L’ansia, la depressione, gli psicofarmaci, lo stare bene. È questo il percorso attraversato da Ghemon, artista che pratica un rap cantautoriale e che ha parlato di questi argomenti tempo addietro in un’intervista al Corriere della Sera – del 2017 per la precisione. Come sempre accade quando una celebrità punta l’accento su una questione del genere, è un momento molto importante: le persone ascoltano le storie dei vip – Ghemon è tra l’altro molto seguito soprattutto dalle giovani generazioni – e questa in particolare può essere molto utile per combattere delle forme di pregiudizio che esistono intorno a queste tematiche.
I problemi di Ghemon sono iniziati a gennaio 2016, quando la depressione ha cominciato a prendere il sopravvento. L’artista si sentì privato di tutte le forze e della voglia di fare, così, indirizzato dalla sua compagna di allora, figlia di un neuropsichiatra, si decise a vedere uno psicologo. La situazione non cambiò per alcune settimane, tanto più che il rapper aveva scambiato il momento particolare per l’incipit di un processo creativo. Quindi l’ex compagna gli fece incontrare il padre, che gli consigliò degli psicofarmaci – che tuttavia lui rifiutò sulle prime.
Solo l’idea – ha raccontato – mi sembrava una sconfitta enorme. Mi portavo dietro tutti gli stereotipi sugli antidepressivi: creano sonnolenza, ti addormenti mentre sei in giro. Io non avevo mai preso nulla nella vita, ho sempre pensato che il mio cervello dovesse restare “pulito” per la mia creatività.
Ciononostante, Ghemon è riuscito ad accettare l’idea degli psicofarmaci. E parlarne con gli amici ha anche rappresentato un sollievo, perché ha permesso di chiarire una serie di situazioni pregresse che avevano generato incomprensioni. A marzo 2016, le medicine hanno iniziato a fare effetto e per la prima volta il rapper si è svegliato senza ansia, arrivando a scrivere una canzone contenuta nel disco Mezzanotte del 2017, Magia nera, che contiene proprio un riferimento alla cura effettuata:
Il giorno in cui ho scoperto la normalità fu una rivelazione a base chimica.
Da allora ha continuato la cura, cambiando medicinali e alleggerendo i dosaggi su prescrizione, aprendosi man mano alle persone intorno a lui, alla sua famiglia e, con questa intervista, ai fan e anche a chi non sa niente di lui. Gli psicofarmaci che prende sono cambiati nel tempo, quello che non è cambiato è che Ghemon sta bene. Troppo spesso esiste uno stigma legato alla depressione, in particolare quando si parla del fatto che si possa contrastare con i farmaci. Chi li prende non è matto, ma sta seguendo quello che gli è stato chiesto da un medico – e, analogamente, i farmaci possono non essere una soluzione per tutto e tutti, ma è importante ascoltare il parere di uno specialista per comprendere questo e altri percorsi psicoterapeutici. Tanto che Ghemon, alla domanda finale se assumesse ancora antidepressivi a un anno dall’inizio del disturbo, risponde:
Sì, non mi vergogno a dirlo. A fine mese vedrò di nuovo lo specialista e decideremo insieme la sospensione graduale. Ora la mia vita è molto cambiata […] Tanti fan mi scrivono e mi dicono grazie. Sento una responsabilità nei loro confronti: vorrei spiegare che se sei depresso ti devi curare e la cura non ti annienta, riesci comunque a vivere e a essere te stesso.
Le origini
Di Avellino, classe 1982, Ghemon si avvicina al mondo dei graffiti a 13 anni. È in quel mondo che inizia a conoscere la musica hip hop e ad appassionarsi a essa. Iniziò a praticare il rap dapprima in gruppi locali e poi a Roma, dove ha frequentato l’università.
Gli studi
Ghemon si è laureato in giurisprudenza alla Luiss di Roma nel 2002.
Ghemon vive ancora nella capitale in una casa con centinaia di paia di sneakers – la sua grande passione.
L'esordio discografico
La carriera solista inizia nel 2007 con La rivincita dei buoni. Da allora ha pubblicato altri quattro dischi: E poi, all’improvviso, impazzire (2009), Qualcosa è cambiato – Qualcosa cambierà vol. 2 (2012), Orchidee (2014), Mezzanotte (2017).
Il nome
Come si può immaginare, il nome del rapper viene da Goemon, il samurai che fa parte della banda di Lupin III, cartone animato del quale l’artista è stato un grande estimatore (come gran parte di noi) da bambino.
L’autobiografia
Ghemon ha scritto un’autobiografia: Io sono – Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle.
Tutto è nato – ha rivelato in un’intervista a Il Giorno – dopo un incontro pubblico sulla scrittura di se stessi in cui intervenivo assieme a una scrittrice. Qualcuno mi ha proposto la cosa e io, ritenendomi giovane per dare alle stampe una biografia convenzionale, ho preferito il diario, che ho puntato sulle tante pelli cambiate finora.
Rose viola
A Sanremo 2019, Ghemon ha portato Rose viola, un brano che aveva scritto tempo prima e non con l’intenzione di portarlo alla kermesse. A Radio 105 ha raccontato di essere stato felice dell’esperienza:
Sanremo è andato come io speravo andasse. Ero tranquillo, soprattutto per il pezzo, che non avevo scritto con l’intento di andare a Sanremo, ma l’ho scritto con il cuore. Ce lo avevo pronto da 5/6 mesi.
Simpatiche battute
Ghemon è una persona divertente, oltre che un bravo artista. L’Espresso lo definisce «un Gaber ossigenato, un Rocco Tanica meno paffuto, un Flaiano non ancora arato», riportando una sua battuta recente:
Chissà, forse un giorno sarò finalmente libero di realizzare tutti i miei talenti e riuscirò a rendere un lavoro vero, quello che finora è stato un hobby, praticato principalmente in casa (mia e di altre persone): il modello curvy di biancheria intima (ex modello Postalmarket).
Embrionale
Nel 2010, Ghemon ha realizzato un ep per omaggiare il compositore statunitense Jon Brion.
Senza genere
È difficile collocare Ghemon in un genere musicale. È un rapper, ma è anche un cantautore, per non parlare delle influenze che ci sono nei suoi brani, a partire dalla black music e da Stevie Wonder, uno dei suoi miti.
I tempi in Italia sono maturi – ha raccontato Ghemon in un’intervista del 2014 sulla Gazzetta del Mezzogiorno, all’indomani dell’uscita di Orchidee – la cultura rap è giunta in Italia da molti anni e ha vissuto alti e bassi, finché il movimento si è stabilizzato e si sta accrescendo anche in termini di numeri commerciali. Se all’inizio io ero uno su dieci, oggi ci sono otto giovani su dieci a occuparsi di rap, che sono abituati al linguaggio del rap, lo masticano perché lo hanno interiorizzato.
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