La vérité di Juliette Binoche e Catherine Deneuve: l'arte di essere dive
A Venezia apre un film di una regista giapponese già Palma d'Oro a Cannes: La vérité, che ha per protagoniste due dive senza tempo, Juliette Binoche e Catherine Deneuve.
A Venezia apre un film di una regista giapponese già Palma d'Oro a Cannes: La vérité, che ha per protagoniste due dive senza tempo, Juliette Binoche e Catherine Deneuve.
La settantaseiesima edizione del Festival del Cinema di Venezia, al via da mercoledì 28 agosto, si aprirà letteralmente col botto.
A inaugurare la prestigiosa kermesse cinematografica in laguna infatti sarà un film del regista giapponese Kore-eda Hirokazu – già Palma d’oro a Cannes nel 2018 per Un affare di famiglia (Manbiki kazoku) – alla sua prima pellicola girata fuori dal Giappone.
La vérité, questo il titolo del film, avrà due grandi protagoniste, Juliette Binoche e Catherine Deneuve, che daranno vita a un intenso e drammatico ritratto familiare, interpretando una madre e una figlia intrappolate in un rapporto conflittuale e mai davvero risolto, con la Deneuve nei panni di una star del cinema, adorata da tutti, e la Binoche in quelli di sua figlia Lumir, tornata a Parigi da New York dopo la pubblicazione della sua autobiografia. Con loro altri interpreti di grande spessore, a cominciare da Ethan Hawke, nel ruolo del marito di Lumir.
Binoche e Deneuve, oltre a una carriera prestigiosa e ricca di riconoscimenti e fama, sono anche due icone moderne del femminismo e della femminilità, pur se da punti di vista spesso diversi. L’interprete di Chocolat, ad esempio, da presidente della 69esima Berlinale, nel febbraio 2019, ha speso persino parole di comprensione per Harvey Weinstein, per la cui casa di produzione ha recitato sia nel film accanto a Johnny Deppe che ne Il paziente inglese.
Mentre la diva ambasciatrice UNESCO, dopo essere stata firmataria, nel 1971, del Manifesto delle 343 pu***ane che chiedeva il diritto all’aborto, proprio dopo lo scoppio dello scandalo Weinstein si è fatta promotrice di un’altra iniziativa, stavolta per lasciare agli uomini “la libertà di importunare”.
Controcorrente, a loro modo rivoluzionarie, Binoche e Deneuve hanno messo insieme tutto il talento di cui sono dotate per raccontare di vicissitudini familiari, di cose non dette e di rapporti interrotti, garantendo così al festival veneziano un’apertura davvero da ricordare.
Mi costringete a riaprire un libro che abbiamo già aperto e sfogliato – ha detto Juliette alla Berlinale del 2019, dove è stata presidente di giuria – Ho risposto a questi quesiti e non so se ho voglia di rifarlo. Penso comunque che Weinstein ne abbia avute abbastanza. Le persone che dovevano parlare lo hanno fatto. E adesso la giustizia sta facendo il suo corso. Se mi metto nei suoi panni, non posso che augurargli un po’ di pace, per la mente e per il cuore.
Binoche ha anche aggiunto che l’ex numero uno Miramax
Con me si è comportato bene, non mi è successo nulla di spiacevole, anche se ho capito che si trattava di un uomo con problemi irrisolti. Dal punto di vista professionale è stato un produttore fantastico, un grande.
Anche nel passato di Juliette ci sono stati abusi e molestie: a 7 anni ha subito un’aggressione sessuale da parte del maestro di scuola, a 18 fu molestata da un regista e a 21 da un produttore. Per questo lei si è sempre ribellata e ha imparato a “insorgere contro l’impunità degli uomini”.
Dopo essersi fatta conoscere nel 1992 ne Il danno di Louis Malle, tratto dall’omonimo romanzo di Josephine Hart, ha vinto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile e il Premio César come migliore attrice nel 1993 per la prima parte dell’acclamata Trilogia dei colori del regista polacco Krzysztof Kieślowski.
Tra i suoi film ci sono L’ussaro sul tetto (1995) e Il paziente inglese (1997), per cui ha vinto l’Oscar come migliore attrice non protagonista.
Ha recitato anche a Broadway, ed è l’attrice più pagata del cinema francese.
Nella sua carriera, oltre ai premi già citati, Juliette ha vinto un Orso d’argento per la migliore attrice e un BAFTA per Il paziente inglese, un Nastro d’argento europeo per L’attesa, nel 2016, ed è stata nominata all’Oscar anche per Chocolat, nel 2000.
Il 5 aprile 1971 Simone De Beauvoir scrisse il Manifesto delle 343 pu**ane, per chiedere un aborto libero e gratuito. Fra le donne firmatarie, c’era proprio l’attrice francese.
Aborto.
Una parola che sembra esprimere e limitare una volta per tutte la lotta femminista. Essere femminista significa combattere per un aborto libero e gratuito.
Si legge nel manifesto.
Nel 2018, in risposta al movimento #MeToo, invece, Deneuve, con altre 100 donne, ha firmato e inviato al giornale Le Monde una lettera in cui rivendicava il diritto degli uomini a “importunare” le donne, sottolineando che lo stupro
è un crimine, ma tentare di sedurre qualcuno, anche ostinatamente o in maniera maldestra, non lo è, come la galanteria non è un’aggressione da macho.
Gli uomini sono stati puniti sommariamente, costretti alle dimissioni quando tutto quello che hanno fatto è stato toccare il ginocchio di qualcuna o cercare di rubare un bacio, parlare di argomenti intimi durante cene di lavoro o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a donne per la quale l’attrazione non era reciproca.
Conquistata la ribalta nel 1964 con il film musical Les Parapluies de Cherbourg, Deneuve ottiene ruoli importanti in Répulsion di Roman Polański nel 1965 e, soprattutto, in Bella di giorno di Luis Buñuel nel 1967, con un’interpretazione che è elencata nelle 100 miglior di tutti i tempi secondo il Premiere Magazine.
Negli anni ’70 lavora senza sosta in Francia ma anche all’estero, soprattutto in Italia collaborando con registi come Marco Ferreri, Mauro Bolognini e Dino Risi, mentre negli USA lavora con Omar Sharif, Jack Lemmon e Gene Hackman.
Con la sua interpretazione de L’ultimo metrò di François Truffaut, nel 1981, vince il suo primo César come migliore attrice, vincendone un altro l’anno successivo con Indocina, parte che le valse nel medesimo anno anche la candidatura all’Oscar come miglior attrice protagonista.
Ambasciatrice UNESCO, Catherine Deneuve ha vinto anche un David di Donatello nel 1981 come Migliore attrice straniera per L’ultimo metrò, una Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile per Place Vendôme, e ha ricevuto l’Orso d’oro alla carriera a Berlino nel 1998.
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