*** Aggiornamento 21 giugno 2021 ***
38 anni sono passati dalla sparizione di Emanuela Orlandi e, come in altri casi divenuti tristemente celebri, come quelli di Angela Celentano o Denise Pipitone, negli anni si sono susseguite piste rivelatesi poi puntualmente buchi nell’acqua. Come quella, del 2019, di cui vi abbiamo dato conto qui di seguito, che ha portato all’apertura di due tombe nel cimitero Teutonico della Città del Vaticano, sulla base di una soffiata che avrebbe indicato proprio lì il luogo della sepoltura della povera ragazza sparita il 22 giugno 1983.
Il 30 aprile 2020 anche questa inchiesta viene archiviata, come annuncia il comunicato emesso dalla sala stampa vaticana.
Le verifiche sui reperti effettuate dal professor Giovanni Arcudi, perito d’ufficio, alla presenza dei consulenti della famiglia Orlandi, hanno portato a concludere che i frammenti rinvenuti non appartengono alla povera Emanuela: i più recenti risalgono ad almeno 100 anni fa. Di qui, la richiesta di archiviazione che chiude uno dei capitoli della triste vicenda, nella quale le Autorità vaticane hanno offerto, sin dall’inizio, piena collaborazione. Il provvedimento di archiviazione lascia alla famiglia Orlandi di procedere, privatamente, ad eventuali ulteriori accertamenti su alcuni frammenti già repertati e custoditi, in contenitori sigillati, presso la Gendarmeria.
A oggi di Emanuela non si sa nulla, ma la famiglia, per bocca del fratello Pietro, non ha alcuna intenzione di mollare. Nel frattempo, in occasione del trentottesimo anniversario della scomparsa, ha indetto per il 22 giugno un sit-in in Largo Giovanni XXIII, dalle 18 alle 20, a cui parteciperà anche la sezione laziale dell’associazione Penelope, che riunisce le famiglie e gli amici delle persone scomparse.
*** Aggiornamento 11 luglio 2019 ***
È stato un altro, dolorosissimo buco nell’acqua per la famiglia Orlandi, che aspettava impazientemente di scoprire a chi appartenessero i resti delle due tombe del cimitero Teutonico della Città del Vaticano, aperte a partire dalle 8:15 dal personale della Fabbrica di San Pietro, alla presenza di un perito di fiducia della famiglia, del promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e del suo aggiunto, Alessandro Diddi, e infine del comandante del Corpo della Gendarmeria Vaticana.
La rivelazione, incredibile, arrivata poco dopo mezzogiorno da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, è che le tombe sono vuote.
Non contengono neppure i resti di Sophie von Hohenlohe e Carlotta Federica di Mecklemburgo, le due principesse che avrebbero dovuto esservi sepolte.
Tolta la lastra della prima tomba, gli operai hanno scavato per circa 30 centimetri e hanno scoperto che sotto c’era una stanza, ma incredibilmente era vuota – ha spiegato Pietro, visibilmente deluso, uscito dal Vaticano – Quindi si è passati alla seconda: una tomba a sarcofago per la quale serviva solo sollevare le lapide. Ma anche quella era completamente vuota.
E il pensiero condiviso, chiaramente, è chi e perché avrebbe dovuto indicare quelle come il luogo in cui avrebbero potuto essere presenti anche i resti della povera Emanuela, scomparsa ormai da 36 anni. Soprattutto perché, spiega ancora Pietro
Noi avevamo ricevuto delle segnalazioni precise, non solo quelle contenute nella lettera anonima: ci segnalavano quello come luogo della sepoltura di Emanuela anche fonti interne al Vaticano. Questa vicenda non può finire così. Perché tutte queste persone ci hanno indirizzato lì? I familiari delle principesse sapevano che non c’erano i corpi? Dove sono?
A Pietro Orlandi fa eco l’avvocato della famiglia di Emanuela, Laura Sgrò:
La famiglia Orlandi ha diritto ad avere risposte. È vergognoso che dopo 36 anni Emanuela non abbia ancora giustizia. Deve essere trovata. La risposta va data a loro, ma anche allo stato italiano.
Il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha invece dichiarato che
Per un ulteriore approfondimento, sono in corso verifiche documentali riguardanti gli interventi strutturali avvenuti nell’area del Campo Santo Teutonico, in una prima fase alla fine dell’Ottocento, e in una seconda più recente fase tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
Ad annunciare la decisione del Vaticano di accogliere le richieste degli Orlandi, basate su alcune segnalazioni che indicavano quello come il luogo in cui Emanuela potrebbe essere sepolta da 36 anni, e di procedere quindi all’esame del Dna dei resti che ne verrano estratto, era stato, il 1° luglio, lo stesso Gisotti.
