Il femminicidio e la santificazione di Claretta Petacci
Non fu "solo" la donna che amò il Duce.
Non fu "solo" la donna che amò il Duce.
Chi scrive è anti-fascista e, senza alcuna contraddizione, condivide senza averne i meriti il pensiero che fu di Ferruccio Parri – illustre partigiano e politico antifascista – che quanto accadde in piazzale Loreto fu una “macelleria messicana”.
Il vilipendio e l’accanimento sui corpi di Benito Mussolini, Clara Petacci e dei 15 alti gerarchi fascisti fu una delle macchie dell’Italia partigiana, condannata da molti dei suoi stessi esponenti, a partire da Sandro Pertini, che di quanto avvenne in piazza Loreto provò vergogna: “L’insurrezione si è disonorata”.
È storia nota che, prima di essere Presidente della Repubblica, Pertini si fece per antifascismo prigione e confino, e fu condannato a morte dai nazisti (si salvò evadendo con Giuseppe Saragat e altri esponenti socialisti dal carcere di Regina Coeli, grazie all’intervento dei compagni della Brigata Matteotti).
Sempre Pertini, con Parri e altri, votò a favore dell’esecuzione del Duce; sia chiaro: ma la mattanza dei corpi era altra cosa.
Questa premessa è fondamentale e necessaria: serve a dare il giusto peso a qualsiasi discorso si voglia e si possa fare su quegli ultimi giorni di Mussolini e di Clara Petacci, che oggi noi chiamiamo Claretta, senza spesso sapere che quello era il nomignolo amoroso dell’amante che lei apostrofava Ben, non il suo nome all’anagrafe.
Quello che molti non sanno è anche perché Mussolini, Petacci e i 15 gerarchi fascisti furono esposti proprio in piazzale Loreto: cioè ignorano o hanno dimenticato un altro triste capitolo che serve a capire la Storia e che si consumò il 10 agosto 1944 , quando
Quindici partigiani vennero prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto, dove furono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi fascisti del gruppo Oberdan della legione «Ettore Muti» guidati dal capitano Pasquale Cardella, che agiva agli ordini del comando tedesco, in particolare del capitano delle SS Theodor Saevecke, noto in seguito come boia di Piazzale Loreto, allora comandante del servizio di sicurezza (SD) di Milano e provincia (AK Mailand).
[…]
Dopo la fucilazione – avvenuta alle 06:10 – a scopo intimidatorio i cadaveri scomposti furono lasciati esposti sotto il sole della calda giornata estiva, coperti di mosche, fino alle ore 20 circa. Un cartello li qualificava come “assassini”. I corpi, sorvegliati dai militi della Muti che impedirono anche ai parenti di rendere omaggio ai defunti, furono pubblicamente vilipesi e oltraggiati in tutti i modi dai fascisti e dalle ausiliarie della RSI;
– Fonte: Wikipedia
Le stesse autorità fasciste e Mussolini in persona furono sconvolti dalla Strage di Piazzale Loreto, tanto che il Duce presentò rimostranza all’ambasciatore tedesco presso la RSI e, si dice, disse al vice capo della stessa, Eugenio Apollonio:
Il sangue di piazzale Loreto, lo pagheremo molto caro.
E così fu, meno di un anno dopo, il 29 aprile 1945, quando il suo corpo, quello di Petacci e di 15 gerarchi fascisti – come 15 erano stati i corpi esposti dei partigiani tra i 21 e i 52 anni barbaramente uccisi – furono massacrati in Piazzale Loreto.
Qualche anno fa ci fu una feroce polemica sulla satira di Gene Gnocchi che, nel corso di una gag, ribattezzò l’ipotetico maiale che rovistava tra i rifiuti di Roma di Giorgia Meloni, esponente dei Fratelli d’Italia, Claretta Petacci.
Battuta indubbiamente infelice, probabilmente fraintesa rispetto agli intenti del comico, ma non è questo il punto in questa sede.
La polemica che ne derivò in quei giorni mostrò i due lati peggiori di una superficiale retorica revisionista di sinistra e di destra. Da una parte ci fu la quasi totale assenza di voci antifasciste a sostegno della causa umana e morale, a dire che sì, il vilipendio del cadavere di Petacci (e di quello degli altri) fu un’onta forse inevitabile in quel momento storico, ma comunque tale.
