutti gli atti di tortura costituiscono crimini in base al diritto internazionale.
Ma, come detto, il Brunei non è l’unico stato che viola impunemente i diritti basilari degli esseri umani. In gallery alcuni casi clamorosi di pene tremende che spettano alle persone in alcuni paesi, per dei reati davvero incredibili.
L’avvocato per i diritti umani Nasrin Sotoudeh è stata accusata di aver fatto propaganda contro il sistema, di aver partecipato al movimento contro la pena di morte e di aver incitato le donne a togliersi il velo e a compiere azioni immorali.
Per questo, è stata condannata al carcere e a 148 frustate.
Nel gennaio 2018 a un uomo, accusato di furto di bestiame, è stata amputata una mano mediante ghigliottina, mentre un ragazzo di 25 anni ha ricevuto 80 frustate sulla schiena per aver consumato alcolici a una festa di dieci anni prima.
Nel 2015 Amnesty International denunciò, e chiese al governo afghano di individuare e punire i responsabili delle 100 frustate inflitte pubblicamente, con tanto di diretta tv, a un uomo e a una donna colpevoli di adulterio, a Cheghcheran.
In Arabia Saudita esistono pene corporali per il consumo di alcool, crimini morali (ovvero intrattenersi con qualcuno con cui non si ha un legame di parentela), adulterio, omosessualità, offesa all’Islam.
Cinque anni fa il blogger saudita Raif Badawi è stato arrestato, condannato a 10 anni di carcere, 1000 frustate e a una multa di un milione di rial, per aver messo online un forum di dibattito chiamato “Liberi liberali sauditi”. Ha anche rischiato la pena di morte per “apostasia”, ma il 7 maggio 2014 è stato riconosciuto colpevole di “offesa all’Islam”. Raif è ancora in carcere.
Nel 2013, invece, un uomo ha rischiato la condanna alla paralisi se si fosse rifiutato di pagare un milione di riyal sauditi (circa 270.000 dollari) di risarcimento.
Ad Aceah, in Indonesia, nel marzo del 2019 sei coppie, accusate di adulterio o omosessualità, sono state fustigate in piazza.
Nel 1994 il diciottenne americano Michael Fay è stato bastonato (caning il termine tecnico, che indica i colpi sferzati sulle natiche con delle canne) per atti vandalici. Un ventunenne se l’è invece “cavata” con sei settimane di prigione e quattro colpi per aver tentato di entrare illegalmente a Singapore.
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