I limiti sono fatti per essere abbattuti. Può sembrare una frase fatta, lo è solo per chi certe parole le dice ma non le pensa.
Non per chi, nella sua vita, si è trovato a fronteggiare difficoltà inaspettate, o a convivere dalla nascita con quelli che agli occhi di altri potevano sembrare ostacoli, per loro solo una normalità diversa, da migliorare, con il lavoro, l’impegno, la pazienza.
Ci vogliono tutte queste qualità, e forse molte altre nascoste ai comuni mortali, per far sì che un handicap, una disabilità, non siano percepite come tali ma come un’opportunità differente, una motivazione per convincersi a vivere la propria esistenza esattamente come la si vuole, indipendentemente dal fatto che si viva su una sedia a rotelle, che si sia ciechi, sordi o privi degli arti.
E di esempi belli, bellissimi, di persone che hanno saputo rialzare la testa dopo che la vita aveva cercato di abbassargliela, o che sono nati con la sfrontatezza di sfidare il destino a viso aperto, ce ne sono molti, per fortuna: da Alex Zanardi più forte del dramma di aver perso le game a Bebe Vio, regina dello sport e dell’autoironia cui nemmeno la meningite fulminante da bambina è riuscita a dare la stoccata vincente; passando per Valentina Tomirotti, la Pepitosa in carrozza che sulla sua auto vuole girare l’Italia per insegnare che disabile non è uguale a “non autosufficiente”, fino a Mariangela, che ha inseguito tanto a lungo il sogno di costruire una famiglia tutta sua, e non si è lasciata scoraggiare dalla distrofia muscolare.
A loro si aggiunge Chiara Bersani, performer affetta da una forma medio-grave di osteogenesi imperfetta che si è aggiudicata il prestigioso premio Ubu, dedicato al teatro. La trentacinquenne piacentina lo ha vinto grazie allo spettacolo che lei stessa ha ideato e interpretato, Gentle Unicorn.
Il suo discorso, nel corso della cerimonia di premiazione, vale davvero la pena di essere ascoltato, perché testimonia quanto grande e forte sia la volontà di scrollarsi di dosso la stigmatizzazione sociale e i pregiudizi legati a malattia e aspetto fisico, per far comprendere di essere solo e soltanto una persona. Con dei sogni, degli obiettivi, dei traguardi da raggiungere.
A riportare le sue parole in un post Facebook un altro performer, Alessandro Sciarroni.
Se dovessi raccontare come mi sento ora, mentre provo ad organizzare i pensieri in un breve discorso, mi vengono in mente gli astronauti quando si avvicinano alla luna, o almeno come io li immagino in quel momento: confusi, euforici e un po’ soli.
Loro sanno che pochi altri uomini li hanno preceduti su quel satellite. Sanno di essere un’eccezione perché la norma vuole che i corpi come i loro restino sulla terra e sulla terra camminino e vivano.
Se i corpi degli astronauti sono arrivati sulla luna è perché molte persone prima di loro li hanno immaginati là e hanno fatto il possibile per mandarli.
Se io, con il mio corpo disabile oggi sono qui, a ricevere un riconoscimento così prezioso, è perché qualcuno da chissà quanti anni ha iniziato lentamente a smussare gli angoli di un intero sistema. Se il mio corpo è qui è grazie a tutti i maestri che hanno scelto di accogliermi come allieva anche se questo significava adattare i loro metodi ai miei movimenti. È grazie ai registi, ai coreografi, ai curatori, ai colleghi attori e performer che hanno abbracciato la specificità della mia forma. È grazie a chi inizialmente non era d’accordo e poi ha cambiato idea.
Quando gli astronauti sono arrivati sulla luna hanno messo una bandierina volevano segnare una conquista: quello era il punto più lontano nell’universo raggiunto dall’uomo.
Anche io oggi vorrei mettere una bandierina qui ma non per fissare un punto d’arrivo. La mia bandierina vuole essere una linea di partenza perché io non voglio più essere un’eccezione!
