A Rosa Bonheur e a tutte le donne che portano i pantaloni

In Francia, durante la Rivoluzione, un’ordinanza del 1800 regolamentò l’utilizzo dei pantaloni per le donne. Chi voleva vestirsi con abiti maschili doveva presentarsi alla prefettura di polizia per essere autorizzata. Quest’autorizzazione, però, non poteva essere concessa che per motivi medici. Rosa Bonheur, pittrice francese nata nel 1822 a Bordeaux, fu una di quelle donne costrette a chiedere il permesso.

Famosa per i suoi quadri raffiguranti animali, Rosa Bonheur trascorse gran parte della sua vita in campagna, additata da tutti come un “maschio mancato”. Omosessuale, portava i capelli corti, fumava i sigari e, soprattutto, preferiva indossare i pantaloni per dipingere.

Rosa Bonheur dovette comunque richiedere alle autorità di polizia l’autorizzazione a indossare i pantaloni. La motivazione ufficiale? Frequentare le fiere di bestiame, attività che richiedeva l’autorizzazione di travestimento e di abbigliamento maschile, rinnovabile ogni sei mesi presso la Prefettura di Parigi.

Un’altra donna importante per la conquista dei pantaloni fu Amelia Bloomer (1818-1894). Americana, lottò per i diritti delle donne e fu attiva soprattutto nel promuovere un abbigliamento più sportivo per permettere a tutte di usare la bicicletta comodamente.

La grande scrittrice francese George Sand (1804-1876) fu una fervente femminista e, oltre a scegliersi uno pseudonimo maschile (il suo vero nome era Amantine Aurore Lucile Dupin), amava provocare indossando spesso abiti da uomo. Parlava di sé al maschile e desiderava fortemente che anche gli altri le si rivolgessero al maschile.

Una delle attrici più famose di tutti i tempi, la francese Sarah Bernardt (1844-1923), amava indossare i pantaloni sia in scena che nella vita privata, scatenando sempre grande scandalo.

L’attrice Charlotte Andler fu una delle prime, negli Anni Venti, a indossare completi maschili sia sulla scena che nella vita privata, destando grande scandalo.

Una delle vere eroine della conquista dei pantaloni fu Coco Chanel (1883-1971). La grande stilista francese rivoluzionò il concetto di femminilità, disegnando abiti che consentissero alle donne di essere più libere.

Al termine della Prima Guerra Mondiale, Coco Chanel contribuì a diffondere attraverso la moda il nuovo modello femminile che stava sviluppandosi nel Novecento: una donna dinamica, che lavorava e che non poteva più essere schiava dell’abbigliamento costrittivo della Belle Époque.

Chanel portò la lunghezza delle gonne sotto il ginocchio e abbassò il punto vita, promosse l’utilizzo del jersey e dello stile alla marinara e introdusse i pantaloni femminili. Fu così che Coco Chanel creò la nuova donna del XX secolo.

L’attrice tedesca Marlene Dietrich (1901-1992) amava disegnare da sola i costumi indossati nei film e, soprattutto, amava i pantaloni. La casa di produzione Paramount tentò invano di proibirle di mostrarsi in pantaloni, visto che sul finire degli Anni Venti era ancora considerato un atto sovversivo.

Marlene Dietrich si impose come un nuovo modello di donna: forte, determinato ed estremamente glamorous, grazie all’abbigliamento maschile.

Anche l’attrice Katharine Hepburn (1907-2003) contribuì a lanciare l’immagine di una donna forte, che poteva indossare quello che voleva. Alta e magrissima, come la Dietrich fu una delle prime donne a indossare abiti tipicamente maschili, come i pantaloni e la camicia bianca.

La giovane educatrice, il 9 novembre del 1938, si presentò al tribunale di Los Angeles per testimoniare nel processo riguardante un furto con scasso avvenuto nella sua casa indossando dei pantaloni, e il giudice Arthur S. Guerin sospese l’udienza ordinandole di ripresentarsi con abiti più femminili e “adatti” alla situazione.

Cinque giorni più tardi Helen tornò indossando ancora i pantaloni, e il giudice minacciò di farla arrestare.

L’avvocato di Helen, William Katz, si era portato quattro volumi di sentenze che stabilivano la libertà della sua cliente di indossare quello che preferiva, ma non servirono a nulla. Quando tornò, con ancora i pantaloni addosso, Guerin la condannò a cinque giorni di carcere. Ma le tante lettere di protesta arrivate al tribunale permisero di cambiare la sentenza, così che ogni altra donna sarebbe stata libera, da quel momento, di indossare i pantaloni.