“I soldati sono cittadini di una grigia terra di morte”: nei versi del poeta e soldato Sigfrid Sassoon risuona ancora l’eco degli acherontei scenari bellici della Prima Guerra Mondiale. Tanti di quei ragazzi e uomini sopravvissuti all’inferno della trincea ritornarono nelle loro vite di sempre con corpi martoriati e irriconoscibili. Tra le tante persone che presero a cuore il futuro di questi veterani ci fu anche Anna Coleman, una scultrice americana che usò le sue conoscenze artistiche per dare un nuovo volto ad alcuni di loro. La sua storia è ricordata dal celebre Smithsonian Institution di Washington, che ancora oggi conserva alcuni dei suoi manufatti.
Anna Coleman nacque a Philadelphia nel 1878, ma fin da giovanissima si trasferì a Parigi e a Roma per studiare arte. Tornò negli Stati Uniti solo nel 1905 per sposare il medico Maunard Ladd. Dopo gli studi alla Boston School iniziò a partecipare a mostre e a lavorare attivamente nel mondo del scultura. Quando il marito venne trasferito a Parigi come medico della Croce Rossa americana, alla fine della Grande Guerra, decise di dedicarsi alla costruzione di maschere per i visi sfigurati dei superstiti.
Iniziò così un lavoro che la impegnò fino alla morte, nel 1939. Anna Coleman studiava il volto di ogni soldato mutilato a causa delle bombe e del gas, poi realizzava un calco in gesso, argilla o plastilina. Era quella la base per realizzare delle maschere in rame zincato, verniciate con colori simili alla pelle della persona che le avrebbe indossate. Infine venivano fissate al volto con lacci oppure occhiali. Il suo intento era quello di ricreare l’espressività di quel volti, per poter tornare a vivere una vita normale. Il lavoro della Coleman fu talmente importante da essere premiato con la Legione d’Onore dallo stato francese.
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