Zaha Hadid, quella "brava... per essere una donna"
Il mondo dell'architettura non è ancora stato conquistato definitamente dalle donne: sono tante le professioniste che attendono il giusto riconoscimento
Il mondo dell'architettura non è ancora stato conquistato definitamente dalle donne: sono tante le professioniste che attendono il giusto riconoscimento
“Si supponeva che non potessi avere un’idea. Se invece sei un uomo non solo puoi averla ma puoi anche essere esigente”, così diceva la grande Zaha Hadid in una vecchia intervista a Repubblica. La chiamavano l’architetto di carta, perché i suoi progetti non vedevano mai la luce. Le dicevano che era brava… Per essere una donna, ma a lei non bastava mai. Il suo è stato un esempio di successo: scomparsa nel 2016, quando era già entrata di diritto nel gotha dei design, oggi continua a vivere attraverso il suo studio, che ha dato vita a progetti come il Museo MAXXI di Roma e a diversi edifici della nuova Milano.
Il successo, non solo postumo, di Zaha Hadid non ci deve ingannare: il mondo dell’architettura è ancora un territorio in cui il talento delle donne fatica a essere riconosciuto. Sono tantissimi i casi di disparità che hanno caratterizzato gli ultimi decenni e che persino ora continuano a sussistere, come ricorda il Guardian in un articolo che punta a dare il giusto merito ad alcune architette. Sì, architette e non architetto donna: perché anche la lingua si è aggiornata.
Nel 2017 il timbro ufficiale architetta è stato approvato dall’Ordine degli Architetti di Bergamo, seguito dal progetto di catalogazione online delle professioniste del settore chiamato RebelArchitette, che punta a valorizzare le donne che lavorano in architettura. Così l’ideatrice Francesca Perani ha commentato l’iniziativa:
Il nostro obiettivo è quello di creare una preziosa banca dati – in inglese – che possa mettere in luce l’eccellenza di professioniste della progettazione nazionali e internazionali, selezionate dalla nostra redazione o tramite candidatura spontanea. Ogni giorno sulla pagina Facebook Architette pubblichiamo la biografia di una progettista unitamente a fotografie dei progetti realizzati. Ma non solo. C’è grande attenzione alla qualità dei progetti ma anche all’impegno nei confronti della collettività: se l’architetta in questione è stata parte di una giuria, sostiene la parità di genere o è docente i punti in suo favore aumentano.
Qualcosa si sta muovendo, quindi, e non è troppo tardi per valorizzare le carriere di chi per decenni è stata costretta a vivere all’ombra di colleghi uomini. Sfogliate la gallery per leggere le loro storie…
Prima di sposare il noto architetto Robert Venturi nel 1967, Denise Scott Brown insegnava architettura. Nata in Zambia il 3 ottobre 1931, aveva fondato il primo programma di architettura alla University of California, insegnato in istituti prestigiosi e scritto diversi libri, guadagnandosi il rispetto di molti. Dopo il matrimonio, è rimasta all’ombra del marito, pur continuando a lavorare insieme a lui.
In un saggio del 1989, intitolato Room at the Top? Sexism and the Star System in Architecture, Denise Scott Brown ha raccontato di quelle premiazioni a cui le mogli non erano invitate e di come molti non sapessero nemmeno che anche lei svolgeva la stessa professione, proprio insieme al marito.
Nel 1991 Robert Venturi è stato premiato con il prestigioso Pritzker e nella motivazione non vi era alcun cenno del lavoro svolto in coppia con la moglie. Nel 2013 due studenti di Harvard hanno lanciato una petizione per riconoscere l’importanza della Scott Brown, raccogliendo oltre 20.000 firme per sensibilizzare il comitato del Prizker sulla questione. Solo un anno prima il premio era andato all’architetto cinese Wang Shu, dimenticando anche in questo caso l’importanza dell’opera di sua moglie Lu Wenyu.
L’architetta inglese MJ Long raramente viene ricordata per il lavoro svolto sulla British Library, progetto per cui viene invece sempre citato il marito Colin St John Wilson.
L’artista olandese Madelon Vriesendorp ha lavorato a stretto contatto con il marito Rem Koolhaas fin dagli Anni Settanta, quando la coppia si era trasferita a New York, dove ha fondato il celebre studio OMA con Elia e Zoe Zenghelis.
Gli acquerelli realizzati da Madelon Vriesendorp sono entrati a far parte della mitologia personale del marito, che li ha utilizzati senza il suo permesso. Oggi non vuole parlare di femminismo, ma al Guardian ha spiegato come per gli uomini fosse molto più semplice fare carriera, anche per via della maternità. “Avere figli ha limitato la mia partecipazione a OMA. Stare sveglia tutta la notte era stancante, così come non aver tempo per fare niente”.
Tra le dimenticate dell’architettura, c’è anche la designer britannica Su Rogers, nata il 22 febbraio 1939 e fondatrice negli Anni Sessanta di diversi studi di architettura insieme a colleghi uomini.
La Rogers è stata uno dei membri del team che vinse il bando per il Centre Pompidou negli Anni Settanta, insieme al marito Richard Rogers e all’italiano Renzo Piano. Il suo nome, però, è quello che non viene mai ricordato quando si parla di uno degli edifici simbolo del Novecento.
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