Abbiamo cercato di conoscere meglio Chiara, e abbiamo provato a raccontarvela in gallery.
Le difficoltà
In un’intervista Chiara ha spiegato di aver incontrato alcune difficoltà a inizio carriera, dovute alla percezione che gli altri avevano della sua fisicità.
Le difficoltà erano legate soprattutto al fatto che dovevo propormi come un’attrice, nonostante un corpo un po’ particolare, e dovevo anche capire quali erano i contesti giusti che potevano abbracciare una fisicità come la mia.
È anche autrice
La sua prima opera autoriale coreografica, Family Tree, come si legge sul suo sito, ha ricevuto vari riconoscimenti nazionali, tra cui il premio Prospettiva Danza 2011 e l’inserimento della pièce all’interno di NID Paltform 2014.
Come autrice la mia missione è cercare di trovare sempre le giuste risposte alle domande che muovono una creazione.
Parla del significato politico del corpo nella società
Nei suoi spettacoli Chiara si interessa molto al significato politico che un corpo può assumere semplicemente con la propria immagine al momento del contatto con la società, e anche per questo nel 2013 ha avviato un progetto di ricerca, articolato in tre performance sperimentali diverse: Tell Me More (performance con un coro di 8 voci maschili), Miracle Blade (movie con una famiglia disfunzionale) e Goodnight Peeping Tom (performance con un giovane uomo, una giovane donna, una persona disabile, una porno attrice, un transgender ).
Vincitrice del premio Ubu
Gentle Unicorn è il suo primo assolo, grazie al quale si è aggiudicata il premio Ubu undr 35.
Ha fondato Corpo Celeste
Con molta esperienza sia in Italia che all’estero, Chiara ha fondato con Alessandro Sciarroni la compagnia Corpo Celeste.
Le sue parole dopo la vittoria
Al di là del momento in sé, potentissimo, mi si accende una speranza. Rifletto e penso che, forse, quel bisogno che sento non è solo mio ma di tanti altri corpi che hanno bisogno di essere accolti e riconosciuti. Il mio discorso sta smuovendo tante persone, anche diverse da me. La speranza allora è che possa aprirsi un dialogo vero su questi temi, anche a livello istituzionale.
Ha detto Chiara al Corriere.
Ha l'osteogenesi imperfetta
Chiara soffre di una forma medio-grave di osteogenesi imperfetta, malattia genetica che crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi, delle orecchie, della cute e dei denti.
È consapevole anche dei rischi, ma va avanti
Chiara sa che la sua malattia potrebbe causarle seri problemi fisici, ma va avanti e continua a seguire la sua passione da performer, come ha spiegato in questa intervista.
La malattia che mi affligge aumenta di molto il rischio di fratture. Dalle quali non sai se e quando il tuo corpo riuscirà a riprendersi. Per questo nella produzione di uno spettacolo metto sempre in conto che, in caso di un incidente, possa comunque andare avanti anche senza di me. Un rischio accettato e condiviso sia dai collaboratori che dalle compagnie. […] Da artista sento che il nodo dei problemi sta tutto nel rapporto donna-disabilità. Un confronto che non mi lascia mai e con cui scendo a patti ogni giorno. Con l’obiettivo che la Chiara artista riesca a fare capire agli spettatori che ha molte cose da dire oltre alla disabilità. E che per questo la donna che è in lei non abdica al suo ruolo di disabile e non si arrende.
Per abbattere gli stereotipi? Il nudo integrale
In alcune performance Chiara ha accettato di mostrarsi completamente nuda. Con uno scopo ben preciso.
Il nudo integrale è giunto quando avevo 21 anni. Ci sono arrivata in punta di piedi provando a porte chiuse con persone amiche. Ho sentito molta naturalezza nel farlo. Quando hai di fronte il pubblico, invece, devi riuscire a trasmettere la convinzione che non è solo un freak. Perché oltre che poetico e naturale ha un suo senso preciso: è politico.
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