I tabù "sporchi" e la solitudine dei millennial in 17 immagini

I tabù "sporchi" e la solitudine dei millennial in 17 immagini
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Stanca delle rappresentazioni filtrate, ipocritamente felici e fintamente perfette della vita quotidiana dei suoi amici e familiari sui social media, Kaviya voleva parlare di cose e argomenti che a molti non piace discutere o persino riconoscere in pubblico. Quindi la giovane artista di Mumbai ha deciso di dedicarsi a una vera e propria sfida di 100 giorni sul proprio profilo Instagram, wallflowergirlsays, con l’hashtag #100DaysOfDirtyLaundry. Della serie, laviamo i panni sporchi in pubblico insomma, ovvero parliamo anche di quello che, nella nostra vita social, tendiamo a nascondere.

Tutto ciò che vediamo sono post con selfie filtrati, vacanze, obiettivi di fitness raggiunti, vestiti eleganti e cene fantastiche al ristorante – ha spiegato la ventottenne a QZ.comTuttavia, dietro gli occhiali rosa dei social media, la nostra è una generazione che è alle prese con gravi problemi, relazioni complicate, abbuffate materialistiche, salute mentale, dipendenza dai nostri telefoni cellulari, sessualità e negatività del corpo. Sentivo il forte bisogno di affrontare questi cosiddetti tabù sporchi da una prospettiva personale e di aiutare a tenere una conversazione aperta su questi argomenti, anche online“.

Kaviya, tornata alla sua grande passione, il disegno, dopo aver lasciato il lavoro da impiegata, ha caricato il primo post di #100DaysOfLaundry sulla sua pagina Instagram il 6 giugno 2017, parlando di un argomento che, soprattutto per le donne, è davvero off limits: la flatulenza. L’illustrazione postata dalla disegnatrice indiana mostrava una donna che, appoggiandosi al bracciolo di una sedia, si abbandonava a un … Momento di vero relax. Nella didascalia vicino al post, Kaviya ha spiegato senza imbarazzi della volta in cui ha accidentalmente “sdoganato il tabù” di fronte al suo ragazzo: “Oh, è stato un odore così puzzolente e rumoroso che sarei voluta saltare su un razzo e scomparire nello spazio. Ma cosa ho fatto? Sono scoppiata in una risata maniacale. Anche lui. E fu allora che capii che quella relazione era fatta per durare“.

La maggior parte delle illustrazioni di Kaviya sono leggere e ironiche e, oltre ai “movimenti intestinali”, parla spesso di abitudini come lo stalking di persone su Facebook, la mania dei selfie, la gelosia verso i partner, i troll su Internet; le ragazze che commentano sul suo profilo Instagram ostentano le loro gambe non rasate, le imperfezioni e, soprattutto, le opinioni.

Tuttavia, ci sono volte in cui Kaviya affronta problemi che riguardano profondamente lei e la sua generazione, come la paura di essere soli, o il senso cinico che i social hanno sicuramente esasperato.

La mia famiglia mi ha chiesto se fosse proprio necessario ‘lavare i panni sporchi’ pubblicamente – ha detto la ragazza – Ma ero, e sono ancora, convinta che l’arte possa essere un mezzo potente per aprire conversazioni scomode ma necessarie. La maggior parte dei problemi con cui siamo alle prese, la solitudine di una generazione, l’ansia, la depressione, esistono perché ci viene sempre detto di non parlare apertamente di tali tabù. Perché? Perché allora le persone ci giudicherebbero. Ma penso che più discutiamo in maniera onesta e trasparente di questi argomenti, più riusciamo a normalizzarli“.

Anche Kaviya, naturalmente, ha dovuto affrontare critiche e giudizi per i suoi disegni: soprattutto dopo la pubblicazione di post relativi alle mestruazioni, alla misoginia e alle molestie sessuali è stata accusata di voler suscitare inutilmente scalpore. In generale, però, il suo progetto piace ai suoi followers, e moltissime sono le persone che la incoraggiano a proseguire. “Con tutti i suoi inconvenienti, i social media possono essere un mezzo molto potente per costruire una comunità globale di esperienze condivise. Molte donne provenienti da paesi come Pakistan e Brasile mi hanno parlato di quanto si sentissero vicine al mio lavoro; ci si rende conto che, in qualsiasi parte del mondo si viva, la gamma di emozioni e di esperienze vissute dalla maggior parte delle persone è praticamente la stessa“.