Le complesse operazioni peritali, fissate per il prossimo 11 luglio, sono solo la prima fase di una serie di accertamenti già programmati che, dopo l’apertura delle tombe e la repertazione e catalogazione dei resti, porteranno alle perizie per stabilirne la datazione e per il confronto del Dna.
Aveva spiegato.
Purtroppo, però, anche questa volta sembra di trovarsi di fronte a una strada senza uscita, e il mistero sulla fine della povera Emanuela resta aperto.
*** Articolo originale del 10 aprile 2019 ***
Oggi Emanuela Orlandi avrebbe 51 anni già compiuti. Invece, la ricorderemo per sempre così, con il suo sorriso da quindicenne e la fascetta tra i capelli come una figlia dei fiori.
Perché la sua scomparsa, avvenuta il 22 giugno 1983, è uno dei misteri italiani che ancora non hanno trovato una spiegazione, o una ragione. Negli anni, tanti, che sono passati da quella assurda sparizione, si sono susseguite ipotesi, congetture, false piste che hanno più volte riacceso la speranza in Maria ed Ercole, i genitori della ragazza, poi puntualmente disillusa.
In questi 36 anni si è spaziato dalle teorie più complottiste, fino al coinvolgimento di volti noti e nomi di prestigio all’interno dello IOR, la banca Vaticana – il padre di Emanuela era un commesso della Prefettura della casa pontificia – c’è chi ha tirato in ballo persino la Banda della Magliana, che ha seminato il terrore per oltre un ventennio sulla capitale, ma la verità è che nessuna di queste ipotesi, più o meno credibili, hanno mai portato a un vero punto di svolta.
Allo stato attuale delle cose, non si sa se Emanuela sia morta da 36 anni o più tardi, nemmeno se sia ancora viva, cosa che, per quanto poco plausibile, non si può escludere con assoluta certezza.
Uno spiraglio, però, potrebbe riaprirsi ora per la famiglia di Emanuela, per mamma Maria e per il fratello Pietro (papà Ercole è invece morto nel 2004).
Il Vaticano, messe da parte le reticenze del passato, ha infatti fatto sapere di aver aperto un’indagine sulla scomparsa della quindicenne, dietro autorizzazione della Segreteria di Stato. Lo ha confermato a Repubblica l’avvocato della famiglia Orlandi, Laura Sgrò: “Stiamo seguendo gli sviluppi delle indagini delle Autorità vaticane auspicando in una piena collaborazione, proseguendo comunque nelle nostra attività di indagini difensive“, ha dichiarato la legale.
Pietro Orlandi, naturalmente, si è detto soddisfatto della decisione, che spera possa dare una risposta, dopo più di 30 anni, ai tanti interrogativi con cui la famiglia ha convissuto: “Speriamo che sia arrivato finalmente il momento per giungere alla verità e dare giustizia a Emanuela“.
Qualche settimana fa proprio la famiglia Orlandi aveva fatto richiesta al Vaticano per riaprire una tomba nel cimitero teutonico, all’interno dello Stato Vaticano, dopo che lo stesso avvocato Sgrò, nell’estate del 2018, aveva ricevuto una lettera con allegata la foto della tomba in oggetto, accompagnata da un messaggio anonimo: “Cercate dove indica l’angelo”, in riferimento alla statua di un angelo che regge in mano un foglio riportante la scritta “Requiescat in pace”, “riposa in pace”.
Alcuni sostengono che da anni molte persone portino fiori su quella tomba, proprio perché sarebbe la tomba di Emanuela. Ma, come detto, finora siamo solo nel rango delle congetture; speriamo che con l’inchiesta, invece, venga finalmente fatta luce su uno dei più grandi misteri del nostro paese.
In gallery ripercorriamo la vicenda della scomparsa di Emanuela.
Le due versione delle ultime ore di Emanuela
Emanuela Orlandi abitava in Vaticano assieme ai genitori e a quattro fratelli, e frequentava il secondo anno del liceo scientifico presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II.
Il 22 giugno, giorno della scomparsa, era andata a lezione di musica attorno alle 16, per uscire come sempre alle 19; aveva telefonato a casa, parlando con una delle sorelle di una proposta di lavoro che avrebbe ricevuto da un uomo, retribuita con la somma di 350.000 lire (equivalenti, paragonando il potere d’acquisto, a circa 500 euro), come promotrice di prodotti cosmetici durante una sfilata di moda nell’atelier delle Sorelle Fontana che si sarebbe svolta pochi giorni più tardi; fu l’ultimo contatto che Emanuela ebbe con la famiglia.
Più tardi si scoprì che la ditta di cosmetici non aveva dipendenti uomini, e non aveva nulla a che vedere con una simile offerta di lavoro.
