La sera del 27 agosto 1979 Fabrizio De André e la sua compagna Dori Ghezzi vennero rapiti. Furono prelevati dall’Anonima Sequestri dalla loro abitazione di Tempio Pausania, in Sardegna, per poi essere tenuti prigionieri nelle pendici del Monte Lerno, a Pattada. La loro liberazione avvenne quattro mesi dopo: lei il 21 dicembre alle undici di sera, mentre lui il 22 alle due di notte, su versamento di un riscatto pari a circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre di Fabrizio, Giuseppe. Fu un avvenimento che cambiò per sempre la storia e la poetica del cantautore, che scrisse un intero album dedicato al popolo sardo, paragonato a quello degli indiani d’America.

Intervistato in casa del fratello dopo la liberazione, il 23 dicembre 1979, Fabrizio De André raccontò placidamente quanto successo, come ricordato dalla trasmissione La storia siamo noi. Disse che veniva loro permesso di “rimanere a lungo slegati e senza benda” ed ebbe parole di perdono per i suoi carcerieri, affermando “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai. E credo che se dovessero uscire, lo farebbero per prendersi una pallottola”. Pochi mesi dopo, De André cedette al settimanale Gente i diritti per la pubblicazione del memoriale del sequestro, pubblicato in cinque puntate a partire dal numero dell’8 febbraio 1980 e nei numeri successivi.

I primi giorni non ci facevano togliere la maschera neppure per mangiare, e così ci tagliavano il cibo a pezzettini e ci imboccavano. È stata un’esperienza tremenda che tuttavia ha lasciato anche segni positivi, come la riscoperta di certi affetti nascosti. Nei confronti di mio fratello Mauro, ad esempio. È stato lui a trattare coi rapitori e non dimenticherò mai il nostro abbraccio appena tornati a casa. Il primo mese di sequestro ci hanno fatto compagnia le emozioni, poi è prevalsa la monotonia.

Al processo, Fabrizio De André confermò il perdono per i suoi carcerieri, ma non per i mandanti, perché persone economicamente agiate. Il cantautore e suo padre non si costituirono nemmeno parte civile contro gli autori materiali del sequestro, ma solo, in primo grado, contro i soli capi della banda, tra cui c’erano un veterinario toscano e un assessore comunale sardo del PCI.

I rapitori erano gentilissimi, quasi materni. Sia io sia Dori avevamo un angelo custode a testa che ci curava, ci raccontava le barzellette. Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po’ di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dirci che non godeva certo della nostra situazione. Anzi, arrivò a sostenere che gli dispiaceva soprattutto per Dori.

Fabrizio De André non serbò rancore verso nemmeno uno dei dieci sequestratori che lo tennero prigioniero nell’hotel Supramonte. Anzi, scrisse addirittura una ballata sul perdono, intitolata proprio Hotel Supramonte. Del resto, lui stesso aveva avallato la richiesta di grazia presentata nel 1991 da Salvatore Vargiu, 51 anni, un ex allevatore di Pattada, condannato a 25 anni di galera e considerato il vivandiere della banda.

Dori Ghezzi ha rilasciato un’intervista all’Huffington Post nel marzo del 2018, in occasione dell’uscita del film dedicato al marito Fabrizio De Andrè – Principe Libero e che ha raccontato anche la vicenda del sequestro. La Ghezzi ha parlato di come ci fosse “una sorta di rispetto reciproco” verso i carcerieri, visto che “anche quei due, latitanti e banditi, vivevano come noi da sequestrati”.

“Tutto sommato le nostre condizioni non erano molto più dure. I nostri custodi non sono stati aguzzini. Tant’è che per tutta la prigionia sono sempre stata convinta che ci avrebbero rilasciato anche nel caso che il riscatto non venisse pagato”.

In gallery abbiamo riassunto i quattro mesi del sequestro e le fasi della liberazione del cantautore genovese e della compagna.

Fabrizio De André e Dori Ghezzi: il racconto dei 4 terribili mesi di sequestro
Fonte: web e Reinhold Kohl / Fondazione Fabrizio De André Onlus
Foto 1 di 10
Ingrandisci