Non restituì dignità e vita ai 15 partigiani uccisi, né ai milioni di soldati, bambini, uomini e donne morte gli anni rubati, non lenì il dolore di chi li pianse, non fu ricompensa alle atrocità subite, non ci rese uomini e donne migliori.
Se vari esponenti illustri che il fascismo lo combatterono sul campo, perdendo amici, affetti e rischiando la propria vita ammisero lo scempio, avremmo potuto sicuramente farlo con più forza anche noi, raccogliendo insieme agli ideali, anche le responsabilità di un’eredità così importante.
Dall’altra parte c’è stato chi ha cavalcato la retorica facile del femminicidio della donna colpevole solo di avere amato un uomo. Ferma restando la condanna dello scempio che si compì su di lei, chi ha detto questo di Claretta Petacci, c’è da chiedersi, se ne conosca la storia, quella umana, e quella con la S maiuscola di cui fece parte non solo da spettatrice o da donna innamorata.
Fu lo stesso Sandro Pertini, negli anni Ottanta a dire di lei che
La sua unica colpa fu quella di avere amato un uomo.
Una sintesi romantica delle vita e delle scelte della storica amante del Duce, abbondantemente ripresa in seguito e che probabilmente offenderebbe la stessa Clara Petacci più di qualsiasi abominio sia stato commesso sul suo cadavere.
A chi ha letto le lettere che Petacci scrisse “al suo Ben”, non sarà sfuggito il fatto che fu ben altro dall’amante docile e intenta a parlare d’amore.
Lei gli scrive di tattiche, di decisioni da prendere, di analisi politiche e strategiche. Gli consiglia persino cosa dire all’indomani in un incontro con Hitler (testo parziale della lettera nella gallery in calce all’articolo). Impone al Duce, di fatto, di farsi carico del fratello e, in generale, delle sorti della famiglia Petacci.
Ricorda al Benito uomo, ben lontano dal Duce fiero e ferreo delle propaganda, che non è tempo per la pietà, che serve un braccio fermo e l’eliminazione senza se e senza ma di qualsiasi oppositore al grande disegno del fascismo, anche quando questi è il genero di lui, Galeazzo Ciano, o addirittura la stessa figlia del Duce (stralcio lettera nella gallery), che di Petacci scrive a sua volta:
La Petacci ha avuto un grande potere. C’è stato un momento, durante la guerra, in cui l’unico ministero che funzionava era la famiglia Petacci.
Io sono andata due volte da mio padre per lei. La prima fu nel ’42.
Gli dissi che bisognava che si liberasse di quella donna. Gli documentai ciò che mi risultava a proposito dell’attività affaristica che Marcello (il fratello della Petacci, ndr) svolgeva approfittando della posizione della sorella.
Mio padre mi ascoltò con attenzione e si turbò.
“Ti ringrazio – mi rispose -. La metterò fuori dalla mia vita”. Ma non fece nulla,
Claretta Petacci esorta il Benito amante a dimenticare il Benito padre e ucciderla (il testo parziale della lettera nella gallery a seguire).
Lei non è lo stereotipo dell’amante svaporata, lui non è, almeno non nel carteggio che intercorre tra i due negli ultimi 600 giorni della Repubblica di Salò, l’uomo monumentale che ha costruito.
Le scrive “conto come il due di coppe”, si definisce un “buffone”, un “sognatore naufragato”, un “ridicolo personaggio”, un “cadavere vivente”, un “fantoccio grottesco”: è depresso, lei lo investe della sua adorazione e di una forza che lui non ha, lei sì.
Caro bellissimo, la tua debolezza di fronte a uomini a te inferiori mi brucia e mi umilia. Ricordati, Ben, tu sei il Duce, il Capo, anche se di pochi, anche su di un metro quadrato di territorio, sei e sarai sempre Mussolini e per te si vive e si muore!
– scrive il 29 settembre 1944
Sulle lettere che le scrive, Mussolini verga in rosso un imperativo Distruggere: non vuole che resti traccia del Benito fragile e lamentoso, vile e inerme. Vuole passare alla Storia solo il Dux, mea lux. Lei, però, vuole che la Storia conosca anche il suo ruolo, quello di donna, di alleata, di fascista che ha immolato la sua vita alla patria: non straccia le lettere, anzi, trascrive anche molte delle telefonate tra lei e il Duce.
Lei, alla fine, ha la forza per entrambi e, mentre lui piange e si dispera, lei lavora alla grandezza di lui, ma anche al riconoscimento del suo vero ruolo, che non è quello di sollazzo amoroso del Duce. Clara Petacci vuole fare la Storia con Benito Mussolini.
