L'orrore delle Foibe raccontato da Graziano Udovisi, unico sopravvissuto italiano
Le foibe, la Shoah, i massacri sistematici di intere popolazioni: ecco alcune storie del massacro che in Jugoslavia ha segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Le foibe, la Shoah, i massacri sistematici di intere popolazioni: ecco alcune storie del massacro che in Jugoslavia ha segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Non è facile parlare di foibe. Non lo è perché nel senso comune l’argomento è diventato spesso un’alternativa alla Shoah. Ma non funziona così. I massacri sistematici di diverse popolazioni hanno segnato la nostra storia di esseri umani. Una storia fatta soprattutto di malvagità, di sofferenze inferte, di morte, che purtroppo accadono, e accadono spesso, in forme più sottili. La Shoah, le foibe, le violenze contro il popolo curdo, il genocidio armeno sono solo alcuni esempi di stragi, che sembrano partorite dal male. E non ha senso stilare una “classifica” del male.
In Italia abbiamo due ricorrenze per due diversi genocidi. C’è il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, per le vittime dei campi di concentramento nazisti, e la Giornata del Ricordo, il 10 febbraio, per i caduti delle foibe. Sono due ricorrenze italiane perché ci riguardano da vicino, dato che tra le vittime e tra i superstiti ci sono stati moltissimi italiani. Ma al di là delle istituzioni di Stato, quello che non cambia è quello che sentiamo rispetto a questi massacri – o quello che alcuni di noi dovrebbero sentire. Per questo vi raccontiamo delle storie, una in particolare, che vedono protagonista uno scenario naturale, delle cavità del terreno tipiche della ex Jugoslavia, chiamate foibe. Queste erano appunto i luoghi in cui i partigiani di Tito, verso la fine del secondo conflitto mondiale, uccidevano barbaramente i presunti oppositori del regime comunista: tra loro c’erano molti italiani, dato che una ventina di anni prima, l’Italia aveva riammesso Fiume e la Dalmazia – quest’ultima aveva una prevalenza di popolazione jugoslava che mal tollerava l’annessione.
La prima di queste storie è quella di Graziano Udovisi, riportata da Famiglia Cristiana. Udovisi è morto nel 2010 e risultava essere l’unico italiano sopravvissuto alle foibe – dove non venivano uccisi, va ricordato, esclusivamente italiani. Udovisi ha raccontato di come si fosse sentito sollevato dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, e di come poi sia seguito l’orrore. Inizialmente il massacro non fu infatti sistematico, ma con il tempo le foibe hanno poi rivelato il loro terribile segreto. L’uomo fu infatti presente durante il recupero delle prime salme dalla foiba di Vines, e ha racontato le ricerche, i miasmi e poi l’orrore supremo. Dalla sua storia è stata tratta la fiction Il cuore nel pozzo.
Il primo corpo a essere recuperato fu quello dell’autista italiano della Questura – ha spiegato Udovisi – Alla seconda ricognizione si trovarono altri due corpi, legati tra di loro da un cavo d’acciaio. In pochi giorni furono rinvenute 84 salme a profondità diverse, fino a 150 metri. […] Fu quell’orrore che mi convinse ad arruolarmi nel secondo reggimento della Milizia difesa territoriale che Libero Sauro stava costituendo per fronteggiare le truppe di Tito.
Dopo il 25 aprile del 1945, Udovisi fu costretto a consegnarsi ai partigiani. Che lo interrogarono e torturarono per giorni, rompendogli entrambi i timpani con l’esplosione di alcuni colpi di mitra vicino alle orecchie. Assistette alle torture degli altri, costretti a correre a testa bassa in una palestra e “rianimati” con acqua e calci quando sbattevano contro il muro. A tutti i prigionieri furono tolti i vestiti, tranne i pantaloni, e lasciati senza cibo né acqua. A chi implorava di bere veniva data dell’urina. Alla fine, sei di loro vennero legati con il filo di ferro e portati vicino alla foiba. Qualcosa di non troppo diverso dalle Marce della Morte naziste.
Ci portano fuori e ci trascinano fin davanti alla foiba. – Racconta sempre Graziano Udovisi a Famiglia Cristiana – Mentre legano un grosso sasso all’ultimo del nostro gruppo, mi metto a pregare.
