Dio è donna.
Piaccia o no, e non ce ne vogliano i religiosi più infervorati, perché non c’è blasfemia nelle nostre parole, ma pura e semplice verità.
Già perché, se oggi siamo abituati a parlare di un Lui al maschile, poco importa il nome che gli viene attribuito, val la pena sapere che non è sempre stato così.
Anzi, in un certo senso si può dire che la religione stessa, intesa come senso del culto, della ricerca di qualcosa – o qualcuno – da adorare e a cui rivolere le proprie preghiere, sia nata chiaramente femmina.
Lo testimoniano, se servisse rispolverare i ricordi degli anni di studio elementare e delle medie, le statuette preistoriche raffiguranti donne giunoniche e dalle forme generose, quelle che oggi definiremmo “curvy” e che noi siamo abituato a considerare come opere d’arte; beh, è bene sapere che non lo sono, o, per meglio dire, che hanno assunto tale funzione in un secondo momento, perché in origine il loro scopo era ben diverso, ed era votivo. Ovvero dedicati, come pegno e come simbolo di rispetto e di preghiera, alla Dea Madre, colei da cui tutto si genera, anche dopo la morte.
Ma non è certo l’uomo del Paleolitico il solo a venerare la donna come Dea: e non parliamo della religione romana e greca, per cui gli dei uomini e donne erano praticamente in posizione paritetica, ma di religioni come alcune orientali, indù, buddhiste o scintoiste, o certi culti del Sudamerica in cui è la donna ad assumere il ruolo di divinità da venerare e a cui riservare sacrifici. Con buona pace degli uomini che, con il tempo e in alcune religioni soprattutto, si sono presi il ruolo preponderante.
Talvolta anche cercando di destituire la donna da quel ruolo conquistato naturalmente e senza sforzo, o di relegarla a un ruolo marginale se non addirittura di “peccatrice” e causa di guai.
Del resto, nella stessa Bibbia ci sono molte figure femminili, anche molto importanti, eppure nel tempo le due donne che più sono risaltate nella religione cristiana sono davvero agli antipodi: da un lato Maria, madre di Gesù, incarnazione della donna pia e fedele, pronta a tutto per seguire la parola di Dio, dall’altro Eva, responsabile della cacciata dell’uomo dall’Eden. Ma, nel mezzo, c’è una miriade di sfumature di femminilità che solo da poco sono state davvero rivalutate.
Se pensiamo che l’idea di associare la divinità alla donna fosse propria solo delle religioni più antiche e, nel tempo, dimenticate, però, ci sbagliamo di grosso: esistono tuttora moltissimi culti che, pur nel loro paganesimo e prendendo spunto dai punti focali del femminismo e delle sue lotte, celebrano la divinità femminile mettendola in rapporto con l’ambiente, la natura o gli animali, come parte di un tutto che il maschilismo e il patriarcato hanno “sporcato”.
Ecco allora che culti, pur se decisamente laici, come il Movimento della Dea, o l’Ecofemminismo, finiscono per assurgere ancora una volta la donna a massima espressione della potenza e di tutto ciò che è bello e buono nel mondo. Un modo davvero suggestivo per affermare la supremazia femminile e la sua essenza indispensabile.
In gallery abbiamo raccolto alcune delle religioni del passato – e attuali – basate sulle divinità femminili.
Le prime divinità del Paleolitico
Fin dai tempo del Paleolitico le divinità erano prevalentemente femminili, accomunate sotto il nome di Grande Madre.
Tutti gli eventi fondamentali della gravidanza e della nascita di altri esseri umani, generati dal corpo femminile, hanno sviluppato negli uomini dell’epoca il pensiero della donna come forza motrice dell’universo, tradotto nella concezione di una potente e superiore divinità estensione macrocosmica del corpo femminile, e soprattutto del suo potere di donare la vita all’intero genere umano.
Tutti noi avremo visto almeno una volta le statue del periodo, rappresentanti appunto delle donne dalle forme generose e dai tratti genitali spesso volutamente accentuati, veri e propri simboli religiosi che sintetizzavano ed esprimevano la nuova sacralità femminile della Dea Madre e della Dea Gravida.
Con il tempo la Dea Madre diventò anche Messaggera e Dea della Morte, anche se vista ancora come elemento in grado di rigenerare la vita stessa. La divinità dispensatrice di vita poteva trasformarsi nella Dea Uccello e in una spaventosa immagine di morte, raffigurata con uno sproporzionato triangolo pubico al cui interno avveniva il processo di trasfigurazione della morte in vita.
In Cina
Secondo alcuni miti cinesi è una Dea ad aver salvato l’umanità che moriva di fame con il riso.