Io ho accettato di vivere e di dividere il tuo destino, nulla in me ti ha mai potuto dare il sospetto che temessi la mia sorte. Io non tradisco la mia fede. Anche se tu mi lasci scivolare verso la fine dell’amore rimane sempre la Clara che non fugge, perché non segue soltanto l’Uomo ma il Capo. E mai, mai ricorda, ci sarà viltà nella mia vita. Io so morire così come so vivere, limpidamente e semplicemente. Non ho paura.
E ancora:
Mi odiano perché lui mi ama. Non ho ricchezze, non ho potere, non ho amicizie: la cosiddetta buona società mi snobba. Ma io me ne frego. Perché la mia vita è tutta per lui.
Ma quale amante! Lei è l’incarnazione della donna fascista, più di Donna Rachele, più di qualsiasi altra donna lui abbia mai avuto al fianco. Clara Petacci è il prodotto perfetto del fascismo più fanatico; e vuole che il mondo lo sappia.
Quelle che seguono in questa gallery sono alcuni passaggi del carteggio tra Claretta e Ben. Questa fu davvero Claretta Petacci, non solo “una donna che amò l’uomo sbagliato”, ma colei che alla sorella Myriam, sua confidente scrisse:
Non lo abbandonerò mai, qualunque cosa avvenga. […] Fa’ sì che sia finalmente detta la verità su di me, su di lui, sul nostro amore sublime, bellissimo, divino, oltre il tempo, oltre la vita.
Claretta Petacci scelse di morire con il Duce. Andò incontro al suo destino consapevolmente e, probabilmente, a passi più decisi di quelli del suo, a quel punto, inetto uomo.
Questo non toglie nulla all’orrore che successe in quelle ore, il possibile stupro, il mistero dell’assenza delle mutandine svelato dal cedere della gonna quando fu appesa a testa in giù, prima che don Giuseppe Pollarolo potesse appuntarle pietosamente una spilla passatagli da una staffetta partigiana, il deturpamento del suo cadavere.
Ma smettiamola con il romanzetto rosa della donna innamorata e diciamo – per lei di certo non sarebbe un’offesa – che Clara Petacci fu la donna più fanatica, fedele e consapevole che il fascismo abbia mai avuto.
Fonti:
A Clara. Tutte le lettere a Clara Petacci. 1943-1945
L’ultima lettera di Benito. Mussolini e Petacci: amore e politica a Salò 1943-45 di Pasquale Chessa e Barbara Raggi
Mussolini segreto. Diari 1932-1938
Dagospia, l’incredibile, ultimo carteggio fra Mussolini e la Petacci
Panorama, “Io non ho paura”. Claretta al Duce durante i giorni di Salò
Famiglia Cristiana, Mussolini, amore e disperazione
Il Fatto Quotidiano, Quando Clara Petacci chiese al Duce di darsi da fare per suo fratello
Mussolini a Clara, il 10 ottobre 1943: è la prima di 318 lettere quasi quotidiane scritte fino al 18 aprile 1945:
Cara, comincio col dirti: per la giovinezza che m’hai dato, per la fedeltà che mi hai portato, per le torture che hai coraggiosamente sopportato, durante il periodo più nero della storia italiana, io ti amo, come nel 1936-39, come nel 1940, come sempre.” Con questa dichiarazione d’amore, del 10 ottobre 1943
Clara a Mussolini, che avrebbe ordinato a Marcello Petacci di mettersi al servizio delle SS come medico. Il fratello di Clara finisce però al centro di una polemica in quanto non avrebbe eseguito l’ordine:
(…) Mi dici che tu credevi che lui avesse fatto qualche passo… certo, tu dimentichi, hai troppe cose in mente… Ora ti ricordo io… Quando mi scrivesti a Merano non so se la prima o la seconda lettera – mi dicevi che papà e Marcello dovevano prendere servizio medico presso le S.S. Immediatamente dato che c’era il simpatico Dietrich – papà e Marcello si misero a contatto con il generale – il quale lì stesso subito chiamò il direttore e i servizi sanitari e davanti ai miei gli ordinò di prendere con sé Marcello (…) Mi ricordo che la rapidità degli ordini e la cortesia mi stupì e commosse… abituati alla villania dei nostri ufficiali e soprattutto alla nauseante burocrazia. Dopo di che io ti comunicai ciò per telefono – ti mostrasti lietissimo- e Marcello si mise in posizione di attesa come dicesti tu… Passarono molti giorni- nulla. Sollecitammo e anche Marcello sollecitò.. (…) Intanto