Perché Gina Pane si tagliava il corpo e lasciava scorrere il sangue
Protagonista della Body Art, l'artista Gina Pane usò il suo corpo come strumento, tagliandosi e lasciando scorrere il sangue
Protagonista della Body Art, l'artista Gina Pane usò il suo corpo come strumento, tagliandosi e lasciando scorrere il sangue
“Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro: l’altro. Ecco perché tengo alla Vostra presenza durante le mie azioni”. Così Gina Pane, protagonista nel secolo scorso della Body Art, concepiva le sue performance più estreme. Parole usate per la sua Lettera a uno(a) sconosciuto(a) del 1974 e riportate dal MART di Rovereto, che nel 2012 le dedicò un’importante mostra.
La scelta di usare il suo corpo come mezzo d’espressione non fu compresa da tutti. Erano gli Anni Settanta e vedere un’artista infliggersi ferite con una lama di rasoio era un gesto forte e simbolico, che si prestava però a numerosi fraintendimenti. Eppure non c’era alcuna componente autolesionista in quello che faceva Gina Pane. Stava semplicemente offrendo il suo corpo come specchio di quello dello spettatore “anestetizzato”. Il suo sangue era un dono vitale, senza alcuna allusione alla morte.
Italo-francese, la Pane venne notata proprio per la sua performance chiamata Azione sentimentale, realizzata per una galleria milanese nel 1973. Partendo dalla concezione cattolica del martirio come automutilazione, si vestì di bianco, indossando un bouquet di rose rosse, dalle quali staccò tutte le spine conficcandosele poi nel braccio e lasciando colare il sangue. Dopo aver sostituito le rose, prendendone alcune bianche, incise il palmo della sua mano con una lama di rasoio.
Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica e impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. Inoltre, questo significa prendere coscienza dei propri fantasmi che sono nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla società… il corpo (la sua gestualità) è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro.
Per Gina Pane ferirsi significava prima di tutto ribellarsi a un ideale di estetica femminile imposto e alla subordinazione. Credeva che nelle donne dovesse germogliare il seme della ribellione, per trovare la forza di essere se stesse, senza paura del proprio ruolo nella società contemporanea. La ferita, quindi, era semplicemente un atto catartico per risvegliare le coscienze e le identità assopite, con una sfumatura a suo modo religiosa.
Oggi rivendico il religioso e tengo al fatto che questa parola sia corretta etimologicamente parlando, rispetto al mio lavoro. Inutile dire che il termine non è legato a nessuna pratica istituzionalizzata ma, al contrario, sono io a fornire gli indirizzi per cui questa dimensione religiosa sia connessa alla vita comune degli esseri umani.
Quasi sconosciuta al di fuori del mondo artistico, è stata rivaluta nel 2005 attraverso la retrospettiva Gina Pane: Terre-Artiste-Ciel, al Centre Georges Pompidou di Parigi e oggi è considerata una delle più grandi artiste del Novecento. E non solo nell’ambito della Body Art.
Gina Pane nascque a Biarritz il 24 maggio 1939, da padre italiano e madre austriaca. Dopo aver trascorso parte della sua infanzia in Italia, studiò all’Académie des beaux-arts di Parigi dal 1961 al 1966, interessandosi in particolar modo al corpo e progettando delle performance che chiamava Azioni.
L’autoinflizione del dolore venne introdotta in una performance del 1971, chiamata Azione Scalata. La Pane venne fotografata mentre saliva su una struttura metallica, mettendo i piedi e le mani sugli spuntoni di ferro.
Altre volte la Pane si è tagliata un labbro con un bicchiere e dopo ha fatto gargarismi con il latte, mettendo insieme due elementi da sempre collegati alla femminilità: il sangue e il latte.
Per lei la ferita era “un segno dello stato di estrema fragilità del corpo, un segno di dolore, un segno che evidenzia la situazione estrema di aggressione, di violenza a cui siamo sempre esposti”.
Ma la ferita è anche “il punto culminante, punto folgorante che fa apparire d’un tratto un’unità tra i nostri due corpi (il corpo del pubblico e il mio)”. Attraverso le sue opere Gina Pane voleva annullare la distanza spaziale e la distanza affettiva con gli altri, assumendo su di sé tutto il dolore del mondo.
Gina Pane insegnò presso l’Ecole des Beaux-Arts di Mans tra il 1975 ed il 1990 e condusse workshop sulle performance al prestigioso Centre Georges Pompidou tra il 1978 ed il 1979. Morì prematuramente nel 1990 a causa di un cancro.
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