*** Aggiornamento del 12 ottobre 2021 ***
La sentenza è arrivata il 19 giugno 2021, a quasi tre anni di distanza dalla morte della povera Desirée Mariottini, lasciata senza vita in un edificio abbandonato, dopo essere stata drogata e ripetutamente stuprata.
I giudici della Terza Corte di Assise di Roma hanno inflitto due ergastoli e altre due condanne a 27 anni e 24 anni e mezzo, rispettivamente per Mamadou Gara e Yusef Salia, Alinno Chima e Brian Minteh, che però potrebbe a breve tornare libero per scadenza dei termini di custodia cautelare.
La madre di Desirée, Barbara, ha accolto con soddisfazione la notizia, anche se, come ha riportato il Corriere, ha dichiarato “avrebbero dovuto dare quattro ergastoli”. In effetti, questa era stata anche la richiesta del procuratore aggiunto Maria Monteleone e del pm Stefano Pizza, nel dicembre del 2020.
*** Articolo originale ***
Sono passati due anni da quel 19 ottobre 2018 in cui il corpo senza vita di Desirée Mariottini è stato ritrovato in uno stabile degradato nel quartiere San Lorenzo di Roma. La ragazza aveva appena sedici anni e, proprio come su Pamela Mastropietro, uccisa solo qualche mese prima, sono state dette e scritte molte cose: che erano due sbandate, due drogate pronte a vendere il proprio corpo per “una dose”, che erano figlie, oltre che di situazioni familiari precarie e disagiate, anche di una società dell’indifferenza in cui i figli sono lasciati “troppo liberi”.
Le parole, le sentenze quasi sempre sbandierate dietro l’apparenza di “opinioni”, i processi consumati a mezzo social da chi dietro una tastiera sembra sempre saperne di più hanno finito con l’uccidere più e più volte questa ragazzina. Lo hanno fatto perché Desirée non se l’è cercata, e al di là di un atteggiamento poco giudizioso o incosciente, nessuno aveva comunque il diritto di toglierle la vita.
In secondo luogo, perché oggi è arrivato un altro fatto, che certo non aggiunge né toglie nulla alla persona di Desirée Mariottini, ma che quantomeno dovrebbe far gridare al mea culpa quanti avevano osato fare illazioni su di lei: perché la sedicenne di Cisterna di Latina era vergine, quando è stata barbaramente massacrata dopo essere stata violentata. La conferma è arrivata solo oggi, nel 2020, a 24 mesi di distanza dal suo omicidio, con i particolari forniti dal resoconto degli esperti chiamati a eseguire l’autopsia, due esperti della Sapienza, Ugo di Tondo (docente di Anatomia patologica) e Dino Tancredi (medico legale), i quali hanno parlato di un “rapporto sessuale violento”; di “lesioni all’imene” e di “escoriazioni alle braccia” che proverebbero che la povera Desirée ha lottato, prima di arrendersi ai suoi aguzzini.
Niente “giovane escort” disposta a vendere il proprio corpo per un po’ di droga, dunque; forse, chi due anni fa è stato pronto a tirare fuori i suoi giudizi tranchant, oggi dovrebbe, con la stessa prontezza, fare retromarcia e chiedere scusa, a lei in primis, alla sua famiglia poi. Non che sia solo questo a rendere grave l’accaduto. La sua provata verginità dovrebbe far vergognare certi leoni di tastiera che vomitarono odio e giudizi all’epoca, ma non comporta nulla riguardo l’omicidio. Fosse stata davvero una “giovane escort” nessuno avrebbe comunque avuto il diritto di farle ciò che le è stato fatto.
Nel dicembre del 2019 è cominciato il processo contro i quattro accusati del suo omicidio, Yussef Salia, Alinno Chima, Mamadou Gara e Brian Minthe, sulle cui teste pendono le imputazioni di omicidio volontario, violenza sessuale aggravata e cessione di stupefacenti a minori. Proprio Salia aveva inizialmente denunciato la famiglia di Desirée per abbandono di minore, salvo poi ritirare la denuncia e affermare, nell’aula bunker di Rebibbia,
Non sono responsabile della morte di questa ragazza, chiedo perdono e scusa alla madre e alla famiglia e rispetto il loro dolore.
