"Sono tornata e la casa era vuota": quel trauma d'infanzia di Diane Guerrero

Interpretare Crazy Jane in “Doom Patrol” ha riaperto una faglia di dolore difficile da dimenticare: così, per affrontare i propri traumi e tentare di superarli, l’attrice statunitense di origini colombiane ha deciso di avviare un percorso di psicoterapia. Invitando i suoi fan a non provare vergogna se a essere colpita è la nostra salute mentale.

Ideato nei primi anni del Novecento dall’insegnante e regista teatrale russo Konstantin Sergeevič Stanislavskij, il metodo che porta il suo nome – Stanislavskij, appunto – prevede un percorso di immedesimazione psicologica in grado di condurre l’attore ad “abitare” a tutto tondo l’esistenza del personaggio.

Il lavoro di identificazione porta, quindi, il primo a immaginare, introiettare e vivere, come se fossero reali, le emozioni che dovrà portare in scena o sullo schermo, costringendosi, così, a scavare tra i meandri della propria personalità alla ricerca di correlazioni che possano aiutarlo a interpretare meglio il carattere sceneggiato.

Talvolta, tuttavia, il processo di assimilazione dei tratti, dei sentimenti e dei tormenti interiori dei personaggi comporta anche la scaturigine di conseguenze deleterie negli attori che prestano loro il volto, il corpo e l’animo.

È il caso di Diane Guerrero, giovane attrice statunitense di origini colombiane che, dopo aver lavorato alla prima stagione della serie – ispirata al fumetto DC Comics – Doom Patrol, ha avvertito la necessità di avviare un percorso terapeutico a causa dello stress provocato dall’interpretazione del suo personaggio, Crazy Jane.

O, meglio, personaggi. Crazy Jane, infatti, è una ragazza che soffre di disturbo dissociativo dell’identità: a darsi repentinamente il cambio, 64 personalità diverse con altrettanti superpoteri, sviluppate in seguito alle sofferenze procurate da un trauma infantile.

Dare espressione a un ventaglio così ampio di sfaccettature umane – sebbene Guerrero non le interpreti tutte personalmente – ha aperto, nell’attrice, una faglia emozionale profonda e destabilizzante, al punto da averla condotta alla necessità di riflettere nuovamente sul proprio trauma e a iniziare un cammino psicologico finalizzato ad affrontare il proprio passato.

Il trauma di Diane Guerrero

Diane Guerrero è nata il 21 luglio 1986 a Passaic, nel New Jersey, da genitori colombiani, ed è cresciuta nel Massachusetts. La sofferenza incrocia il suo percorso esistenziale molto presto. Diane ha, infatti, 14 anni quando i genitori e il fratello maggiore non riescono a ottenere la cittadinanza americana e vengono deportati nella loro nazione d’origine, la Colombia.

Guerrero, in quanto cittadina statunitense, non subisce il rimpatrio, ma resta completamente sola a Boston, per poi essere adottata da altre famiglie colombiane della città.

È lei stessa a raccontare il suo trauma al Los Angeles Times:

I miei genitori sono venuti qui dalla Colombia durante un periodo di grande instabilità. Fuggendo da una terribile situazione economica, si sono trasferiti nel New Jersey, dove avevano amici e famiglia, in cerca di una vita migliore, per poi trasferirsi a Boston dopo la mia nascita. Durante la mia infanzia, ho visto i miei genitori cercare di diventare legali, ma senza successo. Hanno perso i loro soldi con persone che credevano fossero avvocati, ma che alla fine non ci hanno mai aiutato.

Una condizione che, su Diane Guerrero, ha degli effetti tellurici:

La mia infanzia era ossessionata dalla paura che sarebbero stati deportati. Se non vedevo nessuno quando entravo dalla porta dopo la scuola, ero nel panico.