E mentre i cinque slavi iniziano a sparare, Udovisi si lancia nel buco, riuscendo a salvarsi in quanto “dopo un salto di 15-20 metri, uno spuntone di roccia o un colpo di mitraglia spezza il filo di ferro che ci univa tutti in questo assurdo connubio. Sono finito sott’acqua e una mano s’è liberata permettendomi di risalire in superficie e tirare per i capelli un compagno che era vicino a me. I partigiani, però, hanno iniziato a sparare e a tirare un paio di granate che per fortuna ci hanno solo ferito di striscio”.
Udovisi arrivò a casa della sorella, che non lo riconobbe, tanto l’esperienza orribile l’aveva trasformato. Ma i guai non finirono per lui. Nel Tribunale di Trieste fu accusato di collaborazionismo e finì in carcere per due anni.
Accanto alle storie delle vittime con un nome – come Norma Cossetto, Pietro Ticina e don Francesco Bonifacio di cui raccontiamo nella gallery – c’è anche la testimonianza di un sopravvissuto senza nome. La sua storia appare molto simile a quella di Udovisi: un proiettile fece sì che il filo di ferro che lo teneva avvinto al masso si spezzasse e quest’uomo senza nome si salvò.
Verso sera – si legge – riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e a guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutivi, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.
La Giornata del Ricordo è stata istituita nel 2005 allo scopo di ricordare, come si legge sul sito del Miur,
[…] la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Le foibe sono veri e propri abissi naturali, tipiche delle regioni carsiche, e nella Venezia Giulia, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, in quello immediatamente successivo, dentro queste profonde buche venivano gettati i cadaveri degli scontri tra partigiani e nazisti, ma anche le vittime degli eccidi perpetrati dai partigiani titini.
Anche se non tutte venivano effettivamente buttate nelle foibe, il termine “foibe” ha assunto nel tempo la valenza e il significato che descrive tutte le stragi compiute dagli jugoslavi tra il ’43 e il ’45 e nell’immediata dopoguerra. Si stima che, in totale, le vittime delle foibe potrebbero aggirarsi tra le 3 e le 5 mila, anche se c’è qualcuno che azzarda addirittura l’ipotesi di 11 mila morti. In ogni caso, purtroppo, avere davvero una stima completa è praticamente impossibile, soprattutto per la carenza di documenti.
Il protagonista di questa storia nella sua casa.
Non tutti i corpi sono stati recuperati dalle foibe. Quest’immagine raffigura una delle fasi di recupero nella foiba di Vines.
Qui furono trovati i corpi di quattro donne: Albina Radecchi, Caterina Radecchi, Fosca Radecchi e Amalia Ardossi.
Durante le operazioni di recupero, le persone indossavano le maschere antigas per via della presenza di numerosi corpi in decomposizione nelle foibe.
Il monumento si trova a Parco della Rimembranza a Gorizia.
Un’illustrazione didattica del Comitato di Liberazione Nazionale istriano.
Una delle figure simbolo dei massacri delle foibe, è Norma Cossetto, una studentessa italiana che viveva a Visinada, nell’attuale Croazia. Fu convocata dai partigiani di Tito, che le imposero di sconfessare il fascismo – lei faceva parte dei Gruppi Universitari Fascisti. Fu portata a piedi, con le mani legate con il filo di ferro, nei pressi di Villa Surani, dove si trovava una foiba. Insieme alle altre donne presenti fu seviziata e stuprata. Una testimonianza racconta che potrebbe essere stata gettata nella foiba quando era ancora viva. Norma morì così, a 23 anni, nell’ottobre 1943.
Più tardi rispetto al massacro delle foibe vero e proprio, nelle zone che in precedenza appartenevano all’Italia e poi passarono alla Jugoslavia, si diffuse un grande odio verso gli italiani. Don Francesco Bonifacio era un cappellano a Villa Gardossi, che nel settembre 1946 fu ucciso da quattro guardie popolari e infoibato. Le testimonianze dell’assassinio sono particolarmente truculente. Anche la sua storia è narrata su Wikipedia.
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