Quando parliamo di “minoranze” e di loro diritti, ci addentriamo in un discorso molto particolare. Una minoranza, nel mondo occidentale, è rappresentata da tutti coloro che non sono maschi, bianchi ed eterosessuali. Tutte noi facciamo quindi parte di una minoranza – comunemente detta, anche se non necessariamente matematica – in quanto donne. Ma cosa accade a quelle donne che fanno parte al tempo stesso di altre minoranze, cioè che sono per esempio anche omosessuali o di origine africana? In altre parole: cosa succede a una qualsiasi donna lesbica nera?
Il veterofemminismo non può dare risposte in tal senso – negli anni passati ci sono state tra l’altro delle diatribe tra femministe e transessuali che non fanno brillare le prime per inclusione. L’intellettuale Angela Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense, militante del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America fino al 1991, parla quindi di femminismo intersezionale (e lo sostiene), che è cosa ben diversa del femminismo classico, quello che, per capirci, parla di «soffitto di cristallo». Quella metafora, spiega Davis, funziona solo con le donne che già hanno un ruolo di spicco all’interno della società: bisogna pensare quindi anche e soprattutto a tutte le altre.
Dobbiamo essere consapevoli del processo di assimilazione – ha spiegato Angela Davis in un suo ormai celebre discorso – Non si risolve il razzismo integrando le persone nere e di colore in una società suprematista bianca senza pensar a cosa è necessario fare per cambiare la società. Si potrà iniziare a parlare di aver fatto dei progressi quando le donne che sono più marginalizzate… Pertanto non le donne bianche di classe sociale medio-alta… Quando queste donne potranno diventare un punto di riferimento.
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Il femminismo intersezionale comporta che anche gli uomini siano invitati a lottare contro il patriarcato, naturalmente su invito delle donne: l’inclusione non è solo totale, è quindi totalizzante. Ci si muove tutti insieme per cambiare la società. Per le donne del soffitto di cristallo molte cose sono già cambiate grazie alla lotta, ma anche per ogni donna lesbica nera del mondo occidentale si deve continuare a combattere. Analogamente, di questi argomenti ha parlato anche la scrittrice Barbara Smith, che ha spesso evidenziato come le donne nere sono raramente riconosciute come entità socio-culturale – in particolare nell’ottica dell’istruzione, un tema a lei molto caro. È una causa fondamentale dell’invisibilità delle donne afroamericane – soprattutto quelle appartenenti al mondo Lgbt – ma si tratta di qualcosa che può essere utilizzato a favore della collettività.
Questa invisibilità – disse una volta Barbara Smith, come riportano varie citazioni reperibili in Rete tra cui Brainyquote – comunque significa che le opportunità di ricerca creativa sono infinite.
Tuttavia, l’attivista oggi dichiara di essere lontana dal movimento Queer, e le ragioni he ha spiegate in questo articolo scritto per il New York Times:
“Non sono attiva nel movimento organizzato LGBTQ da molto tempo.
Ho partecipato con entusiasmo alla prima Marcia Nazionale su Washington per i diritti di lesbiche e gay nel 1979. Circa 100.000 di noi sono arrivati lì da tutto il paese […] Alla seconda marcia nazionale, nel 1987, sono stata invitata ad essere uno degli otto oratori principali. È stato esilarante parlare davanti a una folla di quasi un milione di persone.
Allo stesso tempo, è stato devastante vedere la vasta trapunta dell’AIDS esposta pubblicamente per la prima volta, a simboleggiare così tante perdite umane.
[…] I nostri sforzi per aprire il processo organizzativo non hanno avuto successo. Non ho partecipato alla marcia del 1999 o alle successive. Per me la Millennium March è stata l’ultima goccia.
Preferisco mettere la mia energia nell’organizzazione di altre questioni. Negli anni ’70 e ’80, ho co-fondato il Combahee River Collective, un gruppo femminista nero, e Kitchen Table: Women of Colour Press, per dare voce alle donne di colore, alle lesbiche di colore e persino agli uomini gay di colore.
Tre decenni dopo, nonostante alcuni autentici sforzi per aumentare la diversità, specialmente nei circoli del movimento progressista, l’esclusività e l’elitarismo ci dividono ancora. Abbiamo ottenuto i diritti e ottenuto il riconoscimento che sarebbe stato inimmaginabile 50 anni fa, ma molti di noi continuano ad essere emarginati, sia nella società in senso più ampio che all’interno del movimento stesso.
Una persona su quattro nella comunità LGBTQ ha avuto disturbi alimentari nel 2017. Il 24% delle lesbiche e delle donne bisessuali guadagna meno della soglia federale di povertà. I giovani LGBTQ hanno un rischio del 120% più alto di divnetare senzatetto rispetto ai giovani eterosessuali e cisgender.
Gli uomini neri che fanno sesso con altri uomini hanno il più alto tasso di nuove diagnosi di HIV. Le persone transgender, in particolare le donne transgender di colore, vivono livelli spaventosi di violenza e questa violenza è aggravata dalla povertà e dal razzismo.
Queste statistiche mostrano che non è possibile ottenere giustizia nel vuoto. L’uguaglianza del matrimonio e la cultura delle celebrità non la risolveranno. Né i programmi politici si concentreranno sull’assimilazione indiscussa. Ottenere diritti per alcuni ignorando la violazione e la sofferenza di altri non porta alla giustizia. Nella migliore delle ipotesi si traduce in privilegio.