E, infatti:

Poi un giorno, le mie paure si sono realizzate. Sono tornata a casa da scuola in una casa vuota. Le luci erano accese e la cena era iniziata, ma la mia famiglia non c’era. I vicini mi hanno riferito che i miei genitori erano stati portati via dagli ufficiali dell’immigrazione, e così la mia stabile vita familiare finì.

Guerrero si ritrovò totalmente abbandonata dal Governo, sviluppando disturbi legati alla salute mentale quali depressione, imbarazzo per l’accaduto, senso costante di inadeguatezza, pensieri suicidi e dipendenze.

Motivo per cui, ora che ha raggiunto non solo il successo, ma anche la consapevolezza e la forza di parlare del suo passato di estremo dolore, si batte affinché le politiche sull’immigrazione vengano migliorate e la popolazione venga sensibilizzata, prestando anche volontariato presso l’Immigrant Legal Resource Center.

E, soprattutto, non si vergogna di parlarne apertamente, invitando le persone che la seguono a non avere il timore di affrontare i propri demoni interiori e a cercare supporto psicologico, se necessario.

Doom Patrol e la terapia

Diane Guerrero, Doom Patrol
Fonte: Entertainment Weekly

Proprio come ha fatto lei, dopo aver concluso le riprese della prima stagione di Doom Patrol, la serie – fruibile, in Italia, su Prime Video – dedicata a un gruppo di supereroi che hanno acquisito abilità sovrumane in seguito a gravi incidenti.

Quello di Crazy Jane, il personaggio interpretato, appunto, da Diane Guerrero, ha sviluppato 64 personalità multiple come meccanismo di difesa nei confronti del trauma sessuale infantile vissuto in tenera età.

La capacità attoriale di Guerrero è particolarmente mimetica e suggestiva, ma le ha causato conseguenze emozionali così profonde da incitarla a intraprendere un percorso di analisi, sia per fronteggiare lo stress causato dalle complessità caratteriali di Crazy Jane, sia per abbracciare, una volta per tutte, il proprio passato.

Come ha dichiarato Guerrero:

Avevo bisogno di andare in terapia in ogni caso: lo spettacolo mi è servito solo come stimolo per comprendere che era giunto il momento di farlo.

E aggiunge:

Dobbiamo assolutamente riconoscere il nostro passato – parlarne, normalizzarlo e usarlo come nostra forza, non come nostra debolezza. È quello che fa lo show: ti mostra che le nostre debolezze possono essere i nostri più grandi punti di forza.

E proprio per “normalizzare” passati di sofferenza e aiutare le persone a non farsi travolgere da questi ultimi, bensì riconoscerli, elaborarli e accoglierli, Diane Guerrero ha deciso di lanciare anche un podcast, “Yeah No, I’m Not Ok”, in cui ogni settimana l’attrice indaga problematiche quali ansia, depressione, dipendenza e affini con amici, attivisti, colleghi, artisti e operatori sanitari.

Alla base, la volontà di creare

un posto dove puoi portare i tuoi sentimenti complicati e passare del tempo con le persone che fanno il tifo per te.

Come racconta la stessa Guerrero alla California Health Care Foundation, infatti:

[Dato che sono cresciuta in un periodo in cui non si poteva parlare della propria salute mentale] volevo davvero creare uno spazio in cui parlare dei miei sentimenti e di tutto ciò a cui tengo con altre persone. Da quando ho condiviso la storia della separazione dai miei genitori, ho ricevuto un feedback molto grande, e così tante persone si riconoscono nella mia storia da volerne parlare. Questo podcast, quindi, è il luogo perfetto per svolgere queste discussioni e togliere la vergogna e lo stigma dei traumi e dei problemi di salute mentale.

La nostra salute mentale non è solo un diritto, ma anche, e soprattutto, un dovere. E non dobbiamo avere il timore o la ritrosia di prendercene cura.

"Sono tornata e la casa era vuota": quel trauma d'infanzia di Diane Guerrero
Vanity Fair
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