La lebbra, una delle più temute malattie del passato, è spesso stata associata a miti e leggende anche di natura religiosa, come “punizione” per il modo di vivere impuro e peccaminoso; un tempo ritenuta non solo incurabile, ma anche estremamente pericolosa per gli altri – tanto da relegare chi ne era affetto ai margini della vita della comunità – oggi, grazie ai progressi compiuti in campo scientifico e alla maggiore informazione, si sa invece che la malattia di Hansen, altro nome con cui è conosciuta, è certamente una patologia infettiva e cronica, causata dal batterio Mycobacterium leprae, ma per tenerla sott’occhio sono state scoperte molte valide cure.
Eppure, i lebbrosari, ovvero i luoghi in cui i malati di lebbra erano spesso confinati, sono resistiti fino a qualche decennio fa, e ce n’è persino qualcuno tuttora attivo. Come il lebbrosario di Van Mon, poco distante da Thai Binh, nel nord del Vietnam, uno degli ultimi esistenti, che ospita più di 200 pazienti, quotidianamente seguiti dal personale medico e da alcuni frati francescani.
Proprio per far scoprire la realtà di questo posto dimenticato e la cui esistenza è ignorata dalle persone, i fotografi e giornalisti Roberto Pacilio e Andrea Cova hanno deciso di realizzare un reportage al suo interno, intitolato Il figlio primogenito della morte, in riferimento al passo della Bibbia, contenuto nel Libro di Giobbe, che recita: “Un malanno divorerà la sua pelle, il primogenito della morte roderà le sue membra”.
In effetti, ciò che emerge dagli scatti in bianco e nero, visibili anche sul sito ufficiale di Andrea Cova, sono dei volti deturpati, sfigurati dalla malattia, mutilazioni agli arti e pelli erose, raggrinzite, distrutte. Un luogo dove davvero sembra di precipitare nell’inferno, ma che è la quotidianità per chi ci vive e respira, ogni giorno, la sua aria.
Le immagini raccolte dai due fotoreporter sono davvero suggestive e impressionanti.
Il lebbrosario di Van Mon, nel nord del Vietnam
L'edificio è uno degli ultimi rimasti
La lebbra è una delle malattie più antiche dell’umanità, nominata già a partire dal XV secolo a.C., in India, dove viene definita con il termine Kushta nelle leggi di Manu; scritte nei Veda, nel 1400 a.C., includevano anche le istruzioni per la sua prevenzione.
Van Mon ospita più di 200 pazienti
Si pensa che il trasferimento della malattia dall’Oriente all’Occidente sia avvenuto a causa dei soldati di Alessandro, di ritorno da una campagna in India compiuta a cavallo fra il 327 e il 326 a.C.
Una malattia che spaventava
Per migliaia di anni la lebbra è stata considerata una malattia grave e pericolosa, tanto da essere associata a una punizione divina che divorava la persona nel fisico e nell’anima, per cui il malato doveva essere emarginato.
Reietti della società
Considerati impuri dalla Chiesa, i lebbrosi non potevano entrare in locande, chiese, mulini, panifici, né potevano toccare le persone o mangiare con loro, lavarsi nei fiumi o camminare in strade strette; venivano rinchiusi in strutture costruite proprio per mettere i malati al di fuori della società: i lebbrosari.
Tantissimi lebbrosari in Europa nel XIX secolo
Come riporta TPI, Matthew Paris stimò circa 19 mila lebbrosari in Europa: solo in Francia ne esistevano 2000, in Inghilterra più di 100. I lebbrosi più “fortunati”, non confinati in tali luoghi, dovevano avere uno speciale abbigliamento, e portare un sonaglio di legno per avvertire del proprio arrivo.
I volti dei lebbrosi di Van Mon
Secondo l’OMS, riporta TPI, negli anni ’80 del Novecento i malati di lebbra erano circa 12 milioni, scesi un decennio dopo a 2,5 milioni circa, fino a raggiungere i 249.000 nuovi casi accertati annui nel 2008. Nel 2000, l’OMS ha definito come aree di endemia per la lebbra 91 nazioni, soprattutto in India, Africa sub-Sahariana e Sud America.
Un'esperienza difficile da dimenticare
A proposito del loro reportage fotografico, Pacilio e Cova dicono:
Arriva dritto e forte come un colpo alla bocca dello stomaco l’odore acre e pungente che si diffonde dalle stanzette del ricovero.
Odori e immagini che non si dimenticano
È difficile avvicinarsi – si legge nel sito di Andrea Cova – Cattivo odore? Paura generata da una certa mitologia sulla lebbra? Sicuramente entrambe le cose.
Uomini e donne devastati dalla malattia
Per una storia intera il mondo li ha isolati, cacciati e spesso destinati all’oblio – recita la presentazione del progetto sul sito di Andrea – La lebbra è stata pensata come una punizione divina che divora la persona nel fisico e nell’anima. Non è di certo un castigo di Dio ma una malattia come altre che flagellano l’umanità. L’anima è provata ma non si corrode.
Il loro progetto si chiama Il figlio primogenito della morte
Il nome del progetto è ispirato a un passo della Bibbia, dal Libro di Giobbe.
Visi sfigurati e arti mancanti
Soprattutto chi ha perso gli occhi, le dita, le mani e non è più autosufficiente ha bisogno dell’assistenza degli infermieri o dei vicini di stanza, sempre se non ridotti nelle stesse condizioni.
Chi può, invece, lavora
I pazienti più indipendenti, invece, possono coltivare piccoli orti posizionati all’esterno, fare passeggiate nel piazzale che si trova di fronte al lebbrosario, o chiacchierate all’ombra tra i malati e i frati.
Gli effetti devastanti della lebbra
Ognuno ha la propria storia
Ognuno nel lebbrosario ha la propria storia alle spalle – scrivono gli autori – qualcuno se l’è portata in camera, qualcuno l’ha lasciata prima di entrare, altri l’hanno persa nei giorni (o mesi) dopo il ricovero.
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