Dopo la telefonata, Emanuela raggiunse due compagne di corso, Maria Grazia e Raffaella, alla fermata dell’autobus in Corso Rinascimento. Anche a loro, come raccontarono, Emanuela raccontò della proposta di lavoro, dicendo che ne avrebbe parlato coi genitori per evitare guai. Alle 19:30 circa, prima Maria Grazia, poi Raffaella salirono su due autobus diversi dirette a casa, mentre, disse Raffaella, Emanuela spiegò che avrebbe preso quello successivo.
Ma esiste anche un’altra versione, secondo cui, dopo la telefonata, Emanuela confidò a Raffaella che sarebbe rimasta ad attendere l’uomo dell’offerta di lavoro, per avvisarlo che avrebbe chiesto il permesso ai genitori prima di partecipare. Raffaella dichiarò che Emanuela l’avrebbe accompagnata alla fermata dell’autobus, lasciandola alle 19:30, e di averla vista parlare con una donna riccia, mai identificata, anche se c’è chi sostiene potesse trattarsi di una compagna di corso.
Le dichiarazioni dei testimoni pochi giorni dopo
Non essendo rincasata, Ercole cominciò le ricerche presso la scuola di musica e nei paraggi di questa, contattando alcune compagne di corso di Emanuela. Il padre andò subito alla polizia, che però gli suggerì di aspettare a denunciarne la scomparsa.
Nei giorni immediatamente seguenti, telefonarono due diverse persone, “Pierluigi” e “Mario”, dicendo di aver visto una ragazza che poteva essere Emanuela vendere cosmetici e dire di chiamarsi Barbara, ma le loro testimonianze risultarono essere un buco nell’acqua.
Il fratello della ragazza e alcuni amici appurarono che una giovane descritta come molto simile a lei era stata vista parlare con un uomo sia da un agente di polizia, sia da un vigile urbano in servizio davanti al Senato. L’uomo in compagnia della ragazzina era alto circa 1,75, tra i trentacinque e i quarant’anni, vestito elegantemente, stempiato, e sarebbe giunto alla guida di una BMW Touring verde.
Un collaboratore del SISDE, Giulio Gangi, amico dei cugini della Orlandi, rintracciò l’auto, che era stata portata da un meccanico per la rottura del vetro del finestrino anteriore destro, insolita perché sembrava essere fatta dall’interno verso l’esterno.
Il presunto collegamento con l'attentato a Papa Giovanni Paolo II
Domenica 3 luglio 1983 Giovanni Paolo II, durante l’Angelus, rivolse un appello ai responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi, ufficializzando per la prima volta l’ipotesi del sequestro. Due giorni più tardi, un uomo, con accento anglosassone, telefonò alla sala stampa vaticana, asserendo di avere Emanuela in ostaggio e che alcuni indizi erano stati dati proprio da “Pierluigi” e “Mario”.
L’uomo chiamò in causa anche Mehmet Ali Ağca, l’uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro un paio di anni prima, chiedendo un intervento del pontefice per la sua liberazione entro il 20 luglio.
Un’ora dopo, lo stesso uomo chiamò a casa Orlandi, facendo ascoltare ai genitori un nastro registrato con una voce femminile con inflessione romana, e una sola frase, ripetuta sei volte: “Scuola: Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo ‘st’altr’anno… Scientifico“.
L’8 luglio 1983 un uomo con accento mediorientale telefonò a una compagna di conservatorio di Emanuela, dicendo che la ragazza era nelle loro mani, ribadendo la richiesta di liberare Ali Ağca e chiedendo una linea telefonica diretta con il Cardinale Segretario di Stato, Agostino Casaroli.
Il 17 luglio venne fatto ritrovare un nastro, in cui si confermava la richiesta di scambio con Ağca, la richiesta di una linea telefonica diretta con il cardinale Casaroli. Si sentiva anche una voce femminile chiedere aiuto, ma fu appurato che non si trattava di Emanuela, ma di un film.
In totale, le telefonate dell’uomo, ribattezzato “l’Amerikano”, furono 16, tutte da cabine telefoniche, ma non ci fu nessuna pista aperta.
Nel comunicato n. 20 del 20 novembre 1984, i Lupi grigi dichiarano di custodire nelle loro mani tanto Emanuela quanto la sua coetanea romana, Mirella Gregori, scomparsa da Roma nel mese di maggio 1983. Questa pista, tuttavia, è stata sconfessata dall’ex ufficiale della Stasi Günter Bohnsack, il quale ha dichiarato che i servizi segreti della Germania Est sfruttarono il caso Orlandi scrivendo finte lettere a Roma per consolidare la tesi che metteva in relazione Ağca con i Lupi grigi, e scagionare così la Bulgaria accusata di essere responsabile dell’attentato al Papa; l’estraneità dei Lupi grigi fu confermata da un pentito della Banda della Magliana, Antonio Mancini.
