Il 13 giugno 1981 tutta Italia si stringeva idealmente a Francesca e Ferdinando, i genitori del piccolo Alfredino Rampi caduto in un pozzo tre giorni prima e recuperato purtroppo senza vita.
Ora, 38 anni dopo quel drammatico incidente che sconvolse un intero paese e segnò per sempre la vita della famiglia Rampi, la storia si è ripetuta; a migliaia di chilometri di distanza, nelle campagne di Totalan, nella provincia di Malaga, con un bambino ancora più piccolo dello sfortunato Alfredino.
Julen aveva solo due anni e, come il piccolo Rampi, è caduto in un pozzo scavato nella proprietà di un familiare, dove con i genitori stava trascorrendo una giornata.
Per 13 giorni, dal 13 gennaio, giorno della tragedia, i soccorritori, la protezione civile e la guardia civile hanno scavato senza sosta, incontrando frane, rocce troppo solide per essere abbattute, cunicoli strettissimi che rendevano impossibile il passaggio, mentre gran parte della Spagna si raccoglieva, moralmente e fisicamente, a Totalan, pregando per il miracolo. Esattamente come quasi quarant’anni prima l’Italia aveva fatto per Alfredino.
Sono in effetti tante le analogie tra le due drammatiche vicende; intanto, proprio quel numero, il 13, che ricorre sia nella storia di Julen che in quella di Alfredino. 13, come il giorno in cui Julen è caduto nel pozzo, 13, come quello in cui il piccolo Rampi è stato dichiarato morto e recuperato.
E poi le difficoltà dei soccorsi, i tanti giorni spesi per tentare di raggiungere i bambini caduti a una profondità talmente elevata da rendere complicato l’accesso alle persone incaricate di recuperarli, le giornate intere passate dalle persone a pregare, i tanti tentativi, e infine il tragico epilogo.
Ma, soprattutto, come per Alfredino anche nel caso di Julen c’è un pozzo, lasciato inspiegabilmente aperto, sufficientemente grande perché un bambino potesse finirci dentro (25 cm di larghezza per 110 metri di profondità, quello dove è caduto il bambino spagnolo), non protetto e non sorvegliato a vista.
E allora, anche se è inutile logorarsi in interrogativi che non possono restituire né pace, né giustizia (a quello, semmai, penseranno le autorità), viene spontaneo domandarsi come sia possibile, 38 anni dopo, trovarsi di nuovo a piangere una vittima dell’incuria, della sufficienza umana, dell’indolenza.
Come sia possibile che un fatto del genere, dopo lo strazio della storia di Alfredino, sia potuto capitare di nuovo, per una sciocca dimenticanza, un atto di evitabilissima negligenza.
Ho seguito la vicenda come qualsiasi mamma – ha detto al Messaggero Franca Rampi, che dopo la morte del figlio ha creato il Centro Rampi – Un dolore che si è riaperto. Questo caso dimostra ancora una volta che senza prevenzione non si va da nessuna parte: quando si apre un pozzo artesiano di 80 metri, va chiuso. Se le persone fanno come gli pare, se non hanno coscienza, c’è poco da fare […] Julen è caduto in un pozzo identico a quello di Alfredino, è stato impossibile anche questa volta, salvare il piccolo. Perché bisogna pensarci prima.
Ha ragione, la signora Rampi, e la sua giustificabile rabbia esprime un pensiero che difficilmente non si può non condividere: perché è obiettivamente complicato ridursi a parlare di semplice “fatalità”, di incidente sciagurato, quando sarebbe sufficiente mettere in sicurezza pozzi del genere per evitare del tutto qualsiasi tipo di rischio. È troppo riduttivo augurarsi semplicemente che “certe cose non succedano mai”, quando con un briciolo appena di attenzione in più si può avere la certezza di non farle accadere.
A differenza di Alfredino, però, che per quasi gli interi tre giorni della sua agonia è rimasto vivo e cosciente per la maggior parte del tempo, l’autopsia effettuata all’Istituto di Medicina Legale di Malaga sul corpicino di Julen avrebbe stabilito che quest’ultimo sia morto lo stesso giorno della caduta; una piccolissima, inutile “consolazione” che dà la consapevolezza del fatto che, forse, il piccolo non abbia sofferto per 13, lunghissimi giorni.
In gallery abbiamo ripercorso tutta la vicenda di Julen, e parlato anche del tragico destino della sua famiglia.
È caduto il 13 gennaio
Mentre si trovava nella proprietà di un familiare, il piccolo Julen, di due anni, è precipitato in un pozzo di prospezione largo 25 cm e profondo 110 metri, per più di 70 metri.
Senza sosta
José Sanchez Roco, papà di Julen, comincia a scavare a mani nude appena si rende conto che il figlio è precipitato nel pozzo, ma inutilmente. Vengono allertati i soccorsi, che iniziano subito le operazioni di scavo di un secondo tunnel, parallelo a quello in cui si trova il bambino.
Nessuna risposta
La guardia civile e i vigili del fuoco hanno cercato di mettersi in contatto con Julen, che però non ha mai stabilito un contatto. Un robot è sceso nel pozzo, dovendosi però fermare a 78 metri di profondità a causa di una frana.
Ore di angoscia
Lo spazio estremamente ridotto e la consistenza rocciosa del terreno hanno reso molto complicate le operazioni di salvataggio. Solo dopo 10 giorni i soccorsi sono finalmente riusciti a completare il tunnel parallelo rispetto a quello in si trovava Julen.
La disperazione
Purtroppo, i soccorritori hanno trovato Julen senza vita. Del resto, il piccolo aveva pianto solo nei minuti seguenti alla caduta, interrompendo però ogni lamento nel momento in cui, forse, ha perso conoscenza.
È morto nella caduta
L’autopsia effettuata sul corpo del piccolo Julen pare aver stabilito che il piccolo sia morto in seguito alla caduta, e non nei giorni seguenti per fame o sete.
Un'altra tragedia aveva sconvolto la famiglia Roco
Nel 2017 la famiglia di Julen aveva già perso un altro bambino, Oliver, di 3 anni, per un infarto accusato mentre si trovava in vacanza, sulla spiaggia.
Cosa ne pensi?