La leggenda vuole che la dea Guan Yin si impietosì vedendo gli umani affamati e, strizzandosi il seno, produsse del latte che riempì le spighe vuote del riso, dando così origine ai chicchi. Poi si schiacciò il seno ancora più forte e ne uscì sangue mescolato al latte, e questa mistura si infilò in alcune piante. È il motivo per cui il riso esiste nelle due varietà, rossa e bianca.
In un’altra serie di miti, soprattutto indonesiani e delle isole dell’Indocina, il riso ha l’aspetto di una fanciulla delicata e virtuosa. La dea del riso indonesiana, Sri, è la dea della terra che protegge gli uomini dalla fame. Il mito dice che Sri fu uccisa dagli altri dei, per salvarla dalle avances del re degli dei, Batara Guru. Quando il corpo della dea fu sepolto, dai suoi occhi germogliò il riso e dal suo petto crebbe il riso glutinoso. Preda del rimorso, Batara Guru offrì queste piante agli uomini perché la coltivassero.
Istar, la Dea dei Sumeri
Istar, o Inanna per i Sumeri, è la Dea della guerra, e l’incarnazione divina dell’amore, nonché signora della sessualità e della fertilità. È stata venerata come tale in Mesopotamia fin dall’apparizione delle prime città nel IV° millennio, ed è a pieno diritto l’antesignana delle dee madri, soprattutto Iside in Egitto, Afrodite in Grecia, Venere a Roma, Astarte in Fenicia, Astoret nella Bibbia. Rappresentata sotto forma di una stella, è una dei componenti la triade che essa forma con Sîn, il dio-luna, e Shamash, il dio-sole.
Da Babilonia il culto della Madre con il Figlio si è diffuso ovunque, anche nella religione cristiana, a ben pensarci. Essenziale e onnipresente nella storia dell’uomo, costituisce uno dei temi più importanti all’origine delle religioni e delle civiltà.
Pachamama
Si tratta di una divinità venerata dagli Inca e da altri popoli dell’altipiano andino, quali gli Aymara e i Quechua. È la dea della terra, dell’agricoltura e della fertilità.
Queste popolazioni cominciarono a venerare Pachamama oltre a Inti (Dio Sole) poiché quello di quest’ultimo era una culto riservato ad un’elite, mentre il culto di Pachamama era più legato al mondo rurale e, quindi, al popolo. In queste religioni, inoltre, ogni divinità maschile doveva avere una controparte femminile.
Nel mese di agosto le popolazioni andine praticano tuttora il culto del ringraziamento alla Pacha-mama, restituendo alla madre terra il nutrimento che essa fornisce loro. Durante il rito viene scavato un fosso in cui tutti gli offerenti partecipanti al rito ripongono alimenti, cibo e pietanze appositamente cucinate. Ognuno dei partecipanti versa una porzione di cibo, ringraziando la madre terra, prima di ricoprire la buca, su cui ogni partecipante deporrà una pietra, fino a formare una montagnola chiamata Apachete. Solitamente per il rito viene scelto sempre il luogo più in alto, per far sì che sia il più possibile vicino al Sole (Inti).
Ancora oggi vengono fatte offerte – ch’alla o challa – alla Pachamama, tra cui feti di lama, di cui viene sparso il sangue nel terreno, o foglie di coca.
Il mito dice che Pachacamac, dio del cielo, si unì a Pachamama e da questa unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina. Come in altri miti andini, il padre sparì e Pachamama, rimasta vedova e sola con i suoi figli, raggiunse una grotta conosciuta come Waconpahuin, abitata da un uomo chiamato Wakon, mentre sulla Terra regnava l’oscurità.
Wakon aveva sul fuoco una patata e una pentola di pietra, e chiese ai due figli di Pachamama di andare a prendere l’acqua. I due tardarono e Wakon tentò di sedurre Pachamama. Vistosi respinto la uccise, divorò il suo corpo e mise i resti in una pentola, dicendo ai gemelli, una volta tornati, che la madre sarebbe tornata presto.
Huaychau, uccello che annunciava l’alba, ebbe compassione dei due gemelli e raccontò cosa successe alla loro madre; i bambini legarono allora i capelli di Wakon, che nel frattempo dormiva, ad una grossa pietra e scapparono in fretta e furia, protetti da una volpe, Añas, che diede loro riparo.
Nel frattempo Wakon, liberatosi, si era messo sulle loro tracce incontrando vari animali, fino a trovare proprio Añas, che gli raccontò di come i bambini erano saliti sulla cima di una montagna.
Wakon si mise a correre affannosamente verso la cima non accorgendosi della trappola preparatagli dalla volpe e, cadendo da un burrone, causò un violento terremoto.
Un giorno i fratelli videro in cielo una corda lunghissima e, dopo essersi arrampicati, trovarono sulla cima il loro padre, Pachacamac, impietosito per le loro disavventure. Riuniti al loro padre, vennero trasformati nel Sole (il maschio) e nella Luna (la femmina).