noi ci vedemmo il 28 ottobre, come credo non avrai dimenticato… e nelle lunghe ore di conversazione parlammo anche di Marcello – per il quale tu avesti parole di grande simpatia. (…) Io ti chiesi che cosa dovevano fare nel frattempo… tu mi dicesti nulla: deve stare a Merano e non muoversi di lì altro per venire da me – e per cose di assoluta necessità (…) Non appena si stava riformando la marina io ti scrissi e quindi anche al telefono ti chiesi cosa doveva fare Marcello – se presentarsi o meno e se doveva muoversi da Merano. Mi rispondesti no categoricamente – dicendo che per Marcello avevi i tuoi programmi precisi e che perciò non si muovesse, non si mettesse in vista – che al tutto pensavi tu… Ancora e più di una volta (…) feci presente la situazione. Mi rispondesti che non era urgente presentarsi – e che preferivi che Marcello rimanesse a Merano per ora. Intanto io venni via, venni qui – e Marcello chiese ancora di far parte dell’SS per lavorare… (…). La prima volta che vedesti Marcello da te, lui ti parlò della sua situazione militare; e cioè maggiore medico effettivo, posizione alla quale tiene in modo particolare e tu dicesti che avresti perfettamente abbinato le due cose perché lo avresti messo in condizione di mantenere il grado il ruolo di effettivo – e tutto questo come per migliaia di ufficiali incaricati di missioni delicate all’estero che vengono messi a disposizione dal ministero e rimangono quindi con gli stessi diritti e lo stesso posto in marina. Ne parlaste a lungo (e ancora l’ultima volta ne parlaste dettagliatamente) e sempre tenendo fermo che della cosa ti saresti interessato tu per evitare che Marcello figurasse e girasse… (…) La sua situazione è quindi invariata. Al momento che tu senza smuovere le acque per non si sa come e da chi possono essere intorbidate per vigliaccheria – dichiari che l’ufficiale in questione è a tua disposizione – Marcello entrerà automaticamente nella nuova marina – e si libererà nel medesimo tempo da ogni intromissione pettegolezzo e cattiveria… Entra con il suo grado le sue qualifiche ecc. Naturalmente se tu chiedi la sua situazione metti a rumore il ministero della Marina – provochi (…) un motivo per versare veleno – e comunque ti diranno che non si è presentato. Grazie – ma sei stato tu a non voler per nostri personali considerazioni e programmi. Perciò io credo che noie eventuali intrighi e storie – tu provveda come eri d’accordo e tagli ogni commento e ogni ingerenza. Semplifica e soprattutto non esitare a fare per Marcello ciò che giusto dopo tanto soffrire e dopo tanta rovina familiare. Come vedi ora la situazione è chiara. Si è isolato racchiuso per tuo preciso desiderio e anche per suo, dato che se avesse potuto esserti utile e occupare un posto vicino a te anche di rischio ma per esserti utile e servirti – valeva la pena di essere nel gomitolo – ma per avere noie rotture d’anima anonimi e altre porcherie no. (…)
20 luglio 1943, Claretta a Benito:
Ben – ascoltami… io sono una povera donna – una creatura semplice e che mai ha voluto occupare un posto oltre quello che spetta alla donna-mamma-amante e sorella…
[…]
Ben rifletti… rifletti prima di riunire il Gran consiglio… io sento che questo è il famoso passo verso la fine… Ricordati che tutti sono contro di te… L’esercito tradisce tutto – la massoneria lavora – i ministri che tutto ti devono sono venduti ai loro interessi alla loro smodata smisurata ambizione – quelli in cui tu hai fede. Casa Reale ti tradisce credimi – e ti tradisce perché mai ti perdoneranno di essere più grande di loro tu figlio di un fabbro – tu nato dal popolo… Nessuna gratitudine in loro… solo interesse e freddo disprezzo… Tu non mi credi quando ti dico che Badoglio lavora… mi hai risposto – “Badoglio giuoca a bocce…” e io ti ripeto quanto ti dissi.. “si gioca a bocce ma con la tua testa…!”
[…]
Io sento questo lavorio di forze contrarie – io sento che si prepara il grosso colpo… io sento che l’inglese Grandi credendo di sostituirti in un domani – ti tradirà…!!!