Le parole del padre
Ho cercato di salvarla ma non ho potuto fare niente – ha detto il padre di Desirée, Gianluca Zuncheddu, ai giudici della III corte d’Assise. L’uomo ha spiegato di aver trovato una carta stagnola bruciata fra le cose di sua figlia, ma di non aver potuto fare nulla per via del divieto di avvicinamento che aveva verso l’ex compagna, e madre della ragazza. Una settimana prima era andato a casa dell’ex moglie,
Volevo portarla via, poi ho visto che aveva del vino nella borsa e le ho dato due schiaffi e sono stato arrestato.
Le ho congiunto le mani sul petto
Quando siamo arrivati, Desirée era avvolta in un piumone. L’avevano lasciata in una stanza abbandonata, deserta, non c’era più nessuno. La ragazza era morta da non più di sei ore. Allora le ho congiunto le mani sul petto.
Questa la testimonianza del medico Anna Passalacqua, tra i primi ad accorrere dopo la telefonata anonima al 188.
Le testimonianze di Muriel
C’è chi afferma di aver visto Desirée mano nella mano con gli indagati, spiega Linkiesta. E anche chi come Muriel, tossicodipendente che bazzica la zona, invece ha parlato di violenza sessuale: Muriel ha infatti affermato di aver trovato la 16enne seminuda e incosciente, e aver quindi dedotto la violenza. E naturalmente gli inquirenti non si possono basare su una supposizione. Ci sono anche altre testimonianze-supposizioni di Muriel: il mix di droghe le sarebbe stato somministrato per derubarla o stuprarla. Muriel ha anche chiamato l’ambulanza, dopo che uno degli indagati le ha detto che Desirée era morta. E la donna ha anche aggiunto di come le sia stata riferita una frase detta da tre degli accusati:
Meglio che muore lei che noi in galera.
Il tablet
Perché Desirée era in quel luogo quella notte? Alcuni dei racconti ruotano intorno a un tablet (in alcune cronache è lo smartphone) che non si sa se le sia stato rubato, lo abbia scambiato lei per la droga o altro. Fatto sta che lei si trovava a San Lorenzo per farselo restituire. Da chi? Una testimone, Antonella, dice dalla stessa Muriel, la presunta autrice del presunto furto. E scusate se eccediamo con la presunzione, ma in queste storie la prudenza è d’obbligo, tanto più in questa che presenta molti punti oscuri.
La presunta testimonianza diretta dell'uomo senegalese
Tra le prime cronache della vicenda, molte testate italiane hanno dato spazio a quella che sembrava la testimonianza diretta di un ragazzo senegalese, come riportato dal Post:
Una ragazza urlava. Ho guardato quella che urlava e c’era un’altra ragazza a letto: le avevano messo una coperta fino alla testa, ma si vedeva la testa. Non lo so se respirava ma sembrava già morta, perché l’altra ragazza urlava e diceva che era morta.
In foto un murale a quartiere San Lorenzo.
I motivi della morte
L’autopsia parla chiaro: Desirée è morta per insufficienza cardiorespiratoria e quindi non direttamente per la violenza sessuale. Che, stando all’autopsia, c’è stata (anche se rimane il dubbio sul quando).
In foto, i funerali di Desirée a Cisterna di Latina.
Chi era Desirée
Desirée aveva 16 anni e viveva con i nonni a Cisterna di Latina. Dallo scorso agosto era seguita dal Sert: come spiega Tpi, alcune ragazze l’avevano accusata di spaccio, anche se poi addosso non le è mai stato trovato nulla. La madre non credeva che la situazione della figlia fosse così grave: era convinta che solo da pochissimi giorni avesse avviato una dipendenza con le droghe. Il padre è agli arresti domiciliari – in passato l’uomo l’aveva schiaffeggiata per allontanarla dalla droga e dagli spacciatori, lui stesso molti anni fa era stato arrestato per spaccio. Il risultato: Desirée chiamò le forze dell’ordine e dato che il padre aveva un ordine restrittivo nei confronti della madre, è stato messo ai domiciliari.
Una delle cose che fa male collateralmente a questa storia – la morte di una ragazza così giovane già è qualcosa di terribile, poi ci si aggiungono le circostanze che l’hanno determinata – è che la storia personale di Desirée è stata talvolta, sui social network, usata per “giustificare” quello che è successo. Non importa quali strade si prendano nella vita, gli errori che si possono commettere, soprattutto a 16 anni: nessuno e ribadiamo nessuno merita di morire e in particolare di morire così.
Cosa ne pensi?