L'infanzia nel bordello, lo stupro e la vera storia di Édith Piaf e dell'amore che "uccise"

Voce inconfondibile e icona mondiale, la divina Édith Piaf visse una vita tutt'altro che "en rose", funestata da tragedie e drammi. Subì uno stupro da bambina e perse anche l'unico uomo che avesse mai amato veramente, cosa di cui si incolperà fino alla morte.

Altro che Vie en rose, la vita di Édith Piaf è stata tutt’altro che rosea: funestata da drammi, tragedie difficilmente dimenticabili, fino al triste epilogo, la morte a soli 48 anni, l’esistenza della divina cantante parigina, divenuta un’icona immortale di un’epoca oltre che di un filone musicale, quello realista, sembra essere stata scritta dalla sceneggiatura di uno dei film drammatici del suo contemporaneo, Marcel Carné.

Eppure, a dispetto di una sorte certamente non benevola, il “Passerotto”, soprannome con il quale era famosa, ha dimostrato più spesso di essere in realtà un’aquila, capace di reagire alle avversità con forza e grinta, e con la potenza che usciva dalla sua ugola mentre cantava. È stato il musicologo Albert Richardit a sentirla cantare per caso, e a capire che in quella ragazza minuta ed esile si nascondeva un vero e proprio tesoro da capitalizzare; ma nemmeno con il successo il destino beffardo che l’aveva accompagnata fin dalla nascita sembrò volerle lasciare tregua, e per tutta la vita mise alla prova ogni sua virtù, la fede, la speranza, la positività.

Nata da Antonetta Marini, in arte Lina Marza, italiana di Livorno, cantante di un caffè concerto, e da un padre ignoto (forse anche lui italiano, forse un muratore) Édith Giovanna Gassion, questo il vero nome di Piaf, è stata partorita nell’androne di un palazzo, con la madre, appena sedicenne, assistita da due poliziotti. A ricordare quel parto così particolare c’è ancora una targa, posta proprio sopra l’androne, al 72 di Rue Belleville. Il cognome, Gassion, Édith Piaf lo acquisisce da colui che è saltuariamente l’amante di Antonetta Marini, Luis, un contorsionista che, nel tentativo di offrire alla piccola una vita serena, la affida alla propria madre, la quale gestisce un bordello. Cresciuta da circa venti prostitute, proprio in quel luogo avviene il primo, grande evento drammatico della sua vita quando, a soli sei anni, viene violentata da un cliente.

A diciassette gira invece le strade della Francia con il suo patrigno, cantando nei cortili e nei bistrot, ha come cavallo di battaglia O’ sole mio. Proprio ascoltando la sua voce impetuosa e magnetica Richardit la definisce “ugola d’oro”, e la presenta a Louis Leplee, proprietario di un locale alla moda, che la lancia. Prima della svolta che è sembrata cambiare, almeno un po’, la sua vita sfortunata, c’è un altro episodio terribile: Édith Piaf era rimasta incinta di un magnaccia, che tentava di costringerla a prostituirsi, ma la bimba nata da quella relazione era morta due anni più tardi.

Leplee apre le porte del dorato successo a Piaf, di cui è anche amante, fino al suo assassinio; Milord, Je ne regrette rien, e ovviamente La vie en rose diventano dei successi clamorosi, che fanno guadagnare al “Passerotto” la fama mondiale e anche molti, moltissimi ammiratori. Yves Montand, Charles Aznavour, Jacques Pilles, con cui si sposerà una prima volta, sono solo alcuni degli uomini che rimangono letteralmente fulminati non solo dalla voce di Édith Piaf, ma soprattutto dal suo carattere, dalla sua sconfinata forza d’animo e da quel fascino magnetico che nessuna difficoltà della vita aveva minimamente intaccato.

Eppure, nemmeno in quegli anni di apparente serenità, con il mondo ai suoi piedi e centinaia di corteggiatori disposti a fare di tutto per lei, il destino lascerà libera la povera Édith Piaf, che perderà l’unico uomo mai amato veramente, il pugile Marcel Cerdan. Conosciuto nel 1946, lui è fisicamente il suo opposto, e forse proprio per questo fra le sue braccia lei si sente così al sicuro, protetta e amata come probabilmente non lo era mai stata prima. Cerdan muore in un disastro aereo, alla vigilia del match mondiale dei medi con Jack La Motta, sul picco Redondo alle isole Azzorre. È proprio lei a suggerirgli di prendere l’areo, mezzo che lui non ama, tanto da aver già prenotato il viaggio in nave.

Édith Piaf lo scongiura di raggiungerla il prima possibile, gli dice “Ti prego, vieni subito. Prendi l’aereo, con la nave ci vuole troppo tempo. Ho bisogno di te”, senza sapere che non lo rivedrà mai più. La sua morte è un peso che Piaf porterà con sé per il resto della propria vita, come un soffocante senso di colpa che l’accompagnerà fino alla morte. Sopraggiunta l’11 ottobre del 1963, quando la cantante viene sconfitta da un tumore al pancreas contro cui lottava da quattro anni nella sua villa a Cannes. Il secondo marito, Theo Sarapò, di 24 anni più giovane, ricondurrà la sua salma nella sua Parigi, dove Édith Piaf aveva sempre detto di voler morire, dato che lì era nata. Anche lui morirà ad appena sette anni di distanza dalla moglie, in un incidente in auto.

Il “Passerotto” dell’epoca realista ha lasciato alcuni tra i testi più intensi e leggiadri della musica di tutto il mondo, cantati con la sua voce melodica e travolgente. Benché la vita non le abbia mai sorriso, il fondo la filosofia con cui Édith Piaf ha vissuto ogni giorno è racchiusa in una delle sue canzoni più famose.

Non, rien de rien, non, je ne regrette rien
Ni le bien qu’on m’a fait, ni le mal
Tout ça m’est bien égal
Non, rien de rien, non, je ne regrette rien
C’est payé, balayé, oublié, je me fous du passé

No, io non rimpiango nulla, né il bene che mi è stato fatto, né il male.
Tutto per me è uguale.
È tutto pagato, spazzato, dimenticato, me ne frego del passato.

L'infanzia nel bordello, lo stupro e la vera storia di Édith Piaf e dell'amore che "uccise"
Fonte: web
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