Tredici film in 22 anni per Ferzan Ozpetek, il regista arrivato da Istanbul a Roma alla fine degli anni Settanta che ha fatto conoscere le poesie di Nazim Hikmet al grande pubblico e dato forma alla comunità LGBT nell’immaginario collettivo di casa nostra.

A guardare bene, tra stereotipi e tentazioni macchiettistiche, a Ozpetek è riuscito in Italia quello che in Spagna è riuscito a Pedro Almodóvar: descrivere senza pruderie di sorta quell’universo non binario che fino a qualche anno fa era ancora guardato con curiosità un po’ morbosa, se non con semplice sospetto.

A entrambi, va il merito di aver forgiato personaggi femminili che scoprono sé stesse, si emancipano, sciolgono legacci esistenziali anche grazie all’apporto di altre umanità vittime di violenze di genere e di  discriminazioni; non solo quegli omosessuali e transessuali che popolano i loro film, ma tutti quegli uomini e quelle donne oppresse per il loro stato di rifugiate, disabili, in breve, diverse da quella che la società bianca, capitalista e patriarcale stigmatizza come “normale”.

Quelle terrazze affacciate sul Gazometro capitolino in cui ballano, cantano, litigano, si supportano le tante possibilità degli esseri umani, di etnie, preferenze sessuali, ceti sociali diversi, hanno aperto la strada affinché inclusività e femminismo intersezionale attecchissero in sempre più larghi strati di società italiana, da sempre refrattaria all’idea che oltre alla famiglia “tradizionale” possa esistere amore e rispetto reciproco.

«Non si tratta di accettare, ma di condividere»: è battuta che racchiude in poche parole l’intera poetica di Ferzan Ozpetek. Il regista turco la lascia pronunciare a Sergio, l’omosessuale âgée di Saturno contro interpretato da Ennio Fantastichini che con altrettanta bravura attoriale veste qualche anno dopo i panni di Vincenzo Cantone, il pater familias pugliese (con amante di rito annessa) di Mine vaganti, preda di un attacco di cuore quando scopre che il primogenito è gay.

Da combattere restano intolleranza e pregiudizio, nemici delle donne (soprattutto se non eterosessuali, non bianche e non cristiane) come degli uomini che non rientrino in quelle “categorie della normalità” stabilite dal patriarcato bianco. Le tante sfumature raccontate da Ferzan Ozpetek servono anche a rifiutare la negazione della complessità, che unica può dar ragione di un mondo a misura di tutte e di tutti.

Sfogliate la gallery per conoscere meglio alcune di queste figure di Ozpetek.

L’harem femminista di Ferzan Ozpetek
Fonte: Warner Bros
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