A meno che non sradichiamo le oppressioni sistemiche che minano la vita della maggior parte delle persone LGBTQ, non raggiungeremo mai una liberazione queer”.
Angela Davis, le origini
Classe 1944, Davis crebbe a Birmingham, in Alabama, in un quartiere in cui non erano rare le intimidazioni nei confronti della classe media afroamericana. La madre era un’attivista politica, all’interno di un’organizzazione influenzata dal Partito Comunista. Per il resto, la giovane Angela andava a scuola, frequentava la chiesa e le ragazze scout – nel cui gruppo iniziò le prime azioni di protesta contro la segregazione razziale nella sua città.
La formazione accademica
Ha poi studiato alla prestigiosa università di Brandeis, dove conobbe il filosofo Herbert Marcuse. Si è recata in Europa in quel periodo, per poi tornare in patria nel pieno del movimento per i diritti civili.
La prigione
Negli anni ’70 finisce in carcere, per poi essere scagionata con formula piena. L’accusa era dovuta a delle armi – che risultavano intestate a lei – che furono trovate a seguito di un episodio di sequestro e omicidio che coinvolse le Pantere Nere e un giudice, Harold Haley, il cui epilogo fu una vera e propria strage da entrambe le parti. Quest’incarcerazione le diede però modo di conoscere le condizioni di vita nelle carceri e indirizzare verso questo argomento l’incipit della sua militanza.
I sostenitori
Durante la sua incarcerazione, l’attivista fu sostenuta da molti intellettuali, tra cui il filosofo francese Jean-Paul Sartre. In suo onore furono scritte tre canzoni: Angela del Quartetto Cetra, Angela di John Lennon e Sweet Black Angel dei Rolling Stones.
La filosofia
Secondo Davis, lo sfruttamento è la radice dell’oppressione, per cui è la classe lavoratrice che risente di razzismo e sessismo. Solo comprendendo questo si può combattere, si può cambiare il mondo.
Il femminismo intersezionale
Quando mi accorsi che mi chiamavano femminista la mia risposta al tempo fu: ‘Non sono una femminista, sono una donna nera rivoluzionaria!’ ma negli anni le donne nere, le donne di colore hanno ridefinito il progetto del femminismo, per cui oggi il femminismo che si sta affermando, per usare la parola di cui parlavamo prima, è un femminismo intersezionale.
Lavoro e attivismo
È stata un membro del Partito Comunista fino al 1991. Dopo il colpo di stato contro Gorbacev, si concentra su una riflessione sul leninismo che sia al tempo stesso di rigetto e di dialogo con alcune teorie filosovietiche del passato. Ha lavorato nell’Università della California, insegnando History of Consciousness. Negli ultimi anni ha osteggiato l’estremismo islamico come degenerazione del movimento afroamericano negli Usa.
Lo sguardo sulle nuove generazioni
Spesso pensiamo di dover solo scoprire cosa hanno fatto gli attivisti in passato per trovare una soluzione – si legge ancora su Pasionaria – ma questo tipo di atteggiamento non risolve il problema, perché chi tra noi ha esperienze che sono connesse al passato non è in grado di districarsi da alcune idee che spesso sono molto arretrate, e mi includo: ecco perché penso che il modo più importante per apprendere, a questa età nella mia vita, sia imparare dalle persone giovani.
La vita privata
È vegana ed è lesbica. Ha fatto coming out nel 1997.
Barbara Smith, le origini
Classe 1946, è nata in Georgia ma poi si è trasferita con la famiglia in Ohio, per sfuggire alle crudeli leggi razziali di quello stato. È stata una studentessa modello – nella sua famiglia c’erano degli insegnanti – e ha sempre posseduto un grande senso del dovere: per lei la scuola era il suo lavoro da bambina.
Le donne nere come gruppo – disse una volta in una celebre citazione – non sono mai state stupide. Non potevamo permetterci di esserlo.
Gli anni del college
Fin da subito fu una persona attenta alle discrepanze della società statunitense e divenne un’attivista. Ascoltò in prima persona i discorsi di Martin Luther King e conobbe diversi attivisti per i diritti civili. Ben presto però l’istanza del sessismo si unì a quella del razzismo, permettendole di avvicinarsi una politica che potremmo chiamare “femminismo nero”, cioè relativo alle donne afroamericane, una minoranza nella minoranza. Secondo questo “femminismo nero”, le donne afroamericane subiscono sistemi di oppressioni interconnessi. Studiò letteratura all’università di Pittsburg.
Le pubblicazioni
È conosciuta in tutto il mondo per essere una scrittrice e un’editrice, specializzata in pubblicazioni di donne di colore. Ha scritto molti saggi, 9 dei quali sono stati tradotti in italiano, a volte all’interno di esperienze collettive con altre femministe.
Il collettivo
È tra le fondatrici di Combahee River Collective, un collettivo di lesbiche nere al lavoro sulle teorie socioculturali che regolano l’oppressione interconnessa appunto. Nasce nel 1973 e prende il nome da un fatto storico che vedeva protagonista una donna afroamericana, Harriet Tubman, che riuscì a liberare 750 schiavi in Carolina del Sud in piena guerra civile.
La vita privata
Si definisce una femminista nera, una donna nera, una lesbica nera.
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