Ciò che Gae Aulenti non poteva sopportare
La vita e le opere della grande designer e architetta italiana, tra le prime che riuscirono a emergere in un mondo tutto al maschile
La vita e le opere della grande designer e architetta italiana, tra le prime che riuscirono a emergere in un mondo tutto al maschile
“Io ho sempre fatto finta di niente”, rispose Gae Aulenti, ricordando chi le diceva che l’architettura era un mestiere per uomini. Nonostante i seicento progetti e un elenco infinito di grandi opere, come la prestigiosa riqualificazione della Gare d’Orsay di Parigi, per tutta la sua carriera continuò a lottare contro un pregiudizio duro a morire.
Intervistata dal Corriere un anno prima della sua scomparsa, nel 2012, negò di aver rinunciato a qualcosa per il lavoro. Perché quando si parla di donne e lavoro, sembra ancora impossibile non sfiorare il tema di cosa si possa o non possa sacrificare.
Sacrificio è una parola che non conosco. Alle donne è sempre associato il sacrificio… Mia figlia è andata presto ad abitare a Roma, forse per sfuggire alla mia presenza un po’ forte. Io ho divorziato e oggi abbiamo delle famiglie un po’ fuori dal costume: forse per questo siamo più unite di chiunque altro.
“Ma che vita che ho fatto!”, esclamò, ricordando alcuni momenti della sua lunga professione. Nata in Friuli da genitori meridionali, in una precedente chiacchierata con il quotidiano aveva confessato di averne viste “davvero di tutti i colori”. Come la guerra, che spinse la sua famiglia a trasferirsi a Torino, dove non ebbe timore di opporsi al fascismo.
Prestavo dei piccoli servizi alla resistenza, si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all’altro. La coscienza civile nacque lì.
E poi l’architettura, con la laurea al Politecnico di Milano: era un periodo difficile per l’Italia, che stava rinascendo dalle macerie. Anche ricostruire era un atto fortemente civile.
Io avevo delle visioni artistiche, tra virgolette, però c’era l’Italia distrutta e l’architettura era il settore in cui si poteva intervenire.
All’inizio furono solo due grandi architette, lei e Cini Boeri, ma con il tempo altre donne riuscirono a trovare il loro spazio in un territorio che non si è ancora completamente liberato della misoginia.
Mi fa imbestialire la ghettizzazione in genere. A cominciare da chi dice: come architetto ho preso una donna.
Sfogliate la gallery per ripercorrere la vita e le opere di Gae Aulenti…
Gaetana Aulenti, detta Gae, nacque il 4 dicembre del 1927 a Palazzolo dello Stella, in Friuli. I suoi genitori avevano origini napoletane e calabresi, ma non avevano esitato a trasferirsi per cercare una vita migliore.
I miei genitori mi hanno insegnato a formarmi una personalità autonoma: lo stacco dal Sud al Nord, per loro, è stato importantissimo.
Dopo la laurea in architettura al Politecnico di Milano nel 1953, dove conseguì anche l’abilitazione alla professione, decise di restare nel capoluogo lombardo, forse la città italiana più aperta al futuro.
Era una città europea in grande fermento e noi eravamo molto battaglieri, si guardava in grande: più che a Gio Ponti eravamo interessati al razionalismo internazionale, a Gropius, Le Corbusier, Wright.
Dopo alcune esperienze come docente universitaria, iniziò a collaborare con Olivetti e realizzò appositamente la lampada Pipistrello per il loro showroom di Parigi, da lei ristrutturato.
Diventata piuttosto nota nell’ambiente, ricevette diverse commissioni private importanti, tra cui quelle per Gianni Agnelli. La svolta vera, però, giunse con la riqualificazione della Gare d’Orsay di Parigi, dal 1980 al 1986, trasformata da stazione a museo.
Tra gli oggetti iconici disegnati da Gae Aulenti, c’è anche il tavolo con ruote di Fontana Arte. Proposto per la prima volta nel 1980, è tuttora un simbolo del design italiano.
Da sempre impegnata nella rivalutazione dell’ambiente urbano già esistente, nel 2000 riprogettò Piazzale Cadorna a Milano, inserendo nuove pensiline e facendo installare la grande scultura di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen raffigurante un gigantesco ago, filo e nodo, simbolo dell’operosità milanese.
Tra le altre grandi opere di Gae Aulenti c’è anche il Palavela di Torino, costruito per le Olimpiadi Invernali del 2006.
Furono tante le critiche rivolte ai suoi progetti nel corso degli anni, ma Gae Aulenti tirò dritto per la sua strada.
Non si può fare la stessa cosa a San Francisco o a Parigi. Serve un lavoro analitico molto attento, prima di progettare: studiare la storia, la letteratura, la geografia, persino la poesia e la filosofia. Bisogna inventarsi le soluzioni volta per volta e i libri aiutano. Poi viene la sintesi, infine la parte profetica: la capacità di costruire cose che durino nel futuro.
Uno degli ultimi interventi di Gae Aulenti fu quello a Palazzo Branciforte di Torino, per cui progettò una biblioteca.
Molto riservata sulla sua vita privata, dopo il breve matrimonio del 1954 con l’architetto Francesco Buzzi, da cui un anno dopo nacque la figlia Giovanna, Gae Aulenti rimase a lungo legata a Carlo Ripa di Meana. Dopo la sua scomparsa, il 31 ottobre del 2012, le venne dedicata una delle nuove piazze di Milano.
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