18 giugno 1944 – Clara, quando io ti dicevo che io conto meno del due di coppe, tu protestavi. Era la verità. Questo è un governo che non dispone di armi. È disarmato. È peggio che disarmato: poiché il suo simulacro di armamento è ridicolo. Fucili senza cartucce e cartucce senza fucili. I ribelli riforniti dai nemici lo sanno e fanno quello che vogliono. Vaste zone del popolo italiano, sono entrate in uno stadio confinante colla vera e propria follia…
Cara piccola Clara, ti ringrazio per ciò che hai sopportato. Io sono ormai veramente un cadavere vivente… Ti amo, tuo Ben.
Caro Ben, sei troppo grande, il popolo non ti merita. Il destino dei grandi è di essere tradito. Tua Clara.
E ancora:
La mia tragedia è grande Nulla di ciò che ho costruito rimane. Ho 60 anni ormai e il tempo per ricostruire mi manca. Questo vecchio cadavere ti saluta.
Tu ricostruirai sei longevo, sei d’acciaio».
Prima di un incontro con Hitler, lei le scrive:
Tu devi sostenere il tuo diritto assoluto di decidere senza sindacare delle questioni interne italiane, nonché degli uomini che tu ritieni più adatti alla tua grandiosa e faticosa opera di ricostruzione.
Ben, ti mando un buongiorno, con una tenerezza speciale, sento tutta la pena, la tua ansia nel seguire questo processo che vaglia i traditori. Io ti comprendo ma devi essere forte. Il destino dei grandi è forse quello di essere traditi. È triste. Cesare da suo figlio… Napoleone da tutti, dalla stessa moglie Maria Luisa e Giuseppina… Tu da tuo genero e dai tuoi ministri.
Oggi è il sangue e solo il sangue che può lavare l’onta. Oggi è la forza, e solo la tua forza, dura, violenta, crudele che potrà seppellire la vergogna.
Non si può né si deve dimenticare che uno dei primi responsabili della tua tragedia, oltre che quel vecchio incartapecorito e invigliacchito del sabaudo, e di quel massone venduto lercio di Badoglio, è stato Ciano uno dei maggiori istigatori – vile sudicio interessato e falso. E così non devi né puoi dimenticare che la sua degna compagna, per certo tua figlia, è stata degna compagna delle trame di suo marito.
Come ha dimenticato di essere una Mussolini mentre si affilavano le armi contro il suo stesso padre così non può vantare oggi legami di sangue. È facile fare la figlia ravveduta o pentita. Quando si è tradito una volta il proprio sangue, si può tradirlo anche due.
E se adesso che suo marito è alle soglie della meritata punizione, lei se ne frega e viene da te, fedele figlia devota e pentita, è indegna, così come sarebbe indegna nel chiederti pietà per lui.
Poiché nel primo caso rinnegando il marito del quale ha seguito la sporca e vile politica partecipandovi vivamente – rinnega il suo stesso essere di moglie fedele. E se lo rigetta da sé – ora dopo averlo ella stessa aiutato nel tradimento contro suo padre – è infamia. Così com’è infamia e viltà se tenta salvarlo dal giusto castigo.
Se cominci a punire e colpire così possiamo essere veramente sicuri di avere soddisfazione contro i vigliacchi e i traditori e di ricostruire sui cocci sporchi di melma.
Via Ben! è inutile tergiversare oggi chi ha mancato deve pagare. Se il tribunale nasce sotto auspici di debolezza e di acquiescenza, è inutile crearlo ed è inutile fare processi.
Il popolo non vuole né può più essere preso in giro.
Ho il diritto di dirti queste cose per quello che ho sofferto e ho il dovere perché ti amo, ti amo come uomo e soprattutto come capo. Ricordati, o oggi o mai più.
Dopo l’ultimo discorso del dittatore al Teatro Lirico di Milano del 16 dicembre 1944:
Finalmente! Tu non credevi più in te stesso e il popolo, pur credendo in te, non ti sentiva. Ora ti sei ritrovato in te e nel tuo popolo.
L’ultima lettera di Mussolini a Claretta è del 18 aprile 1945.
Non si parla di politica, solo della gelosia di lei:
Vedo che sei sempre bene informata. Ieri sera ho ricevuto la signorina Pia Piazzi e naturalmente sono accadute tremende cose. Non è accaduto assolutamente niente…
Cosa ne pensi?