Nel 2010 Pietro Orlandi ebbe un colloquio con Mehmet Ali Ağca, e quest’ultimo confermò che quello della sorella potesse essere un rapimento orchestrato dal Vaticano, facendo anche il nome di un cardinale, Giovanni Battista Re, ritenuto persona informata sui fatti. Re, ascoltato da Orlandi, avrebbe smentito le parole del terrorista.
Le ipotesi IOR e Banda della Magliana
Secondo alcuni giornali e pubblicazioni l'”Amerikano” sarebbe monsignor Paul Marcinkus, all’epoca presidente dello IOR, sulla base dell’esame delle comunicazioni telefoniche: il SISDE giunse a elaborare un profilo, quello di una persona con una conoscenza approfondita della lingua latina, migliore di quella italiana, probabilmente di cultura anglosassone e con un elevato livello culturale e una conoscenza del mondo ecclesiastico e del Vaticano, oltre alla conoscenza approfondita di diverse zone di Roma.
Nel luglio del 2005, alla redazione del programma Chi l’ha visto?, in onda su Rai 3, è arrivata una telefonata anonima in cui si suggeriva di cercare nella basilica di Sant’Apollinare e controllare “del favore che Renatino fece al cardinal Poletti“. “L’illustre” defunto si scoprì essere un capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, sepolto lì proprio per volontà del cardinale Ugo Poletti, allora presidente della CEI.
Il 30 giugno 2008, Chi l’ha visto? trasmise la versione integrale della telefonata anonima del luglio 2005, lasciata inedita, in cui la voce aggiungeva: “E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei… Con l’altra Emanuela“. Il bar in questione apparteneva alla famiglia di S. D. V., amica di Mirella Gregori.
La pista pedofila di Padre Amorth
Secondo una delle tante piste battute negli anni, Emanuela Orlandi sarebbe stata attirata e uccisa in un giro di festini a sfondo sessuale in cui sarebbero stati coinvolti esponenti del clero, un gendarme vaticano e personale diplomatico di un’ambasciata straniera presso la Santa Sede.
Secondo Padre Gabriele Amorth, Emanuela sarebbe morta in un’orgia di pedofili tenutasi in Vaticano, dopo essere stata drogata; il religioso ha sostenuto questa tesi in un’intervista rilasciata il 22 maggio 2012 a La Stampa.
Ma la stessa ipotesi è stata fatta dal pentito Vincenzo Calcara, ex affiliato di Cosa nostra, che ha riferito alla trasmissione Chi l’ha visto? nel 2014 una presunta confidenza di un boss mafioso, secondo cui la ragazza sarebbe morta durante un festino a base di droga e sesso, e sepolta in Vaticano con altre presunte giovani vittime.
Le altre ipotesi
Negli anni, come detto, molte ipotesi si sono succedute: nel 2010 Pietro Orlandi, ha incontrato Alì Ağca, il quale disse: “Emanuela è viva , vive reclusa in una mega villa in Francia o in Svizzera. Tornerà a casa“.
Il 17 giugno 2011, durante un dibattito sul libro di Pietro Orlandi Mia sorella Emanuela in diretta tv su Romauno, un uomo, presentatosi come ex-agente del SISMI, ha affermato che “Emanuela è viva, si trova in un manicomio in Inghilterra ed è sempre stata sedata”, aggiungendo che la causa del rapimento sarebbe stata la conoscenza di Ercole Orlandi di attività di riciclaggio di denaro “sporco”.
Il 24 luglio 2011 Antonio Mancini, in un’intervista a La Stampa, ha dichiarato che effettivamente la Orlandi fu rapita dalla Banda della Magliana, per ottenere la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano.
L'apertura dell'inchiesta
Uno spiraglio era stato aperto nel 2018, quando alcune ossa furono ritrovate nella Nunziatura apostolica a Roma. Tuttavia, gli esami effettuati sui resti hanno chiarito che appartenessero a un uomo, escludendo quindi che potesse trattarsi di Emanuela o Mirella, l’altra ragazza scomparsa.
Dopo 36 anni di silenzio, il Vaticano ha aperto un’inchiesta per far luce sulla scomparsa della quindicenne. L’11 luglio sono state aperte due tombe nel cimitero Teutonico di Roma, indicate da alcune segnalazioni alla famiglia Orlandi come il luogo in cui potrebbe essere sepolta Emanuela.
Entrambe, però, sono incredibilmente risultate vuote. Anche i corpi che avrebbero dovuto ospitare non erano presenti al loro interno.
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