Mentre Pachamama rimase per sempre in basso, assumendo la forma di un imponente nevaio chiamato, anche oggi, La Viuda (la vedova).
Indù e Buddhisti
Gli indù non hanno mai smesso di adorare la Madre, ovvero l’insieme dell’energia dell’intero universo, anche attraverso le figure di Saraswati, Durga e Shakti, che simboleggiano il potere della femminilità in grado di creare e distruggere. Anche il Buddhismo celebra questo principio con la Bodhisattva Guan Yin, la dea della compassione.
Il Movimento della Dea
Con l’espressione Movimento della Dea (dall’inglese Goddess movement), sviluppatosi rapidamente nelle società occidentali e asiatiche, si indica un movimento religioso sorto intorno agli anni ’60 negli Stati Uniti in cui confluirono pratiche religiose neopagane e pratiche spirituali proprie di una parte del movimento femminista.
All’interno di questo movimento si collocano le Femministe della Dea.
All’origine di questo movimento si collocano i lavori di alcune teoriche del femminismo quali Mary Daly, Merlin Stone, Naomi Goldenberg e Carol Christ, che sottolinearono come il vissuto “maschile” condizionasse le religioni, e individuarono il sacro in un principio femminile detto anche “Dea”.
Secondo il Movimento della Dea il principio femminile del sacro (la c.d. “religione della Dea”) è il più antico dell’umanità; facendo riferimento ai lavori dell’archeologa lituana Marija Gimbutas ritiene infatti che prima dell’età del bronzo si praticasse il culto nei confronti di una grande “Dea”, responsabile del nutrimento e della rigenerazione della vita nelle sue molteplici forme, cosa che corrispondeva a una certa pacificità delle società. Dopo l’invasione dei clan indoeuropei, portatori di divinità maschili, patriarcali e guerriere, le cose cambiarono drasticamente.
Secondo la teoria immanente del Movimento, la “Dea” è presente in tutta la natura, incarnata in ogni persona. Le sue pratiche religiose accennano soprattutto alle antiche forme di sciamanesimo, anche se il movimento risulta piuttosto eclettico, con le divinità femminili considerate come archetipi o modelli della Dea da invocare per ristabilire il principio sacro femminile.
Ecofemminismo
L’ecofemminismo è un movimento teso a evidenziare l’esistenza di un terreno comune tra ambientalismo, animalismo e femminismo, sostenendo l’esistenza di un parallelo tra la subordinazione delle donne e il degrado della natura. Le teorie di base affermano l’esistenza di gerarchie ideologiche che permettono una giustificazione sistematica da parte della società, del dominio “power-over power” portato avanto da soggetti ritenuti superiori sui soggetti classificati in categorie di rango inferiore (per esempio: dell’uomo sulla donna, della cultura sulla natura, del bianco sul nero).
L’ecofemminismo indaga le intersezioni tra sessismo, il dominio sulla natura, il razzismo, lo specismo, come le altre caratteristiche di disuguaglianza sociale.
Secondo alcune ecofemministe il sistema capitalista e patriarcale esprime una dominazione tripla del cosiddetto terzo mondo, delle donne, e della natura.
Coniato solo nel 1974 da Françoise d’Eaubonne, il movimento ecofemminista nasce invece già dagli anni ‘60, con lo scopo di indagare le connessioni esistenti tra il sessismo e altre due forti espressioni del dominio umano: la discriminazione degli animali non umani e l’abuso delle risorse naturali.
Secondo questa corrente, un mondo caratterizzato dalla supremazia maschile vede donne, animali non umani e ambiente come relegati al semplice ruolo di “proprietà”.
Un tesi centrale dell’analisi ecofemminista è infatti che la proprietà maschile dei terreni abbia portato a una cultura dominatrice, il patriarcato, manifestato più avanti con esportazioni, sfruttamento eccessivo dei pascoli, fine dei beni comuni, sfruttamento delle persone e in un’etica di sfruttamento delle risorse dove gli animali e la terra rappresentano solo una risorsa economica. Il nesso sarebbe, quindi, tra l’ideologia capitalista, lo sfruttamento delle persone, il degrado ambientale, e la proprietà maschile.
Esistono due correnti principali di pensiero ecofemminista: per la prima, essenzialista e spiritualista, le donne sono biologicamente e ontologicamente più vicini alla natura e al suo sistema.
La seconda, la cosiddetta costruttivista, cerca di analizzare in maniera più scientifica le condizioni storiche ed economiche nelle varie società creando connessioni metodologicamente più dimostrabili. Un’altra prospettiva è infine rappresentata dall’ecofemminismo delle donne di colore che criticano l’ecofemminismo delle donne bianche, considerato color blind.
Cosa ne pensi?